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07 dicembre 2004

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LA PREADOLESCENZA

Serata incontro sulla preadolescenza

Don Marco Bove - Sacerdote della Diocesi di Milano - Assistente Diocesano dell’ISMI (Istituto per i preti nei primi 5 anni di messa) Assistente nazionale del gruppo Fede e Luce (gruppo che si ispira alla comunità dell’Arca fondata da Jean Vanier) ha seguito uno speciale corso di formazione per direttori spirituali presso la facoltà Gregoriana di Roma.

Chi sono i Preadolescenti ?

Cosa vuol dire entrare in relazione con loro, proporre a loro un percorso formativo, educativo?

Partiamo dal "chi sono". Già farsi questa domanda "chi sono" suppone che, probabilmente, ciò che vediamo, ciò che appare in superficie dice solo una parte di ciò che accade e non è così immediatamente visibile : il tentativo di dire chi è un preadolescente, cosa avviene in questa fase, così importante e così delicata, di forti trasformazioni, ci aiuta in parte a scendere un po’ più in profondità, a guardare dietro le quinte, e a dare il nome giusto a cose che conosciamo molto bene ma che forse non riusciamo fino in fondo a leggere nelle loro valenze . (cosa significa che un ragazzo/a mi risponde male, che non si vede più, che viene e sta zitto etc...?)
Partiamo da qui per dire in termini semplici che questa stagione di vita che chiamiamo preadolescenza può essere in modo sintetico definita un grande, un lungo percorso di identificazione.

Una parola tecnica che dice però una cosa; la fatica di questi ragazzi/e, a partire da questa età e poi per un lungo tempo, di definire la propria identità da tutti i punti di vista.

Identità personale e di carattere, identità fisica e sessuale, identità relazionale ed affettiva; questo processo di identificazione è segnato da una grande ma profonda trasformazione.

Proviamo a fermarci su alcuni di questi aspetti per cercare di capire cosa significa, quali aspetti e quali punti di vista va a toccare questo processo di identificazione.

Cerco di sintetizzare le 4 grandi aree-conflitti per dire quale è la trasformazione in atto; cos’è un conflitto : è un termine che prendiamo dalla psicologia dell’età evolutiva che dice di una tensione, cioè la presenza di forze uguali e contrarie che coesistono, coabitano nel ragazzo/a e che continuano tirandolo in direzioni opposte e lo spingono verso una crescita, verso un passo successivo.

Il primo di questi conflitti che i ragazzi di questa età si trovano ad affrontare possiamo definirlo entro questi due estremi :

