UN’ALTRA MILANO DOPO TAIZÈ

Carissimi,

l’odierna solennità dell’Epifania è caratterizzata dallo splendore della stella -segno straordinario da interpretare e simbolo della Parola di Dio che brilla luminosa orientando l’esistenza- che, si fa guida nel cammino verso il nato Re dei Giudei e dalla figura dei magi, rappresentanti di tutti i popoli e richiamo all’universalità della chiamata alla fede. In questa stessa ottica vorrei rileggere con voi un segno straordinario -di dimensione universale per la sua intenzionalità, animato e scandito dall’ascolto della Parola- che ha attraversato il tempo e lo spazio della nostra Chiesa, della nostra città e nei nostri paesi nello scorcio finale del 1998 fino a sbocciare nell’alba del nuovo anno, l’ultimo del secondo millennio. Si tratta del XXI° Incontro europeo di giovani.

Un evento non comune per il quale dire grazie e da discernere perché porti i suoi frutti nell’ordinarietà del nostro cammino pastorale.

Grazie, innanzitutto e ancora una volta, a frère Roger e a tutta la comunità ecumenica di Taizè per aver scelto Milano come tappa del "pellegrinaggio di fiducia sulla terra".

È per i contatti, l’animazione, il lavoro vissuti negli scorsi mesi dai Fratelli di Taizè e dai loro collaboratori in continua sintonia e comunione con la nostra Chiesa e le sue strutture pastorali che l’incontro si è potuto realizzare e che -al di là di ogni fatica, di tutto l’impegno che si è reso necessario, di qualche non voluto momento di disagio- esso si è rivelato per tutti noi soprattutto come un dono. Grazie, inoltre, a tutti coloro che nelle nostre comunità -presbiteri, religiosi e religiose, giovani e adulti- si sono adoperati con tutte le loro forze e in un periodo, come quello prenatalizio, già ricco di iniziative e di impegni per preparare, organizzare, animare e sostenere. Il mio grazie va, in modo del tutto speciale, alle moltissime famiglie che hanno aperto cordialmente e gratuitamente le loro case: se anche la condivisione a volte è stata un po’ limitata nel tempo o inferiore alle attese, sappiano che il loro gesto contiene, per loro stessi e per i giovani che ne hanno beneficiato, un valore prezioso che non viene meno e che sa sprigionare non poche potenzialità. Ed ora vorrei che insieme ci chiedessimo che cosa abbiamo vissuto in questi giorni. Ciascuno, a partire dalla sua diretta esperienza, potrà sottolineare aspetti e valori, di cui è bene fare memoria perché non vadano dispersi, travolti dal vorticoso riprendere delle attività quotidiane. Per parte mia, intendo mettere in risalto alcuni elementi comuni e che hanno costituito un po’ la trama di tutte le esperienze vissute in Fiera a Milano e nei diversi angoli della nostra diocesi. Abbiamo vissuto un momento di grande accoglienza e apertura: esso ha visto il coinvolgimento di molti, singoli e famiglie, a volte anche meno presenti nelle nostre iniziative pastorali; ha fatto toccare con mano come si possa collaborare tra giovani, adulti e anziani; ha favorito un’esperienza concreta di convivenza e di fraternità con persone diverse e non conosciute prima. Abbiamo sperimentato e condiviso, in secondo luogo, lunghi e intensi momenti di preghiera, di silenzio, di ascolto della Parola nelle singole parrocchie e nei grandi padiglioni della Fiera: molti ne sono rimasti meravigliati e abbiamo sperimentato ancora una volta che si può pregare, tacere, meditare, cantare, anche oggi, anche in tanti, anche in una città e in una società, laica e complessa, come la nostra. Abbiamo riscoperto e comunicato, con semplicità ma con verità, alcuni "segni di speranza" presenti nelle nostre comunità: a cominciare dalla vitalità, a volte nascosta e forse un po’ sottovalutata, delle nostre parrocchie, per passare poi attraverso le varie esperienze di impegno educativo, caritativo, assistenziale, sociale.

Se questo è ciò che abbiamo vissuto, che cosa mi aspetto che rimanga di tutto ciò nel cammino della nostra Chiesa? Vorrei così indicarvi alcuni tratti di quel volto di Chiesa che già in questi anni abbiamo più volte tratteggiato e che, anche alla luce di questa esperienza, possono essere ritrovati e rilanciati con nuovo vigore e con nuova convinzione. Mi aspetto che la nostra Chiesa -e in essa ogni comunità parrocchiale, le diverse realtà aggregative, le singole famiglie- sia e diventi sempre di più una Chiesa accogliente, vera casa di tutti dove nessuno si sente escluso. Altre occasioni straordinarie e particolari si presenteranno tra non molto per aprire ancora le porte delle nostre case: penso in particolare alla prossima Giornata mondiale della Gioventù, nell’agosto del 2000. Ma è soprattutto nella quotidianità e nella concretezza della vita di ogni giorno, di ogni mese e di ogni anno che questa accoglienza può e deve manifestarsi verso ogni donna e ogni uomo, per chi è maggiormente nel bisogno, di fronte alle antiche e alle nuove povertà, nei confronti di quanti vengono a noi da altri Paesi, culture, razze, religioni, superando qualsiasi logica di chiusura egoistica e aprendosi alla solidarietà verso i più deboli e i più dimenticati. Mi aspetto, cioè, che la nostra Chiesa -come è avvenuto anche in questi giorni- sappia aprirsi sempre di più all’accoglienza dell’altro e sia disponibile a lasciarsi disturbare e perfino a lasciarsi mettere in questione dall’urgenza della carità e della comunione. Solo così sarà sorgente di quella vita e di quella gioia che vengono dallo Spirito di Dio, saprà rivelare, la Paternità e la Maternità di Dio e sarà segno e stimolo per l’intera società a ritrovare la grandezza della sua civiltà misurandola anche a partire dalla sua capacità di accoglienza e di condivisione.

