S.Agostino in Rocca d'Elmici
brevi note di storia di Franco Zaghini - Seconda parte

Si è cercato di dare una visione, quanto mai approssimativa, del complesso edilizio di S. Agostino, così come emergeva dalla documentazione scritta giunta fino a noi, soprattutto per il periodo che riguarda il medioevo; evidentemente essa è parziale e dovrebbe essere completata con quella che potrebbe manifestarsi con ben condotti scavi archeologici; purtroppo dai documenti medievali non è possibile, allo stato attuale della ricerca, dedurre di più. La ricca documentazione di S. Agostino, conservata tra le carte della Canonica di S. Maria in Porto di Ravenna, presenta la caratteristica tipica della documentazione medievale che è giunta fino a noi: amministrativa. Sono infatti quelli gli atti che meglio vengono tutelati, poiché testimoniano le proprietà, i rapporti di subordinazione e di dipendenza che consentono di ubicarsi saldamente, con le solennità della legge, nel reticolo delle relazioni sociali ed economiche. Tutte le informazioni che abbiamo riportato più sopra sono solo casuali accenni notarili. A questo punto bisognerebbe soffermarsi su questi documenti estremamente aridi, utili ad un'opera di storia economica e non a queste poche pagine di divulgazione. Senza dilungarci eccessivamente daremo alcune notizie anche sull'aspetto più materiale della vita della comunità di S. Agostino. Si è detto che essa dipende - è proprietà - da S. Maria in Porto e quindi la superiore autorità "in materialibus" non è il vescovo di Forlì o lo stesso rettore, bensì il Priore di S. Maria in Porto, come legale rappresentante della Canonica. I beni, la chiesa stessa di S. Agostino, appartengono alla Canonica ravennate, il rettore è nominato da questa e ogni movimento finanziario deve essere da essa autorizzato. Perciò la documentazione ci presenta spessissimo lo stesso Priore di Porto che agisce come titolare ultimo di S. Agostino ed il rettore della piccola chiesa che agisce in nome, per conto, come suo procuratore. La dipendenza dal vescovo è pressochè nulla, non solo perché la nomina del rettore dipende dal Priore di Porto, ma anche perchè non è ben chiaro, almeno fino alla meta del XV secolo, se S. Agostino abbia regolare cura d'anime, abbia solo un'occasionale dipendenza spirituale dalla pieve di S. Lorenzo, stretta com'era fra il confine diocesano, a monte, e 1'abbazia di Fiumana a valle, tenuto anche conto che, nel castello di Rocca d'Elmici, vi erano una o, forse, due chiese. Anche sotto 1'aspetto patrimoniale le cose non sono molto chiare, perché tutti i possedimenti che la Canonica ravennate ha in zona, fanno riferimento a S. Agostino, come centro amministrativo, sono destinati alla Canonica e solo una piccola parte, di fatto, serve al mantenimento degli edifici e del personale di S. Agostino. Infatti, più tardi, troviamo chiaramente che tutti i beni sono di pertinenza della Canonica e che il rettore riceve uno "stipendio" annuale e che 1' autorità ravennate interviene direttamente a proposito della manutenzione e restauro degli edifici. Sarebbe fuorviante quindi pensare che la vasta proprietà fondiaria di cui la Canonica era titolare nella valle, così come è testimoniata dai documenti, servisse alla piccola "grancia". Avrebbe infatti posseduto: mezzo campo di Paganello, terra, selve, clausure in Furcomino, in Campo Maggio, in Particeto, in Rocca d'Elmici, in Bufaloria, in Grizzano, in Salto, in Flamigna, in Dogheria, in Veneri, in Basino, in Fossa de Siverio, in Fossabitilli, in Donigaglia, in Piano, in Massa, in Latino, in Lamola, in Lavello, in Riva, in Campo di S. Rufillo, in Montevecchio, in Castelnuovo, in Batimascine, in S. Martino, in contrada