S.Agostino in Rocca d'Elmici
brevi note di storia di Franco Zaghini - Prima parte

La chiesa di S. Agostino ha profumo longobardo. Non solo era posta nelle vicinanze del "limes", del confine cioè, fra la Tuscia Langobarda e l'Esarcato bizantino (oppure, considerandola sotto altro aspetto, era prossima ad uno degli avamposti che delimitavano, verso la pianura, la provincia tardo-romana delle "Alpes Appenninae"), ma era sita nel territorio di Rocca d'Elmici(toponimo di chiaro riferimento longobardo) e la stessa intitolazione della chiesa rimanda al Santo protettore dei Longobardi. Possiamo dire, con frase abusata ma vera, che le sue origini si perdino nel buio del Medioevo, mentre la sua documentazione certa risale alla seconda metà del XII secolo, quando troviamoquesta chiesa già ben inserita fra i possedimenti, le"dépendances", e "grace" del monastero ravennate di S. Maria in Porto. La vita di questa chiesa (che assunse cura d'anime, divenendo cioè parrocchia, abbastanza tardi) e le sue vicende non oltrepassarono mai i limitati confini della bassa valle del Rabbi, e ciò che più interessa l'odierno visitatore è la sua modesta e lineare architettura romanica, di un romano autoctono non deturpato da restauri alla "lombarda", nonochè la stratificata decorazione pittorica dell'interno. La prima documentazione della chiesa di S. Agostino ci riporta al 1177 quando la troviamo già ben esistente, rappresentata dal suddiacono Tebaldo che ne è il rettore ed esercita il ruolo di procuratore della Canonica di S. Maria in Porto di Ravenna e riceve in donazione da Rigo delle Caminate e dai suoi figli Benno e Andolfo, mezzo campo di Paganello, ubicato nella pieve di Bussano (attuale S. Lucia) e in località Furcomino.
Come le ricerche più accreditate hanno già appurato a proposito della Canonica ravennate di S. Maria in Porto, che cioè 1'intervento di Pietro Peccatore (fine sec. XI - inizio XII) fu, soprattutto, un restauro della chiesa ed una riforma della vita canonicale (viene definita in questo modo una forma di vita comune fra il clero che, regolamentata in epoca carolingia, si diffonde vastamente durante il periodo della riforma gregoriana e si differenzia sia dalle forme di vita monastica di regola benedettina che dalle successive esperienze mendicanti), ambedue già esistenti, allo stesso modo crediamo che si debba pensare che il 1177 non costituisca il termine "a quo" della chiesa di S. Agostino, bensì solamente quello della prima testimonianza scritta. Come sì e accennato più sopra, si può legittimamente opinare che già dalla tarda romanità in questa zona confinaria, nei pressi di un fiume, il Rabbi (qui non si affronta affatto 1'intricato problema dei fiumi forlivesi ed in modo particolare di questo Rabbi "Raiborum" (un genitivo plurale di cui è scomparsa ogni altra declinazione) o un più addomesticato "Rapidus", detto più a valle "flumen liviense") che si apprestava a lasciare i salti scoscesi delle ultime balze appenniniche, abbiano trovato dimora alcuni o, secondo i tempi, anche un solo eremita che aveva stretti legami con il vicino castello di Rocca d'Elmici; la comune appartenenza a11o stesso gruppo sociale, probabilmente longobardo, rende ragione della intitolazione della chiesa. Non meraviglia per nulla la presenza di un eremo nell'Appennino tosco - romagnolo: ne era pieno! Si può anche lasciare cadere 1'ipotesi di una comunità eremitica autoctona per lasciare spazio ad un più normale luogo di culto che solo all' epoca della dipendenza da S. Maria in Porto ha assunto la fisionomia di una piccola "canonica". Non sono affatto chiari i più antichi legami con la Canonica di S. Maria in Porto di Ravenna e certamente non vanno ricercati, come qualcuno ha fatto, nella presunta comune sequela della regola agostiniana che avrebbe, in prosieguo di tempo, subordinato il più piccolo eremo alla più grande Canonica. Infatti 1'assunzione della regola agostiniana, cosi come è intesa oggi, costituisce un fenomeno dei secoli tardomedievali (XIII - XIV). Con ogni probabilità bisogna vedere nella dipendenza di S. Agostino da S. Maria in Porto di Ravenna un momento di quel diffuso fenomeno che vede realtà ecclesiastiche ravennati costituirsi un consistente patrimonio nell'entroterra romagnolo (arcivescovado, monasteri di ogni genere) in stretta correlazione con le famiglie laiche, non si dimentichino gli stretti rapporti dei signori di Particeto con la famiglia dei Duca di Ravenna. Non è possibile, allo stato attuale degli studi più seri, fare più chiara luce sulle relazioni patrimoniali e giurisdizionali delle realtà ecclesiastiche e laiche in questa tormentata terra di confine. Come ha dimostrato, con insuperata chiarezza e documentazione Guido Carlo Mor,la zona tra Fiumana e Predappio è, sotto il profilo confinario una delle più tormentate del già tormentato appennino forlivese. In essa venivano a scontrarsi gli interessi più vari delle più disparate realtà ecclesiastiche e laiche. La pertica romana forlivese si scontrava con quella forlimpopolese; la pieve forlivese di S. Lorenzo in Noceto confinava con le due pievi forlimpopolesi di S. Cassiano in Pennino e di S. Maria in Bussano (che poi diventerà S. Lucia); i retaggi della regione delle "Alpes Appenninae" e del "limes" bizantino, faranno sorgere una miriade di castelli ove si annideranno signorotti locali violenti ed irrequieti, che troveranno in Dante un cantore veritiero allorquando dirà: "Romagna tua non è e non fu mai / senza guerra ne' cuor de' suoi tiranni"; "che muta parte dalla state