Nasce a Torino il 6 aprile 1901. Sua madre Adelaide Ametis era pittrice. Suo padre Alfredo, agnostico, aveva fondato il quotidiano liberale "La Stampa" e ne era proprietaRio e direttore. Amico di Giolitti, fu senatore del Regno e ambasciatore in Germania.
Di animo schietto e aperto, soprannominato "Robespierre" dagli amici con i quali aveva fondato la "Società dei tipi loschi", Frassati era l'amico dei poveri nei quali riconosceva Cristo. Ed il laicato di oggi, soprattutto i giovani che sono in cerca di un senso per la loro vita, troveranno un modello in cui identificarsi in questo ragazzo, sportivo, vivace, che univa l'attività politica all'impegno per la giustizia sociale, che visse la sua breve vita in pienezza. Terminati gli studi elementari in casa, frequenta con la sorella Luciana, minore di lui di un anno, la scuola pubblica "Massimo D'Azeglio". Passa poi all'Istituto sociale retto dai padri Gesuiti; si iscrive alla Congregazione mariana, all'Apostolato della preghiera e inizia, all'età di, 13 anni, la pratica della Comunione quotidiana che manterrà per tutta la vita. L'Eucarestia e la Vergine Maria venerata da lui particolarmente nel santuario di Oropa e alla Consolata di Torino, diventano i due luoghi della sua devozione. A 17 anni si iscrive alla Confraternita del Rosario di Pollone e a Torino diventa socio della conferenza di San Vincenzo, dedicando la maggior parte del suo tempo libero ai poveri, agli ammalati, agli orfani, ai reduci. Nel 1918 si iscrive ad ingegneria industriale mineraria al Politecnico di Torino. "Sarò ingegnere minerario", diceva ad un amico, "per poter ancor di più servire Cristo tra i minatori". Gli studi, che considerava il suo primo dovere, non gli impediscono l'attività politica e sociale. Milita nella Fuci e nella Gioventù Cattolica, il cui distintivo porta sempre all'occhiello. Si impegna in ambito politico: in contrasto con le idee liberali del padre nel 1920 si iscrive al Partito popolare italiano, appena fondato da don Sturzo. "La carità non basta, ci vogliono le riforme sociali", diceva impegnandosi in entrambe le realtà. La carità è sempre più la nota dominante della vita di Pier Giorgio. Essa non consisteva nel dare qualcosa agli altri, ai soli, ai bisognosi agli ammalati, agli amici, ma nel dare tutto se stesso. "I poveri senza Dio ed i sofferenti di ogni miseria naturale e morale erano i suoi prediletti", scriveva Giuseppe Lazzati, "anzi erano addirittura i suoi padroni ed egli faceva per loro letteralmente il servo, col fare di chi è persuaso di godere di un privilegio; i poveri li considerava i suoi superiori, nelle loro sofferenze onorava la passione di Cristo: perciò gli volevano bene, lo aspettavano, lo desideravano". Questa carità era nutrita dalla Comunione quotidiana, dal rosario che portava sempre in tasca, dalle adorazioni notturne, dalle epistole di San Paolo, che leggeva e meditava. |
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