S. Giacomo in Contubernio (meglio Canterbury, cioè la parrocchia della Cattedrale) di Forlì, in Peltla, in Spissarca, in Santa Fiora, in Monte Guidi, in Cordula maggiore e minore, in Pozzolo, in Petrosola, in Casledo, in Finisteulo, in monte Cerbario, in Petrosa, in Ogliario, in Pantano, in Ronco, in Caminate, in Ceula (presso Castrocaro, la Canonica pretendeva di nominarvi il rettore), in Colaleclo, in Valsirolo, in Alfiano, in Flazano, in Farneto, in Laguna, in Gagliano, in fontana di Andreolo, in Caudoli, in Brusada, in campo degli Olivi, in clausura de Buciis, in Ortale, in Castagneto, in Terralba, in Pozzo bianco, in Spinagata, in riva Barbaria, in Nortale, in Salso, in Pereto, in Doccia, in Pausatorio, in Montecchio, in Albarello, in Fiume morto, in Predappio, in Traversara, in Prati, in Rovinada, in Budrio e tanti altri luoghi "ubicumque positi", che non è possibile continuare a ricordare singolarmente, molto interessanti per ricostruire la toponomastica medievale della bassa valle del Rabbi e di altre varie zone. Si tenga presente, inoltre, 1'effettivo significato pratico delle enfiteusi e delle donazioni con relativa concessione enfiteutica, con forme generiche di livello e di affitto. Viene anche suggerito come avveniva il pagamento di certe forme di "affitto": ogni anno nel giorno della Natività del Signore (= Natale) si offrivano alla Canonica due "focatici"; ogni anno, nella festa di S. Agostino, un pollastro e uno staio di grano. Tutto questo richiederebbe un'esposizione che esula dall'intendimento di questo opuscolo. Naturalmente c'e anche il risvolto delle tasse da pagare; è documentato il pagamento delle decime nel 1290 -1292. S. Agostino paga oltre 14 lire, cifra di tutto rispetto fra quelle della diocesi di Forlì - fra le più alte - che testimonia una vasta e ricca proprietà.Fra queste transazioni amministrative ve n'è una che è spesso ricordata ma alla quale è difficile attribuire un significato preciso: nel 1180, nel chiostro della chiesa di S. Agostino, Simone di Particeto concede a Tebaldo, rettore di S. Agostino, che accetta in nome di Alimano priore di Porto, la sua persona con I'anima, il corpo e tutti i possedimenti che aveva ovunque cioè nei castelli di Particeto, di Rocca d'Elmici, di Bufaloria, di Grizzano, di Salto, di Flamigna, di Dogheria e di Veneri. In base al diritto e alle consuetudini medievali non è facile dedurre, come hanno fatto alcuni, che con questo documento, Porto o più ancora S. Agostino, diventassero signori di questi castelli. L'analisi del documento richiede uno spazio che qui non è consentito, ma ci sembra basti accettare la donazione di beni posti nei territori di quei castelli, con un patto vassallattico che non va oltre un'onorifica cessione cui non corrispondeva un'effettiva trasmigrazione di titolo proprietario. Mai infatti Porto, e per lui S. Agostino, ha mai accampato alcuna signoria feudale o anche solo una proprietà fondiaria generalizzata in quegli ambiti territoriali. Tuttavia due documenti del 1264" sembrano indicare una classica situazione di vassallaggio medievale da parte degli uomini di Particeto e della Flamigna verso la Canonica ravennate. Anche nel 1314 vari personaggi della Flamigna giurano di salvaguardare la persona del priore, dei fratelli e tutti i beni della Canonica e di S. Agostino. Anche nella cosiddetta concessione del castello di Rocca d'Elmici al Comune di Forlì, nel 1209, non sembra si debba vedere altro che la concessione dell'uso delle proprietà che Porto aveva in detto Castello e che la comunità forlivese poteva usare per i propri scopi di politica regionale . I termini del patto sembrano ricalcare moduli standardizzati (hostium, cavalcatam, guerram, pacem, labores, collectas, dacios, etc.) più che esprimere una concreta realtà mai altrove documentata. Tanto è vero che ancora nel 1213 sorgono scontri a proposito dei rispettivi diritti . Non doveva essere facile, anche per una grossa realtà come la Canonica ravennate, mantenere in buona efficienza la complessa realtà dei suoi possedimenti e dei mille e diversi rapporti con i superiori, gli inferiori e i vicini di ogni tipo, soprattutto in un'epoca di decadenza, come il secolo XV nel quale i canonici si erano rarefatti, il Priore commendatario badava quasi esclusivamente all'esazione dei frutti del consistente beneficio e 1'amministrazione spicciola si faceva sempre più difficile. Cosi a S. Agostino troviamo la singolare figura di Giovanni di Giacomo, detto il conte di S. Martino (dal 1406 al 1411), che ora appare come laico (più tardi infatti apparirà la moglie Onestina), poi come diacono, poi come rettore di S. Agostino, poi ancora come semplice laico. Egli ha ricevuto in affitto dal cardinale Angelo di Lodi, il priorato di S. Agostino e grande parte dei beni che la Canonica aveva da quelle parti. Quarantaquattro affittuari gli dovevano pagare i censi più vari: un paio di galline, un paio di pollastri ed una giornata di lavoro nel mese di maggio, un cappone, sei once di cera, mezza giornata di lavoro con i buoi, uno staio di grano, un barile di vino, un capretto, due focacce, la quinta parte di una spalla di maiale, due once di spezie, ecc . Sembra succedergli tale don Lorenzo di Marco da Venezia (1452) che paga alla Canonica 1'affitto di dieci ducati d'oro il 5 e il 15 agosto e nella festa di S. Martino. Dei dieci ducati due saranno spesi per la manutenzione della chiesa di S. Agostino. Nel 1499 tutto il complesso di beni che ruota attorno a S. Agostino viene affittato da Giacomo da Piacenza, priore della Canonica, a Mariano da Siena, per otto ducati d'oro. Per I'epoca moderna le cose sono un po' più semplici perchè la documentazione è più vasta (purchè qualcuno non creda che si possano rinvenire dettagliate piante con alzati e disegni delle decorazioni). Nella seconda meta del secolo XVI, quando cominciò da parte dei vescovi una più precisa sorveglianza sui preti e sulle chiese, si incominciano ad avere notizie anche di altro tipo. Non sembra che in S. Agostino vi fosse più una comunità anche se, nella visita pastorale del 1579, il vescovo forlivese Del Giglio, fu accolto in S. Agostino dal canonico priore e da un cappellano. Nella prima visita postridentina tenuta da mons. Giannotti (1564) gli ambienti dovevano essere ancora ospitali e confortevoli perchè il Vescovo vi pemottò e nella visita successiva (1567) lo stesso Vescovo notò che tutto vi era in ordine e amministrò anche la cresima ai giovani del circondario. Dal secolo XVII sappiamo qualcosa di più soprattutto a proposito della chiesa (1669). Vi è l'altare maggiore sul quale è custodito il SS.mo Sacramento, così come era stato comandato dal Concilio di Trento, e vi brilla in continuazione la lampada tenuta accesa a cura della Compagnia del Santissimo Sacramento che possiede un piccolo appezzamento di terra, dal cui ricavato si acquista 1'olio che deve brillare sull'altare. Sul muro a fianco del1'altare vi è il tabernacoletto per la conservazione degli Olii santi. Vi è 1'altare di S. Biagio, titolazione certamente antica per uno dei santi maggiormente venerati nel medioevo ma, nel 1669, si è aggiunto il titolo di S. Carlo, il campione della riforma tridentina; l'altare però già verso la fine secolo è in completo stato di abbandono e viene soppresso. Segno che fra i tanti pastori di quest'umile chiesa di campagna vi è stato un rettore ben convinto di quel1'opera (era forse don Apollinare il convinto riformatore?) e morto lui è venuto meno il suo spirito... Al lato opposto della chiesa 1'altare della Madonna, Maria Immacolata, anche in questo caso si può notare una consonanza fra i costruttori di quest'altare (i signori Cattani, 1682) e la rinnovata devozione mariana postridentina, secondo la sensibilità dei frati francescani (e non di quella Madonna della cintura o della consolazione più tipica de11'ordine agostiniano). Si nota che questo altare è servito da un sacerdote estraneo alla comunità canonicale - don Domenico de Fornasini; siccome l'altare è titolare di alcuni beni che producono un certo frutto legato alla celebrazione di messe, esse sono da lui celebrate così che ne consegue il proprio sostentamento. Non sappiamo se vi sia un altro altare dedicato alla Madonna ma verso il 1690 ne appare uno intitolato a quella del Rosario. Era quello precedente che ha provvisoriamente cambiato titolo oppure era stata aggiunta una piccola mensa sotto uno degli affreschi delle pareti laterali ed era stato così intitolato? Sappiamo qualche cosa anche delle suppellettili: vi è un confessionale (1573); vi è un reliquiario con le reliquie di S. Massimiliano; sull'altare maggiore vi sono dodici quadretti dipinti con la cornice dorata (sono ex voto?); cinque quadri dipinti (quali i soggetti?); quattro panche; un pancone per sedere; una statua di legno di S. Agostino. Nel 1700 appare, in una zona della parrocchia non meglio precisata, un pilastrino chiamato "Madonna della celletta", attorno ad esso è fiorita una certa devozione popolare, vi si raccolgono delle offerte e il Vescovo ordina al parroco di tenerne una accurata contabilità. A questo punto bisognerebbe inserire una piccola nota che riguarda più la politica ecclesiastica in generale che la nostra piccola chiesa, ma siccome fu per esserne toccata bisogna parlarne. II medioevo aveva lasciato una abbondantissima eredità di piccoli conventi e monasteri sparsi un po' ovunque; essi erano retti da uno o due religiosi che non potevano affatto vivere in maniera adeguata la vita conventuale secondo la regola; servivano più che altro a raccogliere offerte da destinare alla casa madre e, più che offrire un servizio pastorale o dare una testimonianza cristiana, dimostravano il contrario. Per ovviare ai fin troppo chiari disordini i papi cercarono di sopprimere i conventi troppo piccoli (papa Innocenzo X, cost. "Inter caetera", 1649) ed anche il nostro S. Agostino non poteva non entrare in questo numero. Riuscì a salvarsi dimostrando il suo ruolo parrocchiale (1654). D'ora innanzi, pur essendo sempre proprietà di S. Maria in Porto di Ravenna intensificò i suoi legami con il vescovo forlivese e fu considerata una parrocchia a tutti gli effetti. Ritornando agli edifici parrocchiali si deve notare che se la narrazione scorre veloce, i secoli macinavano lentamente gli anni e i giorni e questi, a loro volta, lasciavano il segno su quegli antichi stabili che diventavano sempre più fatiscenti. Il richiamo dei vescovi visitatori al restauro degli ambienti è puntuale ma 1'esecuzione è sempre molto lenta, anche in virtù della speciale configurazione patrimoniale della chiesa: essa non possiede alcun bene, il parroco è stipendiato dalla Canonica di Porto e non ha la possibilità di intervenire in materia cosi costosa; la lontana Canonica non si preoccupa affatto della piccola chiesa, quasi sperduta nella vallata del Rabbi. Tuttavia il secolo XVIII vede alcuni radicali interventi che modificheranno profondamente la morfologia della antica piccola "canonica" che ospitava una comunità e la trasformeranno in casa adatta ad un solo sacerdote. Finalmente nel 1763 abbiamo