Santa Madre Moretta

( Giuseppina Bakhita)

 

 

Siate buoni, amate il Signore, pregate per quelli che non lo conoscono. Sapeste che grande grazia è conoscere Dio!

 

 

M. Giuseppina Bakhita nacque nel Sudan nel 1869 e morì a Schio (Vicenza) nel 1947. Fiore africano, che conobbe le angosce del rapimento e della schiavitù, si aprì mirabilmente alla grazia in Italia, accanto alle figlie di S. Maddalena di Canossa. Bakhita non è il nome ricevuto dai genitori alla sua nascita. Lo spavento provato il giorno in cui venne rapita provocò alcuni vuoti di memoria. La terribile esperienza le aveva fatto dimenticare anche il suo nome.

Bakhita, che significa <fortunata>, è il nome datole dai rapitori.

Venduta e rivenduta più volte sulla strada verso El Obeid e a Kartoum, conobbe le umiliazioni, le sofferenze fisiche e morali della schiavitù.

Nella capitale del Sudan, Bakhita venne comperata dall'agente consolare italiano, il signor Callisto Legnani. Per la prima volta, dal giorno del suo rapimento, si accorse, con piacevole sorpresa, che nessuno, nel darle i comandi, usava più lo staffile, anzi la si trattava con maniere affabili e cordiali.

Nella casa del Legnani Bakhita conobbe la serenità, l'affetto e momenti di gioia, anche se sempre velati da nostalgia di una famiglia propria, perduta forse per sempre.

Situazioni politiche costrinsero l'agente a partire per l'Italia. Bakhita chiese ed ottenne di partire con lui e con un suo amico, un certo signor Augusto Michieli.Era con lei anche un altro moretto riscattato dalla schiavitù dal Legnani.

Giunti a Genova, il Legnani, pressato dalle richieste della moglie del Michieli, accettò che Bakhita rimanesse con loro. Ella seguì la nuova <famiglia> nell'abitazione di Zianigo (fraz. di Mirano Veneto) e, quando nacque la figlia Mimmina, Bakhita ne divenne la bambinaia e l'amica. L'acquisto e la gestione di un grande hotel a Suakin, sul Mar Rosso, costrinsero la signora Michieli a trasferirsi in quella località per aiutare il marito nel disbrigo dei vari affari. Nel frattempo, dietro avviso del loro amministratore, Illuminato Checchini, Mimmina e Bakhita vennero affidate alle Suore Canossiane dell'Istituto dei Catecumeni di Venezia. Ed è qui che Bakhita chiese ed ottenne di conoscere quel Dio che fin da bambina <sentiva in cuore senza sapere chi fosse>.

Dopo alcuni mesi di catecumenato Bakhita ricevette i Sacramenti  dell' iniziazione cristiana e quindi il nome nuovo di Giuseppina. Era il 9 gennaio 1890. Quel giorno non sapeva come esprimere la sua gioia. I suoi occhi grandi ed espressivi sfavillavano, rivelando un' intensa commozione. In seguito la si vide spesso baciare il fonte battesimale e dire:" Qui sono diventata figlia di Dio!".

Ogni giorno nuovo la rendeva sempre più consapevole di come quel Dio, che ora conosceva ed amava, l'aveva condotta a sé per vie misteriose, tenendola per mano.

Quando la signora Michieli ritornò dall'Africa per riprendersi la figlia e Bakhita, quest'ultima, con decisione e coraggio insoliti, manifestò la sua volontà di rimanere con le Madri Canossiane e servire quel Dio che le aveva dato tante prove del suo amore.

La giovane africana, ormai maggiorenne, godeva della libertà di azione che la legge italiana le assicurava.

Bakhita rimase nel catecumenato ove si chiarì in lei la chiamata a farsi religiosa, a donare tutta se stessa al Signore nell'Istituto di S. Maddalena di Canossa.

L'8 dicembre 1896 Giuseppina Bakhita si consacrava per sempre al suo Dio che lei chiamava, con espressione dolce «el me Paron!».

Per oltre cinquant'anni questa umile figlia della Carità, vera testimone dell'amore di Dio, visse prestandosi in diverse occupazioni della casa di Schio: fu infatti cuciniera, sacrestana e portinaia. Quando si dedicò a quest'ultimo servizio, le sue mani nere si posavano dolci e carezzevoli sulle teste dei bambini che ogni giorno frequentavano le scuole dell'Istituto. La sua voce amabile, che aveva l'inflessione delle nenie e dei canti della sua terra, giungeva gradita ai piccoli, confortevole ai poveri e ai sofferenti, incoraggiante a quanti bussavano alla porta dell'Istituto.

La sua umiltà, la sua semplicità ed il suo costante sorriso conquistarono il cuore di tutti i cittadini scledensi. Le consorelle la stimavano per la sua dolcezza inalterabile, la sua squisita bontà e il suo profondo desiderio di far conoscere il Signore.

Venne la vecchiaia, venne la malattia lunga e dolorosa, ma M. Bakhita continuò ad offrire testimonianza di fede, di bontà e di speranza cristiana. A chi la visitava e le chiedeva come stesse, rispondeva sorridendo: < Come vol el Paron>.

Nell'agonia rivisse i terribili giorni della sua schiavitù e più volte supplicò l'infermiera che l'assisteva: «Mi allarghi le catene... pesano!».

Fu Maria Santissima a liberarla da ogni pena. Le sue ultime parole furono: «La Madonna! La Madonna!», mentre il suo ultimo sorriso testimoniava l'incontro con la Madre del Signore.

M. Bakhita si spense l'8 febbraio 1947 nella casa di Schio, circondata dalla Comunità in pianto e in preghiera. Una folla si riversò ben presto nella casa dell'Istituto per vedere un'ultima volta la loro «Santa Madre Moretta» e chiederne la protezione dal cielo.

1992.... 17 maggio BEATIFICAZIONE - San Pietro - ROMA

Molte sono le grazie ottenute per sua intercessione nei decenni che seguirono la sua morte. La fama di santità si è ormai diffusa in tutti i continenti.

Il 1 Ottobre  dell' Anno Giubilare 2000

Sua Santita' Giovanni Paolo II ha proclamato 

M. Giuseppina Bakhita SANTA

 

 

 

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