ELISEO Eb.ELISA (“Dio è salvezza”)

 

 

Il discepolo ed erede di Elia inizia la sua missione: ricevuto il mantello dal vecchio profeta

( a sinistra),

Eliseo separa le acque del Giordano ( al centro); singolarmente, tra i suoi primi miracoli è la maledizione dei ragazzi impertinenti, che vengono divorati da due orse

 ( a destra)

 

Discepolo di Elia, Eliseo fu un profeta di rilievo, operatore di miracoli, capo di un gruppo profetico e figura religiosa di primo piano in Israele, durante la seconda metà del IX secolo a.C. Divenne discepolo di Elia già nell'861-860 a.C., ma la sua missione profetica cominciò solo dopo che Elia ebbe concluso la sua, nell'850 circa. Pur continuando l'opera del maestro, Eliseo fu una voce meno solitaria e isolata, e piuttosto un profeta tra la gente.

Ascoltando di generazione in generazione le storie tramandate su Eliseo, il popolo amava soprattutto sentire come Dio manifestò il suo potere attraverso le parole e i gesti del profeta.

La maggior parte del secondo libro dei Re, scritto circa 250 anni dopo la morte di Eliseo, è dedicato alla salvaguardia delle tradizioni che lo riguardavano.

Eliseo era figlio di un agricoltore, un uomo di nome Safat, originario dell'antica cittadina di Abel-Mecola, nella fertile vallata del fiume Giordano. Quando Elia lo incontrò, era intento ad arare il suo campo, forse con la speranza di un primo buon raccolto di grano dopo i lunghi anni di siccità, e sembra che non avesse mai pensato di diventare profeta. Stava dirigendo altri 11 aratori, che conducevano ciascuno un paio di buoi attraverso il campo che doveva essere seminato. In quanto conduttore del dodicesimo giogo, Eliseo era in grado di controllare gli altri. Se il padre possedeva 24 buoi, la famiglia doveva essere abbastanza benestante. Ma dopo che Elia ebbe gettato il suo ruvido mantello su Eliseo, ungendolo profeta come gli era stato ordinato durante il suo incontro con Dio sul monte Oreb, la vita del giovane cambiò drasticamente. Dopo avere chiesto di andare a dire addio ai genitori, Eliseo corse dietro al profeta. Prima di partire, però, manifestò la sua rottura con la vita di agricoltore, macellando il suo paio di buoi, cucinandoli sul fuoco fatto con gli attrezzi per arare e distribuendone la carne ai vicini. Benestante o no, doveva diventare un profeta del popolo.

Quando Elia stava per lasciare questo mondo, Eliseo si rifiutò di separarsi dal vegliardo, sebbene Elia gli avesse ripetutamente detto di rimanere indietro. Dopo aver attraversato il Giordano con il suo seguace, Elia chiese a Eliseo: «Domanda che cosa io debba fare per te prima che sia rapito lontano da te»; Eliseo chiese: «Due terzi del tuo spirito diventino miei» (2 Re 2,9), cioè l'eredità del primogenito. Elia rispose che la sua richiesta sarebbe stata esaudita se lo avesse visto partire, insinuando cosi sia che Eliseo avrebbe dovuto avere fede sino alla fine, sia che Dio gli avrebbe concesso la visione. Naturalmente, mentre erano in cammino, Eliseo assistette all'evento: furono separati da un carro di fuoco e dai suoi cavalli, ed Elia fu rapito in cielo da un turbine.

Mentre il profeta ascendeva al cielo, il mantello con cui aveva coperto Eliseo per chiamarlo a essere suo discepolo, cadde a terra. Eliseo lo raccolse, lacerò le proprie vesti in due pezzi e, come aveva già fatto Elia, usò il mantello per dividere le acque del Giordano. L'opera miracolosa di Eliseo, erede sia del mantello sia dello spirito di Elia, era cominciata.

A ovest del Giordano, un gruppo dei cosiddetti "figli dei profeti" riconobbe subito che «lo spirito di Elia si è posato su Eliseo» (2 Re 2,15). Mentre si trovava con costoro a Gerico, Eliseo operò il suo primo miracolo di aiuto concreto. La sorgente dell'oasi di Gerico si era inquinata e provocava scarsi raccolti, aborti e morte. Quando la gente gli chiese aiuto, Eliseo ordinò di riempire di sale una pentola nuova e poi la gettò nella sorgente. Quindi annunciò che il Signore aveva reso «sane queste acque» (2 Re 2,21): la sorgente era purificata.