questa testimonianza da parte del notaio vescovile che segue la visita: "visitò tutta la chiesa e vide che era lastricata e possedeva un unico altare, uscendo osservò il portico (il nartece?) e vide che il cimitero non era circondato né da siepe né da muro, si accorse inoltre che le due campane erano rotte; la casa parrocchiale era però sufficientemente comoda e vide 1'antica fabbrica che costituiva il vecchio monastero parte distrutta e parte prossima a cadere. Indubbiamente erano stati fatti dei lavori ma in considerazione dello stato ormai irrecuperabile dei vecchi edifici si era proceduto a costruire ex novo e altrove la nuova canonica (agli archeologi una risposta più precisa). Nonostante tutto la situazione non era delle migliori, ancora nel 1767 la chiesa si presenta senza soffitto se non nel catino dell'abside in cui e dipinto, "infelici penicillo" un sant'Agostino; le tombe sotto il portico hanno le chiusure sconnesse e beanti. Il coro serve da sacrestia, sono aumentati i quadri, ora ve n'è uno con la figura di sant'Agostino, san Michele e la Vergine, un altro con san Paolo ed un terzo con santa Elisabetta. Un più ampio documento del 1853 ci dà un'illustrazione della chiesa e della vita parrocchiale che possiamo ritenere valida fin quasi ai nostri tempi cioè quando una più moderna pastorale suggerita dal Concilio Vaticano II non ha indotto diversi cambiamenti. La parrocchia di S. Agostino confina a levante e mezzogiorno colla diocesi di Bertinoro, a ponente con Marsignano e S. Cristoforo, a settentrione con Fiumana. La chiesa (si danno queste dimensioni: lunghezza della navata m. 8,50, larghezza m. 5,80, lunghezza del presbiterio m. 3,30, il coro m. 2 x 4) si presenta non consacrata (fatto di non grande rilevanza perchè non era un gesto necessario all'esercizio del culto); né soggetta ad un patrono laico od ecclesiastico (con la soppressione di S. Maria in Porto effettuata dai francesi sul finire del XVIII la chiesa, con autonome funzioni parrocchiali si era trovata proprietaria di se stessa); in comune di Rocca d'Elmici, appodiato di Predappio, governo di Civitella, legazione di Forlì (sono le strutture amministrative pontificie); non ha possedimenti che ne permettano la conservazione od il restauro, a ciò supplisce la Compagnia del SS.mo Sacramento che possiede un appezzamento di terra, piantato a viti e ad alberi, dell'estensione di due tornature forlivesi, più una piccola selva ed un censo (un capitale a frutto presso privati ma debitamente registrato) di scudi 60 al 5%, questi cespiti consentono la manutenzione ordinaria della chiesa; nella chiesa vi sono tre altari: il maggiore è dedicato a sant'Agostino e gode del privilegio apostolico (celebrandovi la messa si poteva applicare ai defunti 1'indulgenza plenaria); quello a sinistra alla Madonna del Fuoco (riteniamo che il quadro settecentesco ancora oggi presente nella chiesa fosse già al suo posto in questi anni e sia quello di cui è detto, più tardi, essere stato regalato dagli Albicini che possedevano la vicina villa Pandolfa); quello a destra è dedicato a1 S. Cuore di Gesù; sotto il pavimento della chiesa vi erano quattro sepolcreti: uno comune, uno dei confratelli de1 SS.mo Sacramento, uno della famiglia Mambelli ed un altro della famiglia Cattani; vi è il cimitero che è di proprietà del comune di Rocca d'Elmici e a spese di quello viene mantenuto e custodito. La Compagnia del SS.mo Sacramento oltre che ad esistere da secoli ed aver nel frattempo accumulato quel piccolo capitale, era stata riformata con decreto di papa Gregorio XVI (come era avvenuto per le Confraternite di ogni tipo durante il periodo della Restaurazione), era stata aggregata all'Arciconfraternita