L’autonomia e la dipendenza
che collochiamo nell’area della relazione genitori-figli o meglio ragazzi-mondo adulto compresa la catechista, il prete, la suora, l’educatore e chiunque è assimilato al mondo dei genitori subirà la stessa sorte perché se siamo identificati con il genitore o con la figura dalla quale il ragazzo/a sente di dover dipendere e che nega un po’ la sua autonomia, la sua capacità ecco che anche da questi adulti che dovrà prendere le distanze per, se non rifiutarli tenerli a bada.
L’autonomia e la dipendenza sono due parole molto immediate che spieghiamo così.
Quando viene al mondo un bambino si trova anzitutto dentro un contesto che è quello della famiglia, è totalmente dipendente e la sua crescita e il suo sviluppo significano progressivamente riscattarsi da questa dipendenza, diventare sempre più capace di badare a se stesso, di risolvere le difficoltà, i problemi, le contraddizioni della vita e essere sempre più capace di prendere le distanze dal nucleo familiare, dal riferimento genitoriale che l’ha segnato fino a quel punto.
Da una situazione di dipendenza progressivamente questo ragazzo/a cammina verso una sua autonomia ; ma il problema è che con la preadolescenza questa tensione diventa più forte, più marcata quindi conflittuale.
Se prima da bambino cercava di cavarsela da solo ma senza contrapposizione, riscatto o rifiuto della famiglia, il segnale che nella preadolescenza qualche cosa sta cambiando è questo : il ragazzo/a rivendica un’autonomia, ha bisogno di negare una dipendenza, il conflitto è che effettivamente questa autonomia cercata comunque, fa i conti con un bisogno di dipendenza "mentre io dico non ho più bisogno di te, non rompere, lasciami stare, ho un grande bisogno di te".
E tanto più è forte il bisogno ancora di essere accuditi, sostenuti, stimolati, aiutati tanto più è forte quel principio contrario di negazione.
"Tanto più io grido in faccia ai miei genitori, al mondo adulto che non ho più bisogno di voi - grazie! - tanto più è evidente che percepisco che invece in realtà ne ho bisogno, ma non voglio accettarlo, non voglio ammetterlo"!
Si dice conflittuale perché sono presenti queste due forze. Ci sono anche alcune ambivalenze, alcune ambiguità evidentissime: il giorno prima ti dico lasciami stare, non aiutarmi più, e il giorno dopo mi hai abbandonato, come faccio a farcela che non sono capace di fare niente. "Come? Ieri mi hai detto lasciami stare e oggi mi chiedi di starti vicino?".
E’ importante cogliere questa ambivalenza e rileggerla in questa chiave, cercare di capire ciò che succede nel mondo interiore di questi ragazzi/e, che altrimenti non riusciamo a comprendere.
E’ la presenza di questo primo e più radicale conflitto, dove queste due forze coesistono e dove nasce l’illusione nel ragazzo/a e, che forse coltiviamo fino all’età adulta, che fa dire che diventare adulti significa diventare finalmente, completamente autonomi e non avere più bisogno di nessuno: questa è una pura illusione.
La persona che finalmente arriva ad una pienezza, ad una propria "adultità" non è la persona che finalmente non ha più bisogno di nessuno, ma quella che finalmente ha capito quali sono le aree, quali sono gli aspetti, nei quali ha bisogno di dipendere dagli altri.
Questo vale nella relazione di coppia, nella vita familiare, vale per ogni forma di relazione adulta di esistenza e di relazione, ma ovviamente questa istanza a questa età comincia ad esplodere, comincia a diventare conflittuale, rivendicativa, perchè diventa un po’ il sogno - io finalmente quando sarò grande non dovrò più chiedere niente, non avrò più bisogno di nessuno e comincio a dimostrarlo subito facendo grandi pasticci e allontanando o trattando male chi cerca di aiutarmi.
Capite allora che aiutare un ragazzo/a a questa età è davvero difficile proprio per questa ambivalenza.

Intimità e vergogna
Il secondo conflitto lo chiamiamo conflitto tra intimità e vergogna e lo collochiamo non più nell’area genitori-figli ma nell’area amici-amori.
Ci collochiamo molto più nei rapporti cosiddetti paritari : questi ragazzi/e entrano in rapporto con i loro coetanei, perché se è vero che il processo che inizia è un processo di identificazione, il ragazzo nel rapporto con gli altri cercherà la sua identità.
Entrando in rapporto con gli amici il ragazzo/a riceve diverse risposte (essere il leader, essere cercato perché gioca bene a calcio o perché è colei che sa sempre i pettegolezzi di tutti e tutte) dà identità a se stesso/a e soprattutto e lo/a porta ad entrare in relazione con gli altri cercando quella che, in termine un po’ tecnico, è la distanza ravvicinata che chiamiamo intimità cioè : io cerco la relazione con gli altri cerco un rapporto stretto, è il tempo in cui c’è l’amica del cuore, l’amico con cui condivido tutto, - torno a casa di scuola mezz’ora dopo telefono alla persona che ho appena lasciato,(ma cosa hai da telefonare, vi siete appena visti, cosa avrete ancora da dirvi, siete insieme tutta la mattina 5 ore,) ecco sono i "drammi" che ogni tanto si scatenano in famiglia ..... ma è la vera ragione la forza che spinge a cercare relazioni molto strette che sono una forma di dipendenza, non dal mondo genitoriale ma dal mondo dei pari.
Accanto a questo bisogno di intimità c’è l’altra forza che definisce il conflitto nella forma diametralmente opposta cioè la vergogna - io cerco l’altro tantissimo e ho anche una grande paura dell’altro che avvicinandosi troppo a me mi scopra/ mi scopro. Questo vuol dire che in qualche modo il ragazzo/a ha anche paura di scoprire e di far scoprire all’altro che non è così grande come leader, così importante, così forte come sperava di essere.
Anche questa è una dinamica, è una realtà conflittuale : la stessa persona che si è continuata a cercare per un anno di fila, che si vedeva tutti i giorni per più ore al giorno può essere che da un giorno all’altro se ne prenda improvvisamente le distanze - cosa vi è successo? vi vedevate sempre? non eravate così amici ? Basta, di colpo basta!
Qualche volta succede in questa forma, altre volte è una ambivalenza che dà relazioni molto altalenanti, per cui con la stessa persona nemici-amici continuamente, grandi lotte, grandi amori, proprio dentro questa dinamica ; allora la vergogna, anche nel senso usuale del termine esprime anche la paura di se stessi, la sfiducia, il dubbio.
Intimità e vergogna dicono allora il bisogno di creare legami, vicinanza con l’altro e la paura di entrare a distanza troppo ravvicinata.
In fondo la relazione a questa età è : ciò che più cerco è ciò che più temo.
Secondo un principio di polarità opposte.
Il binomio amici-amori è l’area relazionale nella quale normalmente ci si muove. Sono i primi rapporti ravvicinati, dove la dimensione affettiva comincia a esplodere, dove si comincia a scoprire l’altro anche nella sua fisicità e nella dimensione della sessualità, sono le primissime esperienze segnate dalla curiosità, dalla paura, dalla poca comprensione etc.