Il secondo miracolo suscita qualche perplessità nel lettore. Mentre era in cammino verso Betel, il profeta fu preso in giro per la sua calvizie - forse una specie di tonsura — da un gruppo di ragazzi. Il profeta maledisse gli offensori in nome del Signore e due orse «sbranarono quarantadue di quei fanciulli» (2 Re 2,24). L'episodio, che ci appare così sconvolgente, evidentemente voleva inculcare negli ascoltatori del tempo il senso della santità che il profeta impersonava. Come l'arca dell'alleanza che poteva portare morte a chiunque la toccasse, la santità di Eliseo non poteva essere sbeffeggiata senza terribili conseguenze.

 

IN AIUTO DEI POVERI

Molte delle tradizioni su Eliseo lo dipingono come un uomo compassionevole, che ha il potere di superare le difficoltà. Numerosi episodi, per esempio, comprendono brevi scene di vita ambientate tra i "figli dei profeti", comunità formate prevalentemente da famiglie povere.

Quando uno di costoro morì indebitato, la vedova e i suoi due figli rimasero indifesi alla mercé dei creditori, pronti a vendere i figli come schiavi. La vedova implorò aiuto da Eliseo, che salvò i fanciulli, servendosi dell'unica cosa che la donna possedeva, una giara d'olio. Su comando del profeta, la giara versò il suo liquido prezioso fino a riempire tutti i vasi in possesso della comunità. L'olio fu venduto e i creditori pagati. In un'altra occasione, la carestia costrinse i "figli dei profeti" di Galgala a condividere la pentola di Eliseo, contenente una minestra di erbe selvatiche. Poiché qualcuno per errore vi aveva aggiunto zucche velenose, l'intero gruppo rischiava la morte. Ma Eliseo risolse la situazione. Come in precedenza aveva purificato una sorgente gettandovi del sale, risanò il contenuto della pentola versandovi della farina. E ancora, una volta un uomo offrì 20 pani d'orzo come primizie del suo raccolto e con quei pochi pani il profeta sfamò miracolosamente un centinaio di persone e ci furono anche avanzi.

Circa 1000 anni dopo, miracoli simili verranno attribuiti a Gesù.

In alcune località, le comunità dei profeti vivevano in quartieri comuni, sotto la direzione del grande profeta. Un giorno essi dissero a Eliseo: «Ecco, il luogo in cui ci raduniamo alla tua presenza è troppo stretto per noi» (2 Re 6,1) e perciò sarebbero andati lungo il Giordano a tagliare ceppi dagli alberi che crescevano sulle rive per costruirsi una nuova dimora. Fortunatamente il profeta decise di andare con loro. Mentre uno stava abbattendo un albero con un'ascia presa in prestito, questa uscì dal manico e cadde in acqua, scomparendo; allora il profeta tagliò un ramoscello e lo gettò nel fiume proprio dov'era caduta l'ascia. L'attrezzo di ferro emerse in superficie e fu facilmente recuperato dall'uomo che l'aveva perso.

 

IL POTERE SULLA VITA

Oltre a numerosi miracoli raccontati in poche parole, il secondo libro dei Re contiene anche narrazioni più ampie, brevi drammi con più scene e caratteri tratteggiati compiutamente.

Il primo e forse più emozionante di questi racconti è quello di Eliseo e della donna benestante di Sunem, città a nord di Izreel. Insieme al marito, la donna aveva deciso di aiutare il profeta nella sua opera, offrendogli cibo e alloggio durante i suoi abituali viaggi attraverso Israele. Volendo ricompensare la loro generosità, e avendo scoperto che la coppia non aveva un erede a cui lasciare la sua considerevole ricchezza, Eliseo promise alla sunammita un figlio entro l'anno. Con comprensibile scetticismo, la donna replicò al profeta di non burlarsi di lei, ma la promessa di Eliseo si realizzò.

La scena successiva si svolge diversi anni dopo. Il ragazzo, che era già abbastanza grande per accompagnare il padre nei campi, improvvisamente esclamò: «La mia testa, la mia testa!» (2 Re 4,19) e cadde esanime, colpito forse da insolazione. Fu portato così dalla madre, che lo tenne tra le sue braccia finché lo vide spirare. Distrutta dal dolore, stese il fanciullo sul letto nella stanza di Eliseo e partì alla volta del monte Carmelo, uno dei luoghi dove Eliseo soggiornava di solito. Appena arrivata, si gettò ai piedi del profeta, implorando aiuto. Sulle prime, Eliseo mandò il suo servo Giezi a toccare il fanciullo con il bastone del profeta, ma la sunammita non volle lasciare il profeta finché egli stesso non decise di tornare con lei.

La scena si sposta quindi, di nuovo, in casa della donna. Giezi non era riuscito a far alzare il fanciullo, ed Eliseo dovette affrontare personalmente la morte. Pregò Dio e si stese sopra il corpicino del morto, «pose la bocca sulla bocca di lui, gli occhi sugli occhi di lui, le mani nelle mani di lui» (2 Re 4,34) e con il suo corpo ridiede calore a quello freddo del fanciullo.