al verno"; "tra tirannia vive e stato franco" (Inf. XXVII). Questi rapporti sono estremamente complessi, soprattutto nel tardo medioevo, così che è molto difficile chiarire, volta a volta, le singole relazioni e dipendenze, fra cui quella rivendicata da Meldola verso S. Agostino nel sec. XIII. Nulla impedisce di pensare che S. Agostino, fondata come chiesa privata da un ricco possidente della zona, o/e dotata di possedimenti da qualche benefattore, sia poi entrata, tramite acquisto o donazione, nell'orbita della Canonica ravennate, all'epoca in cui questa ricevette nuovo impulso per la riforma di Pietro Peccatore; la Canonica "madre" la quale ne fece una dipendenza, una "grancia", stabilendovi nei pressi una "donicalia" (i termini sono praticamente sinonimi, cioè un luogo di raccolta e di smistamento dei prodotti agricoli ricavati dai propri terreni dei dintorni). Per la sua importante funzione economica e per rafforzare una presenza che a lungo andare si connotava anche come referente spirituale e sociale, in tempi diversi, presso la chiesa abitò una piccola comunità canonicale ed il complesso assunse la fisionomia di un piccolo monastero. Il privilegio di papa Celestino III: "confermo tutto ciò che possedete nel territorio del vescovado di Forlimpopoli e di Forlì con la cappella di S. Agostino", 15 maggio 1196 ", indirizzato al monastero di S. Maria in Porto può far legittimamente opinare, dal tono in cui la cappella di S. Agostino è ricordata, come essa fosse il centro di riferimento che la Canonica ravennate aveva nel territorio forlivese e forlimpopolese. Già quando la più antica documentazione ci comincia a parlare della chiesa di S. Agostino troviamo che essa, posta nei pressi della strada che conduce alla Rocca d'Elmici (1230), appartiene ecclesiasticamente alla diocesi di Forlì e dipende dalla pieve forlivese di S. Lorenzo in Noceto; è ben costituita, sotto il profilo edilizio: non solo è ben esistente la chiesa dotata all'interno di un coro che deve servire ai canonici per la preghiera corale (1365 ") e all'esterno di un ampio portale (è esplicitamente ricordato il nartece, di cui resta ancora oggi 1'impronta al fianco della porta -1228- ); non poteva mancare il campanile, anche un piccolo, modesto, campanile a vela, ma di esso abbiamo memoria solo nel 1600, dalla scritta, appunto, che appare su di una campana "Sancto Rocho, 1600". Vi è il chiostro (almeno dal 1180 ), anima degli edifici monastici medievali. Ciò significa che gli edifici sono ben articolati (saranno detti anche "domibus" cioè "case" al plurale, 1471) e compattati almeno per tre lati (ponendo come quarto la chiesa). Non sia pleonastico notare come il chiostro fosse "porticato" (1186) con 1a possibilità di camminare al coperto e di ospitare almeno il notaio che roga gli atti. Vi sono naturalmente i vari edifici per 1'abitazione dei canonici: la "domus" (1186). In essa ha posto di rilievo la "caminata" (è dotata di camino quasi come il "calefactorium" delle grandi abbazie) in cui ci si riscaldava durante 1'inverno, essendo essa 1'unica stanza nella quale esisteva il camino (1318 ). Vi è la "curia" (1305), termine generico per indicare il complesso edilizio, o forse proprio I'offiziolo, nel quale si custodivano le carte dell'amministrazione, si trattavano i diversi problemi con i lavoratori, con i fornitori, con la casa madre. Per qualche tempo perfino il solaio dovette essere usato con normalità, in esso infatti si stendono atti notarili (1399, 1400). Quando anche il nostro S. Agostino entrerà in crisi e rimarrà solo un rettore, al posto della piccola comunità, vi sarà anche la "camera del prete" (1462). Presso il complesso edilizio monastico vi è il cimitero che non incute alcun terrore anzi, familiarmente, vi si compiono atti usuali, come la stesura di atti notarili e quindi di compravendita (1186, 1305). In realtà essi venivano compiuti anche all'interno stesso della chiesa (1188) ma bisogna tener presente che, come per le grandi cattedrali della città, le piccole chiese della campagna servivano per il ritrovo di tutta la comunità anche quando essa doveva trattare di cose attinenti alla sfera profana. Per la sepoltura non solo si usava una piccola porzione di terreno adiacente al cimitero ma vi era la possibilità, per i più abbienti, di essere sepolti presso 1'ingresso maggiore e, addirittura, al suo interno, come capitò al nobile signore Rainerio figlio di Rainerio di Particeto che, per esservi sepolto, lasciò la non scarsa somma di lire 3 (1248). Nelle vicinanze della chiesa, probabilmente presso un incrocio di strade che formava un trivio (1342), vi era un pilastro con sopra una croce (se ne vede una simile in S. Mercuriale di Forlì) vicino alla quale ci si riuniva con frequenza (1287). Tutti questi spazi erano circondati all'esterno da una "curtis" (non osiamo addentrarci nel più complesso significato medievale di questa parola, che ci sembra esorbitare dall'uso più moderno che, invece pare emergere dalla carta del 1268 che la riporta, cioè come cortile, pur persistendo, nella stessa carta, a proposito della Flamigna, il significato più antico). Poco più lontano, in località Campo Maggio più precisamente detta "Casazza", vi è 1' ospizio per i viandanti curato dai canonici di S. Agostino (1517). Oltre agli edifici che dovevano esistere nella Donigaglia (che tuttavia all'inizio del 1600 sembra scomparsa) la chiesa si arricchì di un mulino di grano con la casa, il canale, la chiusa e tutto quanto altro era di tradizionale pertinenza (1542). Seconda parte