Industriosità e stasi
Il terzo conflitto è inserito nell’area delle competenze e lo definiamo con questi due termini industriosità e stasi.
Siamo nell’area dell’apprendimento delle capacità intellettive e manuali, che i ragazzi cominciano a sviluppare a questa età.
E’ il momento in cui si impara uno sport, anche se oggi i ragazzi/e sono iperstimolati già nella fanciullezza dove hanno cominciato a fare danza e nuoto sincronizzato insieme, e poi magari volo e vela, se si riesce. Anche nell’area della competenza, dell’apprendimento, dell’imparare a gestire sé e gli altri, dell’apprendimento di tecniche di conoscenze, di competenze il ragazzo/a si gioca un altro pezzetto della scoperta di sé, in tantissime forme  attraverso l’esperienza dello sport, l’esperienza scolastica, l’esperienza ludica, attraverso tante esperienze, ma la domanda è sempre la stessa : "chi sono io?", "di che cosa sono capace?".
E’ una grande altalenanza, una grande ambivalenza tra i due estremi dal punto di vista emotivo che sono, lo dico per estremi, la grandiosità e la depressione che vuol dire: mi sento capace di spaccare il mondo perché abbiamo vinto, la mia squadra ha vinto, perché sono arrivato primo, perché ho fatto bene la verifica, perché so usare un nuovo programmino di computer, etc. E il giorno dopo va male, la prof. mi ha segato, (come dicono loro), ed io faccio schifo non valgo niente, mi chiudo in camera mezza giornata e piango - il giorno prima ero grandioso il giorno dopo sono uno zero.
Questa istanza, che è un riscontro più di carattere emotivo, si iscrive esattamente dentro questo conflitto di industriosità e stasi; l’industriosità è la capacità, il desiderio, la curiosità di fare - di apprendere - di inventare nuovi percorsi, di fare nuove scoperte e la stasi è la paralisi, la paura di non riuscire.
Questo dubbio di se - io non so se ce la faccio e allora siccome non lo so, non ci provo nemmeno, - si iscrive dentro questo processo di grande trasformazione : può nascere un grandissimo interesse per una cosa che il giorno prima, era totalmente ignorata, - io senza il basket non vivo più, senza quella nuova cosa che ho scoperto la mia vita non ha senso - proprio per questa ragione, perché questa dinamica, questa grande spinta interiore all’industriosità conferisce a loro una identità molto forte anche nei confronti degli altri  - io sono quello che fa questo sport strano, io sono quello che mi identifico anche davanti agli altri.