di S. Maria sopra Minerva di Roma e godeva di tutti i suoi privilegi spirituali. Non vi sono particolari reliquie, né oggetti di particolare valore; si celebravano le feste: del SS.mo Sacramento, della Madonna del fuoco, di sant'Antonio abate (protettore degli animali), di san Macario abate (protettore delle campagne), del S. Cuore di Gesù. Si impartiscono con regolarità le lezioni del catechismo e si svolge una consistente opera di predicazione. Vi è un archivio parrocchiale che incomincia dal 1553 (piccola bugia perchè esso ha cominciato ad essere costituito nella meta del secolo XVII e più volte, nel periodo successivo viene dato per disperso, a tutt'oggi è di una esiguità disarmante). La parrocchia si compone di trentotto famiglie, di anime 198, tutte abitanti in casolari sparsi nella campagna, non essendovi alcun consistente borgo. Alla fine del secolo XVIII troviamo che in località Piazzano, nella villa della famiglia Amadori, vi è un oratorio dedicato al Nome di Maria. S. Agostino si presenta quindi come una piccola parrocchia della prima collina, esigua nelle sue dimensioni territoriali, nel numero dei suoi abitanti e nella consistenza patrimoniale tanto che la Reverenda Camera Apostolica (ministero delle finanze dello Stato pontificio) deve costituire, per rimediare alle soppressioni napoleoniche che avevano incamerato i beni di pertinenza della parrocchia (cioè della Canonica ravennate), un capitale di scudi 1796.49.4 che fruttino almeno scudi 87.19.6 coi quali il rettore possa vivere dignitosamente (1819). Non essendo questi ancora sufficienti nel 1863 il vescovo stabilì una tassa di quaranta scudi sui capitali dell'arcidiacono del Capitolo della Cattedrale di Forlì che doveva essere devoluta al rettore di S. Agostino e così integrare la somma necessaria per il suo sostentamento. Sostanzialmente le cose sono rimaste identiche fino ai grandi restauri di consolidamento delle strutture murarie della chiesa, di ripulitura e di rilettura delle pareti affrescate, del radicale rifacimento della canonica effettuati alla fine degli anni venti di questo secolo. Non è inutile riportare, secondo che ce lo consentono le fonti, un breve cenno sullo sviluppo della popolazione della parrocchia:
1371: 15 focolari (assieme a Rocca d'Elmici) 1656: 155, 1701: 190; 1708: 200; 1735: 160; 1763: 180; 1785: 180 (fam. 26); 1791: 167; 1812: 190; 1827: 167; 1853: 198 (fam. 38); 1856: 200; 1935: 340; 1990: 319.
La semplice costruzione in pietra arenaria e spungone locale colpisce per la sua linearità, si nota 1'originale finestra a forma di croce posta sulla facciata e il portale che doveva essere preceduto da un protiro. All'interno si identificano con chiarezza diversi cicli pittorici: uno antico e di difficile datazione che, posto nel1'abside, contiene tracce di figure sacerdotali, un altro dei secoli XIV - XV rintracciabile in tutta la fascia medio bassa della chiesa e nell'abside è costituito da segmenti pittorici che raffigurano: s. Sebastiano, s. Caterina (?), Madonna in Trono, altro s. Sebastiano e Santo, altra Madonna in Trono, una Annunciazione nell'arco trionfale, due Santi non più identificabili nel catino dell'abside, un'altra Madonna in Trono fra due Santi, una Presentazione al tempio della Madonna, un'altra Madonna in trono con due angeli che reggono un fastigio, s. Domenico, s. Girolamo, e altre due Madonne in Trono; del secolo XVI sono una fascia con una singolare e suggestiva Danza della morte ed alcuni festoni; un altro del secolo XVII nell'abside con un'Immacolata Concezione e Sant'Agostino; pitture decorative del secolo XX, fine anni '20, allorchè fu restaurato tutto il complesso.

Rettori di s.Agostino, priori e parroci