Poi Eliseo si alzò, camminò avanti e indietro e si distese ancora sul ragazzo. Questa volta il fanciullo starnutì sette volte e aprì gli occhi.

Eliseo restituì il figlio alla madre riconoscente.

L'ultimo atto si svolge, infine, alcuni anni dopo. Eliseo aveva avvertito la donna, ormai vedova, che stavano per giungere sette anni di carestia. Elia credette al profeta, abbandonò la sua casa e portò il figlio fuori di Israele, nel territorio dei Filistei, per tutto quel tempo. Quando tornò a casa, si presentò al re per rientrare in possesso della sua proprietà. Proprio in quel momento, il sovrano stava ascoltando Giezi che narrava i miracoli di Eliseo. Poiché la donna e suo figlio erano la prova vivente dei poteri del profeta, il re rimase talmente impressionato da accogliere la sua richiesta. Il lungo racconto ha lo scopo di mostrare come il potere di Dio operava attraverso Eliseo per dare vita, ridare vita e salvaguardare la vita. Sebbene gli episodi siano descritti con vivacità e abbondanza di particolari, i miracoli non vengono mai compiuti per garantire fama o seguito al profeta. La scena finale, poi, rivela che miracoli così grandi erano operati per restare fatti privati; solo molto tempo dopo, un insieme di circostanze fece in modo che il re e la gente venissero a conoscenza delle gesta di Eliseo.

 

IL POTERE SUI MORBI

Il secondo lungo racconto relativo a Eliseo, nel secondo libro dei Re, riguarda Naaman, un generale siriano, che venne dal profeta per essere guarito perché «era lebbroso» (2 Re 5,1).

Anticamente "lebbra" era il nome dato a varie malattie della pelle e non denotava soltanto il morbo di Hansen, come oggi. Nonostante le sue possibilità, fu una persona da lui ridotta in schiavitù, una serva israelita, a informare il generale sul modo in cui poteva essere liberato dalla malattia. Ella parlò alla moglie di Naaman di un profeta che avrebbe potuto procurargli quella guarigione che gli dei del suo paese non erano in grado di offrirgli.

Naaman era abituato a trattare con gente di rango. Sebbene avesse bisogno di aiuto, decise di andare dal profeta solo dopo che la sua visita fosse stata preparata attraverso i canali ufficiali e preannunciata da una lettera del re di Siria. Si aspettava che il profeta gli sarebbe andato incontro di persona e gli avrebbe procurato direttamente la guarigione. Quanto a lui, lo avrebbe ricompensato munificamente per ciò che avesse fatto. Così, carico di doni preziosi, partì per far visita al re di Israele e presentargli missiva del suo sovrano. Ma il re di Israele, evidentemente poco informato dei poteri di Eliseo , non capì la richiesta del monarca siriano di guarirgli il suo generale: «Sono forse Dio per dare la morte o la vita?» (2 Re 5,7). Anzi, addirittura pensò che la Siria fosse alla ricerca un pretesto per scatenare un conflitto.

Alla fine Eliseo seppe; del viaggio di Naaman e mandò a chiamarlo. Il generale arrivò alla porta del profeta con cavalli e carri che palesavano la sua elevata posizione. Ma ancora le cose non andarono secondo il previsto. Eliseo non uscì nemmeno per salutarlo o per imporgli le mani. Invece gli inviò il suo servo con queste strane istruzioni: «Va', bagnati sette volte nel Giordano: la tua carne tornerà sana e tu sarai guarito» (2 Re 5,10).

Naaman si sdegnò.

Voleva un servizio personale, una chiara manifestazione di potere, o almeno un rito solenne da  celebrare, e non recarsi sulle rive di un fiumiciattolo locale e compiervi gesti ordinari di dubbia efficacia. Ancora una volta i servi salvarono il potente, convincendolo a seguire le istruzioni del profeta. Quando fece «secondo la parola dell'uomo di Dio», non solo fu perfettamente guarito, ma addirittura ringiovanì e «la sua carne ridivenne come la carne di un giovinetto» (2 Re 5,14). Nella scena successiva, Naaman è un uomo diverso, un pagano ora convinto che il Dio di Israele è l'unico vero Dio.

Il dramma presenta poi il contrasto stridente tra lo straniero trasformato e Giezi, l'avido servitore del profeta. Giezi vide che Eliseo rifiutava i generosi doni di Naaman e non riuscì a sopportarlo. Rincorse il siriano e gli disse che il profeta aveva cambiato idea e ora voleva qualcosa in dono. Naaman fu ben lieto di dare anche più del richiesto. Ma quando Giezi tentò di nascondere a Eliseo quanto aveva fatto, il profeta lo condannò alla malattia da cui aveva liberato Naaman. La storia finisce con l'avido servitore che se ne va «bianco come la neve» (2 Re 5,27) per la lebbra che ha contratto.