Fifucia e dubbio
Quarto conflitto che caratterizza questa età della preadolescenza è quello fiducia e dubbio e lo collocherei nell’area dello sviluppo fisico e sessuale.
Questo conflitto tocca trasversalmente tante aree relazionali ma in particolare questo aspetto e noi sappiamo quanto è decisivo e importante sia al maschile che al femminile a questa età. La grande domanda del "chi sono io?" passa attraverso una grande trasformazione fisica che questi ragazzi/e hanno in momenti diversi : uno è ancora un bambino/a invece l’altro/a è più sviluppato/a sia di testa che fisicamente ; allora dover gestire un gruppo di preadolescenti è una bella scommessa proprio per questa ragione, sappiatelo.
Succederà che a qualcuno parlerai e arriverai proprio a lui/lei , ma non agli altri - queste cose vanno bene per i bambini ma io non sono più un bambino. Anche questo ultimo conflitto che abbiamo chiamato fiducia-dubbio nasce nel momento stesso in cui inizia questo processo di crescita fisica, tendenzialmente è anticipato sul fronte femminile.
Tutto questo innesca anche un processo di percezione di se completamente nuovo: - io mi vedo diversa trasformata, vedo che nel giro di poco tempo non sono più la stessa persona, al maschile vale con i tratti sessuali secondari ma al femminile è più marcato: l’inizio del ciclo mestruale, lo sviluppo del seno, anche il corpo si trasforma in modo evidente e tutto questo, attenzione bene, non è mai così pacifico ; dal punto di vista emotivo scatena, nel bene e nel male, tutta una serie di tensioni interiori, chiamiamole pure ansietà; i ragazzi/e si domandano: "sarò normale?" - "gli altri mi accetteranno ancora?", "mi sembra di essermi deformata" (al femminile), gli altri sembrano più grandi, "perché agli altri comincia a spuntare qualche pelo di barba e io invece sembro ancora un bambino?" (al maschile), tutto questo ci fa capire che la relazione cioè il confronto fa esplodere queste dinamiche. Io mi metto a confronto con gli altri e la reazione può essere diversissima: c’è questa tensione e questa domanda di fondo "sarò normale?" "gli altri sono come me?" "vado bene?", dall’altra parte c’è un modo anche ambiguo, se volete ambivalente di cercare di darsi risposte.
E’ il modo per cui tendenzialmente i ragazzi/e tendono a mettere eccessivamente in mostra quello che sono, manifestano, fanno vedere in modo quasi esagerato il loro corpo : mi vesto con le cose che sono molto aderenti perché sto cercando una risposta, hanno bisogno di ricevere da noi un riscontro positivo, di sentirsi accettati, con questo corpo inedito oppure hanno una reazione uguale e contraria io non mi vesto, mi nascondo metto dei maglioni che hanno maniche lunghe il triplo, cercano di coprire, di non far vedere, perché questo manifesta un profondo disagio, "non mi sono sviluppata abbastanza" ed allora questo disagio a volte è espresso e manifestato in forme simboliche - per cui io rimango piccolo ma divento un teppista infinito e d’ora in poi vi faccio vedere - perché cercano, in qualche modo, di sostituire quel che sentono che a loro manca.
Dentro a questa area dello sviluppo fisico approfondisco solo un aspetto, in modo veloce, significativo a questa età ed è l’identità sessuale.
L’identità sessuale viene normalmente comunicata e manifestata attraverso tanti segni, tanti messaggi anche inconsci che il genitore passa al proprio figlio facendogli capire se è maschio o femmina iniziando già nei primissimi mesi di vita fino ai 5 anni, dove questo processo di introiezione dell’identità sessuale arriva quasi a compimento.
Con la preadolescenza e l’inizio di questo nuovo sviluppo ecco che l’identità sessuale subisce un altro scossone molto forte ed importante, perché il ragazzo/a a questa età, al di là di quel che dice la psicanalisi, percepisce tutta una serie di pulsioni, di desideri, di interessi, di curiosità nell’area della sessualità che prima non c’erano.
Così un ragazzino/a a questa età comincia a provare un grande interesse, curiosità, attrazione per il mondo della fisicità, della sessualità, non solo dell’altro sesso.
Questo può essere vissuto anche in modo ambiguo: un ragazzino maschio può sentire una grande attrazione e interesse per una persona del suo stesso sesso, la ragione è molto più semplice di quel che uno immagina e cioè c’è un meccanismo di identificazione - io vorrei avere il corpo di quel grande calciatore, di quel grande attore che è maschio come me - e questo può essere vissuto in modo confuso - ma come, mi piacciono i maschi? ma sarò normale?
Voi capite bene che una cultura come la nostra dove l’omosessualità è spiegata male, perchè si dice semplicemente che nella vita uno sceglie se se essere omosessuale o no, il ragazzo percepisce questo messaggio che gli può generare confusione e tensione interiore, cioè io ho paura di quel che provo - pulsione - desiderio - curiosità.
Anche per le ragazze vale la stessa cosa per l’omosessualità presunta o temuta: quando vedo il corpo della grande attrice più o meno vestita o svestita nella locandina del film o in tv, io vorrei avere quel corpo, il corpo di quella donna, donna come me, mi piace, ma come sarò normale o no?
In questa seconda puntata del processo di identità sessuale, c’è di mezzo anche questo: non solo i genitori a suo tempo hanno comunicato l’identità sessuale parlando al proprio figlio ma a questo punto è come se l’identità stessa dovesse essere riconquistata anche dal punto di vista pulsionale ed emotivo. E’ un momento non facile.
Ed è questa la ragione per cui ci sono barzellette, battutacce, gesti che girano tra loro, perché c’è questa grande curiosità a volte anche un po’ morbosa, senza malizia una curiosità che serve per capire,  perché il processo di trasformazione dal punto di vista fisico subisce una accelerazione fortissima e questo conflitto che abbiamo chiamato fiducia-dubbio fa si che - un giorno nel mio corpo mi sento bene, mi sento forte, e il giorno dopo se a scuola mi fanno una "battuta" , i maschi, di un pesante infinito - basta - torno a casa, mi chiudo in camera e non mangio più.