Mi aspetto una Chiesa che sia vero luogo di comunione e di fraternità, nella quale si sappia ritrovare il gusto dello "stare insieme" valorizzando e promuovendo l’originale singolarità di ciascuno.

Tale clima di fraternità, vissuto con i numerosissimi giovani convenuti a Milano nei giorni scorsi, troverà una lodevole e auspicabile continuazione, anche attraverso successivi contatti epistolari. Ma lo stesso clima chiede di diventare sempre più esperienza quotidiana nelle nostre comunità. In particolare, mi piacerebbe che -dentro e oltre la diffusa e in parte necessaria settorializzazione della nostra pastorale- possano maturare e svilupparsi in più cordiale rapporto e una maggior collaborazione sia tra le diverse generazioni -giovani, adulti, anziani- , sia tra associazioni, gruppi, e movimenti, sia tra organismi e strutture pastorali. Nella medesima linea, mi auguro che nelle nostre parrocchie -proprio facendo leva e prendendo lo spunto da quanto emerso, anche con sorpresa da parte degli stessi interessati, in occasione dell’accoglienza dei giovani venuti da noi per l’incontro promosso dai Fratelli di Taizè- si sappia valorizzare e promuovere la disponibilità e la presenza di persone e di famiglie, a volte tra loro estranee o indifferenti, che hanno condiviso o invitandole a condividere un pezzo di strada comune. Mi aspetto, ancora, una Chiesa che prega, che sta in silenziosa adorazione davanti a Dio e che ne ascolta la Parola e che sappia vivere tutto questo anche come popolo. Si tratta di crescere in quella "santità popolare" a cui più volte ho fatto riferimento negli scorsi anni, ritrovando la gioia e il coraggio di tentare ogni forma per proclamare dentro la città secolare il primato di Dio, il desiderio dell’Assoluto, la necessità dell’ascolto di una Parola che non viene da noi, ma scende come dono puro e misericordioso dal cuore di Dio. E tutto ciò mediante momenti di sosta, di silenzio, di ascolto meditativo di implorazione corale. Le prossime celebrazioni del grande Giubileo del 2000 potranno costituire un momento forte e straordinario in questa direzione. Ma tutto ciò deve nutrirsi quotidianamente attraverso la fedeltà all’ascolto della Parola: sarei felice -come scrivevo proponendo una "Regola di vita del cristiano ambrosiano"- se ci si impegnasse a fare la "lectio divina" possibilmente ogni giorno e se, in particolare per i giovani la Scuola della Parola continuasse ad essere uno strumento privilegiato per aiutare ad accogliere il grande dono che il Signore ci fatto comunicandosi a noi nella Rivelazione e a discernere la Sua volontà nella nostra vita. Anche la preghiera personale familiare e comunitaria -che, in alcuni particolari occasioni, a volte e per chi lo desidera, potrà anche fare propri i canti e i ritmi tipici della "preghiera di Taizè"- dovrà essere l’alimento quotidiano e quasi il respiro indispensabile della nostra vita: una preghiera dalle forme molteplici e più variegate, non solo intellettuali, ma capaci di coinvolgere anche i sensi e anche lo sguardo attratto dalla bellezza di un Dio del quale non ci si stanca mai di ascoltare e di riprendere le parole di Salvezza e di consolazione; una preghiera accessibile a tutti, che sappia anche valorizzare formule semplici, nuove o tradizionali e ripetitive e mnemoniche.

Mi aspetto, infine, una Chiesa che sappia condividere e comunicare la speranza che lo Spirito Santo continua a suscitare nel suo seno. I "segni di speranza" ci sono tra di noi perché lo Spirito di Dio c’è e sta operando arriva prima di noi, lavora più di noi. Si tratta di riconoscerli. Essi passano, ad esempio attraverso la realtà della pastorale giovanile soprattutto dei nostri oratori: autentica perla preziosa che c’è stata donata dalla nostra tradizione, va mantenuta viva, valorizzata e rivitalizzata. Più generalmente, i "segni della speranza" passano attraverso quella fiducia verso l’altro e quella disponibilità ad aprire a Lui le porte della propria casa e del proprio cuore: realtà queste a volte nascoste, sopite o addirittura negate, ma che ci sono in tanti di noi, in tante famiglie, nelle nostre comunità vanno riconosciute e tenute deste, certi che esse costituiscono il primo fondamentale patrimonio che abbiano da condividere con gli altri, aprendo il cuore di tutti alla fiducia e alla speranza. Se rimarranno e matureranno questi e altri frutti anche noi sapremo radicare in Dio, Padre di tutti, quella fiducia e quella speranza testimoniata durante l’incontro dei giorni scorsi e di cui hanno bisogno e sentono la nostalgia la nostra città, i nostri paesi, la nostra Europa.

 

CARLO MARIA MARTINI

Cardinale

Arcivescovo di Milano

 

Milano, 6 gennaio 1999. Solennità dell’Epifania


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