Ho visitato per voi il campanile
di Alessandro Bortolamasi
11 maggio 2004.
Salire sul campanile, ormai finito ma ancora abbracciato dalle impalcature, è un’emozione forte. Vi entro dal sottochiesa e comincio a seguire la scala elicoidale costruita all’interno; me l’immaginavo scomoda, invece è abbastanza ampia e facile.Sono al livello della Chiesa; qui ora c’è una sottile parete che verrà abbattuta: di là c’è la Sagrestia. Continuo a salire, girando su me stesso, un po’ disorientato. Ecco un punto di riferimento: sono all’altezza delle finestre, le quattro grandi aperture dalle quali uscirà la voce delle campane.
Finalmente vedo la cella campanaria; qui saranno montate la Grossa e il Mezzanone, sopra ci sarà un pavimento d’acciaio e sopra ancora le tre campane più piccole. Adesso la scala a chiocciola finisce nel nulla; poi continuerà con una scala alla marinara, che avrà un’opportuna gabbia di protezione.
Esco sull’impalcatura esterna, chinandomi per passare attraverso una finestra. Fuori c’è vento e molta luce. A sud gli Appennini, a nord i tetti di Modena; sotto, un bel po’ di vuoto. Salgo ancora, con attenzione, per le scalette di ferro. Un piano, due, tre. Ora posso vedere la punta del campanile, su cui svetta la croce cosmica d’acciaio lucente. Sul terrazzino alcuni operai saldano coperture di rame, per proteggere il cemento dalla pioggia.
Mi volto e guardo la città: la Ghirlandina, l’Accademia, la cupola della Chiesa del Voto, la cuspide verde della Madonna Pellegrina… Mi sento come sospeso. Tendo la mano verso la parete: dodici croci d’acciaio, alte due spanne, formano una corona attorno al campanile; dodici come gli Apostoli. Ne tocco una, un po’ smarrito. Presto l’impalcatura sarà tolta, e nessuno potrà più stare in questo punto dello spazio, nessuno potrà più toccare questa croce…
Qui sotto passeranno generazioni di uomini, le campane cantando le loro gioie e i loro dolori. E il campanile starà immobile, fuori dal tempo, a parlare di eternità.