Questi sono gli aspetti più evidenti e marcati della preadolescenza che iniziano a questa età e tendono ad accompagnare il percorso della persona fin nell’età adulta ; alcune dinamiche di sviluppo psichico, fisico, intellettivo, pulsionale continuano e continueranno anche dopo.

Da una parte si parla di adolescenza dilatata, che inizia prima e non finisce mai, e dall’altra si parla di un "continium" di sviluppo cioè di alcune cose presenti già nella fanciullezza che esplodono nella preadolescenza e nell’adolescenza e poi continueranno anche nell’età adulta.

La questione dell’identità sessuale uno se la porta avanti anche da adulto infatti i problemi non risolti nell’adolescenza possono esplodere nell’età adulta e guardando a questa fase di sviluppo in qualche modo riconosciamo alcuni fatti della nostra identità.

Come stare vicino e come aiutare i preadolescenti?

Passiamo alla seconda domanda "come stare vicino e come aiutare i ragazzi che stanno vivendo tutto questo?

Non ci sono ricette, o risposte preconfezionate. Mi sembra importante tentare di dire alcune cose.

La prima è entrare in rapporto con i ragazzi/e ; analogamente la viviamo anche in forma inversa : tendiamo a specchiarci a vederci in alcuni dei loro processi di sviluppo e può capitarci di percepire, in momenti difficili e faticosi della nostra vita, la sensazione di aver sbagliato qualcosa, di vivere la sensazione del "fallimento".

Quando accompagniamo i ragazzi/e, che in questa età vivono momenti del genere, tendenzialmente ci ritroviamo perché il loro processo di sviluppo va a toccare i nodi centrali che funzionano anche nell’età adulta e non è detto che di tutti questi nodi noi siamo giunti a soluzione.

Anzi l’abbiamo già detto parlando della dipendenza e dell’autonomia : la persona adulta non è quella che diventa autonoma al 100% perché questa è una illusione, un mito, oppure quella che ha risolto tutti i suoi problemi ; la persona adulta è colei che è riuscita a dare una risposta alle proprie difficoltà e ai propri nodi interiori e con questi convive, ne è almeno in parte riconciliata e dove c’è da camminare va avanti a camminare.

Entrare in relazione con questi ragazzi/e le cui dinamiche e conflitti sono molto forti, può essere che ci metta in difficoltà perché ci vengono sbattuti addosso.

Ad esempio se non riusciamo a gestire la classe di catechismo è abbastanza frustrante, da fastidio ; se non riconoscono la mia autorevolezza perché sono un adulto, una consacrata, un prete mi dà fastidio, "cosa devo fare ?".

Va a toccare la stima che ho di me stesso, la mia autonomia.

Questo è il primo punto : come entrare in relazione con questi ragazzi/e sapendo che entriamo veramente in relazione con loro o meglio loro ci tirano dentro la relazione.

