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Tutti le religioni, da sempre, hanno avuto ed hanno i loro pellegrinaggi perché un pellegrinaggio è il simbolo di un popolo il cammino.  I   Cristiani  adottarono  e modificarono ciò che il popolo ebreo aveva istituzionalizzato, infatti presso di loro era obbligo "salire a Gerusalemme"  nella  grandi  feste, in lunghe, e interminabili   file, salmodiando, perpetuando così il pellegrinaggio della vita alla terra promessa.

I Cristiani quindi iniziarono i loro grandi, immensi, continui pellegrinaggi con tre grandi mete predominanti: Roma, per poter pregare sulla tomba degli Apostoli; Gerusalemme,  per pregare e,  in   secondo  tempo,  liberare il Santo Sepolcro; San Giacomo di Compostela, ove riposa il Corpo dell’Apostolo di Cristo.

Di pellegrinaggi, di penitenza o per grazia ricevuta, di pellegrinaggi di propiziazioni o di sola devozione erano pieni i piccoli centri della riviera jonica sino a quando l’uomo è rimasto vincolato alla terra e mentalità contadina. Luoghi di pellegrinaggio erano la Madonna della Catena nella valle del Chiodaro, sopra Mongiuffi Melia, e la Madonna del Tindari nei pressi di Patti.

Dalla nostra comunità parrochiale non vi è stato mai un pellegrinaggio organizzato per la Madonna della Catena, ma era raro che qualcuno almeno una volta nella sua vita non fosse andato a tale Santuario, riunitasi in gruppo, vi andavano a piedi , per strade impervie, dopo aver percorso un lungo e faticoso cammino.

Generalmente si partiva verso le due di notte; ci si chiamava l’un l’altro, si bussava alle porte, e si accendeva i lumeri o il lume a petrolio, si faceva tutto - 'ca prescia - con premura, vestirsi, lavarsi prendere qualche pezzo di pane e l'’immancabile barilottu con il vino, un pezzo di legno per bastone e si partiva.

Era la prima domenica di settembre, tempo generalmente buono, ma  - u violo -  il viottolo  ove  si  poteva   camminare,  uno per volta,  in  fila, era  un  continuo       sali-scendi. Da Misserio si saliva verso Fautarì e da qui si perveniva a Casalvecchio Siculo, fra continui richiami, voci e grida, se vi erano dei ragazzi e spesso vi erano, perché l’andare al Santuario era anche un premio per i ragazzi buoni.

Da Casalvecchio si scendeva e si passava nei pressi della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, quel grande, maestoso documento di una civilta   Araba – Bizantina – Normanna e dell’apporto alla civilizzazione di tutta la zona dei Padri Basiliani.

Si attraversava la fiumara di Agrò per arrivare nei pressi – du Furnazzu – dove gli abitanti di Limina portavano in processione la statua di ferro di San Filippo, da qui iniziava la faticosa salita che, passando per Limina raggiungeva Roccafiorita, piccolo centro  di  antichissima  formazione   e nobiltà,  e da Roccafiorita verso la valle del Chiodaro.  Lì a pochi metri dal burrone vi era la piccola Chiesa con la statua della madonna della Catena.

Attorno a non molta distanza, macellai costruivano dei forni e abbondanza di capre e castrati venivano infornati, i pellegrini dopo essere stati in Chiesa e avere pregato con Fede  la  Madonna,  ed  essersi confessati,  compravano  della  carne che  mangiavano con il   pane  portato  da  casa.  Tornavano la sera a casa, portando le immaginette della Madonna che distribuivano a coloro che non erano potuto andare.

Altro aspetto, perché altra struttura ha il pellegrinaggio alla Madonna del Tindari.

 

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