La
Pentecoste è una festa difficile, perché provoca l’uomo a liberarsi dai suoi
complessi.
Il complesso dell’ostrica. Siamo troppo attaccati allo
scoglio. Alle nostre sicurezze. Alle lusinghe gratificanti del passato. Ci piace
la tana. Ci attira l’intimità del nido. Ci terrorizza l’idea di rompere gli
ormeggi, di spiegare le vele, di avventurarci nel mare aperto. Se non la palude,
ci piace lo stagno. Di qui, la predilezione per la ripetitività, l’atrofia
per l’avventura, il calo della fantasia. Lo Spirito Santo invece ci chiama
alla novità, ci invita al cambio, ci stimola a ricrearci.
C’è poi il complesso dell’una volta soltanto. È
difficile per noi rimanere sulla corda, camminare sui cornicioni, sottoporci
alla conversione permanente. Amiamo pagare una volta per tutte. Preferiamo
correre soltanto per un tratto di strada. Ma poi, appena trovata una piazzola
libera, ci stabilizziamo nel ristagno delle nostre abitudini, dei nostri comodi.
E diventiamo borghesi. Il cammino come costume di vita ci terrorizza. Il
sottoporci alla costanza di una revisione critica ci sgomenta. Affrontare il
rischio di una itineranza faticosa e imprevedibile ci rattrista. Lo Spirito
Santo invece ci chiama a lasciare il sedentarismo comodo dei nostri parcheggi,
per metterci sulla strada, subendone i pericoli. Ci obbliga a pagare, senza
comodità forfetarie, il prezzo delle piccole numerossime rate di un impegno
duro, scomodo, ma rinnovatore.
C’è infine il complesso della serialità. Benché su dica
il contrario, oggi amiamo le cose costruite in serie. Gli uomini fatti in serie.
I gesti promossi in serie. Viviamo la tragedia dello standard, l’esasperazione
dello schema, l’asfissia dell’etichetta. C’è un livellamento che fa
paura. L’originalità insospettisce. L’estro provoca scetticismo. I colpi di
genio intimoriscono. Chi non è inquadrato viene
visto con diffidenza. Chi non si omogeneizza col sistema non merita
credibilità. Di qui la crisi nella protesta dei giovani e l’estinguersi della
ribellione. Lo Spirito Santo ci chiama all’accettazione del pluralismo, al
rispetto della molteplicità, al rifiuto degli integralismi, alla gioia di
intravedere che lui unifica e compone le ricchezze nelle diversità.
(da: Alla finestra la speranza, ed. San Paolo, pp. 113-114)