E’ difficile, ci coinvolge anche emotivamente perchè noi non comunichiamo concetti astratti ; dobbiamo decidere di metterci in gioco nella relazione con loro entrando anche un po’ nelle regole del gioco che la loro età tende a dettare,(noi vogliamo che ascoltino, che capiscano i concetti, calma - non è proprio così).

Dobbiamo giocare con il loro stesso linguaggio e con le loro stesse carte, che sono quelle della comprensione emotiva e della relazione anche enpatica.

Decidere noi di entrare in relazione con loro sapendo bene come, tendenzialmente, loro tendono ad entrare in relazione con noi attraverso la modalità del conflitto cioè del tenerci a distanza.

Gli altri due modi con cui possiamo definire la dinamica relazionale loro nei nostri confronti sono :

L’identificazione

L’identificazione l’abbiamo già accennta prima con riferimento agli eroi, ai loro personaggi significativi ; la relazione nei nostri confronti se funziona può essere segnata anche da questo  - io vorrei essere te, mi rivedo in te, mi rispecchio in te e faccio quello che mi chiedi, ti ascolto, ti gratifico in qualche modo proprio per questo. Non me ne frega niente se è giusto o sbagliato quello che tu mi stati dicendo, non mi interessano i contenuti, lo faccio perché mi piaci, perché io vorrei imitarti. E’ un principio imitativo fortissimo e non solo dal punto di vista catechistico ma funziona anche sotto il profile genitoriale e non solo.
"Perché faccio questo?" "Perché ti ascolto?" "Perché ti ubbidisco?" Perché sono in relazione positiva con te.
Questo dobbiamo saperlo perché il giorno dopo, se la relazione si inclina o si spezza per mille ragioni, quella cosa che era così bella non la fanno più.

La compiacenza

La compiacenza è l’aspetto più gratificante.
"Perché faccio questa cosa? Semplicemente perché ne ho un guadagno una gratificazione interiore e cioè mi sento un bravo ragazzo/a è il bisogno di approvazione.
Molte delle cose che riusciamo ad ottenere è per un bisogno di approvazione; non hanno ancora capito fino in fondo, non hanno ancora accolto veramente i valori che noi proponiamo però visto che tu mi dai la caramella io faccio le divisioni....
E’ importante capirlo, perché da una parte ci aiuta a comprendere quale deve essere il passaggio, all’età successiva e le modalità con cui chiediamo le cose e rinforziamo le richieste.
Perché se continuiamo, ad esempio, a dare le caramelle, non riusciremo a fare il passaggio successivo, ma non possiamo nemmeno dar loro legnate : questo giochetto è tipico dell’età precedente cioè della fanciullezza, nell’infanzia questi rinforzi sono positivi : per cui se hai fatto bene i compiti ti lascio guardare la tv, ma attenzione a non continuare all’infinito perché nell’adolescenza la richiesta potrebbe essere: dammi L. 100.000 altrimenti domani bigio - e tu ? Questi si chiamano ricatti. La forza del ricatto sta nella nostra paura.
Dietro l’istanza della compiacenza c’è questo gioco di rinforzi e di ricatti che vanno smascherati o superati, da questo punto di vista la motivazione per cui un ragazzo/a ci segue, ci ascolta, è ubbidiente ci gratifica anche come educatore è la somma questi ingredienti : compiacenza - identificazione - contrapposizione dipendenza.

Io faccio questo perché ho bisogno di te in questa frase c’è tutto, ma non è cattiva coscienza da parte loro, non vogliono fregarci, faccio questo perché mi conviene, perché ricevo da te un riscontro positivo quello che prima dicevamo un’approvazione.
Questo fa parte dello sviluppo e della crescita per arrivare a un livello motivazionale cioè ad un terzo passaggio;

L'internalizzazione

I motivi - i concetti - i valori - non sono semplicemente nostri ma progressivamente diventano parte anche del ragazzo/a, se ne appropriano, non fanno più le cose per paura o convenienza ma perché hanno colto il senso profondo ed allora "come stare vicino a loro?"

