San Nicola da Tolentino

Sacerdote

Castel Sant’Angelo (ora Sant’Angelo in Pontano, Macerata), 1245 - Tolentino (Macerata), 10 settembre 1305

 

 

Intorno a lui c’è sempre un’aura di prodigio, che comincia dalla nascita, avvenuta quando i genitori parevano destinati a non avere figli. Nel processo per la canonizzazione, aperto vent’anni dopo la sua morte, 371 testimoni verranno a parlare dei suoi moltissimi miracoli. Sappiamo inoltre che Nicola è anche un maestro di rigore ascetico, cioè di severità con sé stesso.

 

 

Un insieme di elementi certo eccezionali, ma piuttosto staccati dal vivere comune della gente, incapace di miracoli e non ghiottissima di penitenza. Invece Nicola – a dispetto delle controindicazioni – è un santo sempre popolarissimo proprio tra la gente comune, di secolo in secolo: è l’amico dei giorni feriali, che viene in casa portando la festa.

A 14 anni (è l’epoca dello scontro tra re Manfredi, figlio di Federico II, e papa Alessandro IV per i territori pontifici) entra fra gli Eremitani di Sant’Agostino di Castel Sant’Angelo, suo luogo natale, come “oblato”: cioè ancora senza obblighi e voti. Più tardi entra nell’Ordine e nel 1274 viene ordinato sacerdote a Cingoli. La comunità agostiniana di Tolentino diventa la sua “casa madre”; e suo campo di lavoro è il territorio marchigiano con i vari conventi dell’Ordine, che lo accolgono via via nell’itinerario di predicatore.
Anche le regole monastiche più severe alleggeriscono di solito certi obblighi (lunghe preghiere, digiuni) per chi è in viaggio o fuori sede. Lui invece non si fa mai sconti, perché dappertutto si sente a casa sua: dunque, preghiere e penitenze sempre. E alla gente quasi non sembra vero, perché all’ingrosso s’immagina l’asceta in un quadro di severità e di mestizia. Padre Nicola, invece, è un asceta che diffonde sorriso, un penitente che mette allegria. Lo ascoltano predicare, lo ascoltano in confessione o negli incontri occasionali, ed è sempre così: lui viene da otto-dieci ore di preghiera, dal digiuno a pane e acqua, e immediatamente fa il gesto e dice le parole che spargono sorriso. Molti vengono da lontano a confessargli ogni sorta di misfatti, e vanno via arricchiti dalla sua fiducia gioiosa.
Nel 1275 si stabilisce a Tolentino, dove resterà fino alla morte, sempre accompagnato da voci di miracoli. Ma un prodigio continuo è lui stesso, "sommamente straordinario nelle cose ordinarie", come scriverà il suo biografo, Agostino Trapé. Ai poveri, ai malati e disperati, non gli basta portare l’aiuto: vuole essere l’aiuto, anche con la sua persona, con la sua sommessa capacità di eccezionale promotore della comunicazione e della convivenza, che lo renderà attuale anche nel XX secolo.
La canonizzazione tarderà fino al 1446 per le vicende della Chiesa (Avignone, scisma d’Occidente). Ma la “notizia” della sua santità corre per le Marche e l’Italia molto tempo prima. E continua dopo, come mostrano le visite alla basilica di Tolentino che custodisce il suo corpo.

 

 

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