 

CONSIGLIERE E ORDINATORE DI RE

Fin dall'inizio del suo ministero, Eliseo fu coinvolto in affari di stato. Quando re Ioram scese in guerra per domare una rivolta del suo vassallo Mesa, re di Moab, strinse alleanza con Giosafat di Giuda e con il re di Edom. Mentre marciavano attraverso il deserto per attaccare Moab da sud, i tre sovrani temettero per i loro eserciti rimasti senza acqua. Poiché Giosafat aveva suggerito di consultare un profeta di Yahweh, insieme i tre alleati si recarono a trovare Eliseo.

In un primo momento, l'uomo di Dio non volle avere niente a che fare con Ioram, per l'appoggio che i suoi genitori, Acab e Gezabele, avevano dato ai profeti pagani di Baal.

Tuttavia, per rispetto del re di Giuda, che certo era più fedele al culto di Yahweh, Eliseo acconsentì infine ad aiutarli. Il profeta fece dunque chiamare un musico e «mentre il suonatore arpeggiava, cantando, la mano del Signore fu sopra Eliseo» (2 Re 3,15). Eliseo trasmise un oracolo, promettendo che l'acqua sarebbe affiorata nel deserto e che Israele avrebbe conquistato i Moabiti. Il giorno seguente, infatti, acqua in abbondanza inondò la regione; da principio, la campagna ebbe successo. Ma, di fronte alla sconfitta, Mesa sacrificò il figlio primogenito sulle mura della città. I Moabiti videro nel terribile sacrificio un gesto di devozione al loro dio Camos, la cui ira si sarebbe scatenata contro gli aggressori. Gli Israeliti, temendo la furia del dio dei Moabiti, si ritirarono dal loro territorio.

Qualche tempo dopo, portando a termine una missione che Dio aveva originariamente affidato a Elia sul monte Oreb, Eliseo - si dice - provocò due rivoluzioni politiche, una in Siria e l'altra in Israele. La rivoluzione siriana cominciò quando Eliseo rivelò a Cazael, eminente ministro del re Ben-Adad, che il suo signore sarebbe presto morto e che lui sarebbe diventato «re di Aram» (2 Re 8,13). Immediatamente Cazael si adoperò per la pronta realizzazione di quella profezia, uccidendo re Ben-Adad e usurpando il trono.

La seconda rivoluzione avvenne dopo che Cazael aveva iniziato a portare i suoi attacchi contro il regno del Nord. Dopo una battaglia nella quale re Ioram fu ferito e costretto a cedere, Eliseo mandò segretamente uno dei figli dei profeti da Ieu, un comandante delle truppe israelite, a versargli un'ampolla di olio sul capo recitando le parole: «Dice il Signore: Ti ungo re su Israele» (2 Re 9,3). Quando il gesto compiuto dall'inviato di Eliseo fu reso noto, gli altri generali entusiasti acclamarono Ieu sovrano di Israele. Subito dopo questo avvenimento, in rapida successione, Ioram fu  assassinato, sua madre Gezabele venne gettata da un'alta finestra e il suo corpo fu straziato dai cani, e altri 70 tra figli o nipoti di Acab furono uccisi.

Eliseo visse a lungo, forse fino a 80 o 90 anni, e il suo ministero si protrasse fino agli inizi dell'VIII secolo a.C. Si racconta che i suoi poteri fossero rimasti intatti anche sul letto di morte. Andando a trovare l'anziano ma sempre battagliero profeta, re Ioas di Israele esclamò: «Padre mio, padre mio, carro di Israele e sua cavalleria!» (2 Re 13,14), ripetendo le esatte parole che Eliseo aveva  pronunciato quando il suo maestro Elia era stato rapito in cielo. Eliseo, però, non sfuggì al fato della mortalità com'era accaduto al suo predecessore; la sua morte, comunque, non diminuì il potere delle sue parole ne scalfì la santità della sua persona. Mentre stava per spirare, Eliseo predisse al re israelita il futuro andamento del suo conflitto con la Siria.

L'ultimo miracolo di Eliseo che ci viene tramandato fu forse anche il più impressionante, dal momento che avvenne dopo la sua morte: un corteo funebre che passava vicino alla sua tomba fu attaccato da razziatori moabiti. I partecipanti al corteo, presi dal panico, gettarono la salma che stavano portando sul sepolcro più vicino che, per caso, era proprio quello di Eliseo. Quando il cadavere venne a contatto con le ossa di Eliseo, fu come se la vita prorompesse dal profeta. Si racconta che l'uomo risuscitò e si alzò in piedi. Il profeta fu un donatore di vita sino alla fine e ancora oltre.

 

 

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