Lo dico in modo sintetico con quattro parole - quattro atteggiamenti:

Motivare
non si può comandare e basta ; a partire da questa età sempre più capace di educare è l’atteggiamento con cui ci si pone.
Questo salto è sempre molto faticoso perché con i figli siamo a stretto contatto e quando ci esasperano diciamo: lo fai perché lo dico io altrimenti ti butto dalla finestra! loro capiscono e lo fanno, ma al di là di questa battuta c’è la fatica di fare un salto nella dinamica relazionale educativa.
Questo vale anche per noi educatori che abbiamo portato avanti questi ragazzi dalla 5° elementare ad oggi, anche noi possiamo vivere lo stesso rischio di non fare questo salto, ecco che il motivare tocca esattamente ciò che abbiamo appena detto.
Il nostro problema non è ottenere un comportamento ma motivare una richiesta, una serie di valori, di istanze, di esperienze che possiamo proporre loro.
Devo avere dentro come educatore questa preoccupazione, dire a me stesso che non mi interessa se il ragazzo/a fa ciò che gli propongo per me, per gli amici, per l’educatore, ma ciò che conta è che capisca cosa io sto chiedendo e perché, accettando anche il rischio che non lo faccia ma responsabilizzandolo, facendo leva sulle sue scelte.
Bisogna stare attenti a questi meccanismi perché potremmo trovarci con metà dei ragazzi ma è un rischio da correre, in questo senso si parla di rischio educativo.

Pazienza
parola molto vicina a soffrire - patire.
Dobbiamo avere la capacità di vedere quel che ancora non c’è per poterlo comunicare, e sostenere i ragazzi/e nel loro cammino.
Pazienza vuol dire da una parte saper attendere, sostenere le richieste cercando noi di essere capaci di vedere quello che ancora non c’è, e dall’altra parte saper aspettare, sapendo che è in atto un processo di trasformazione, incoraggiandoli.
Ma pazienza, abbiamo detto, vuol dire anche soffrire - patire : dalla nostra maturità fisica, che può essere molto rassicurante, possiamo comunicare fiducia ma nello stesso tempo potremo patire la sofferenza di chi attende un passo, una scelta, una decisione che possono prendere solo loro e che noi non possiamo anticipare, non possiamo sostituire, propiziare.
Ci sono alcuni salti di crescita che debbono fare loro e questo è sostenuto in una attesa paziente che porta anche il peso e la fatica di non vederli questi risultati ; questa è la nostra sofferenza.

Accoglienza
è la metafora della gestazione - accogliere vuol dire portare dentro di se.
Secondo questa immagine, quando una persona nasce trova qualcuno, un luogo, che lo accoglie così come è ; quando si mette al mondo un figlio non si va a vedere se è maschio o femmina, un essere umano per venire al mondo deve essere accolto così come è.
Questo atteggiamento è fondamentale perché questi ragazzi/e lo colgono, hanno una sensibilità fortissima e capiscono se noi siamo accoglienti, se prima di tutto li accettiamo così come sono e, infatti, è a partire da questo che poi loro potranno cambiare e cito un episodio del Vangelo che è emblematico cioè l’episodio di Zaccheo : quale è l’elemento chiave che porta Zaccheo a fare un processo di trasformazione e di crescita ? Zaccheo si sente accolto perciò che è.
La stessa cosa può valere per noi : prima ancora di dire che un ragazzino/a ha un atteggiamento strafottente, dobbiamo portarli dentro di noi perché possano nascere a loro stessi e perché questo processo di identificazione li possa finalmente portare ad essere delle persone nuove.

Ascoltare
non solo significa cogliere tutto ciò che nella loro esistenza è lanciato all’esterno ma riconoscere tutto ciò che appartiene al loro mondo relazionale familiare, di amicizia, perché ci possa rivelare chi sono loro in questo momento e cosa stanno vivendo ; questa è la prima delle fatiche che dobbiamo fare per poter stare loro accanto facendo non la cosa giusta, ma la cosa meno sbagliata.
Ascoltando riusciremo a fare la richiesta giusta e a sostenere l’invito, l’esperienza che da parte nostra può aiutarli nel processo di crescita.
E’ un esercizio, un attitudine che dobbiamo saper sviluppare sapendo che il nostro ascolto comunque è sempre viziato e condizionato da noi stessi.
Se un ragazzo/a si sente ascoltato sa che i suoi problemi sono importanti anche per noi, quindi saper ascoltare è già, automaticamente, dare un messaggio: tu sei importante, tu sei prezioso a me.
L’ascolto è un messaggio che noi diamo.