ELIA  Eb ELIYAHU (“Mio Dio è Yahweh”)

 

Il carro e i cavalli di fuoco trasportano in un turbine Elia in cielo

( formella di marmo nel duomo di Siena)

 

 

Primo grande profeta del regno di Israele del Nord, Elia si conquistò la fama di uno che appariva e scompariva in un lampo, come se lo spirito di Dio lo portasse in un posto e poi lo rapisse. Il narratore del primo libro dei Re di certo alimenta questa fama, introduce mio il profeta senza dire una parola sul suo passato.

In un momento in cui Baal, il dio cananeo della tempesta, della pioggia e della fertilità, stava conquistando fedeli nel regno, Elia irruppe sulla scena con l'impetuosa e fiduciosa affermazione che il Dio di Israele aveva il controllo assoluto sul potere creativo della natura.

Elia annunciò al re Acab: "Per la vita del Signore, Dio di Israele, in questi anni non vi sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò io" (1 Re 17,1). Il drammatico messaggio era chiaro. Se la parola di un solo profeta di Yahweh poteva prevalere su tutte le invocazioni a Baal perchè desse fertilità e acqua, era allora evidente che Baal non era un dio degno di essere riverito con un culto o con timore.

 

UNA FAMA CONQUISTATA CON I FATTI

Il racconto biblico della missione di Elia copre una quindicina di anni, tra l'865 e l'850 a.C.

Le storie delle gesta coraggiose del profeta furono tramandate a voce di generazione in generazione per circa 300anni, fino a quando vennero inserite nel primo e nel secondo libro dei Re, originariamente un unico libro completato intorno al 550, un decennio dopo l'ultimo avvenimento in esso descritto.

A differenza dei racconti riguardanti i profeti posteriori - di solito ricchi di insegnamenti verbali - la Bibbia sottolinea, le azioni piuttosto che le parole di Elia. Pertanto il suo ministero e pieno di conflitti e di fatti prodigiosi.

Elia e il suo discepolo e successore Eliseo sono i più grandi operatori di miracoli che appaiano nelle Scritture tra Mosè e Gesù.

Elia era nato forse nel primo decennio del 900 a.C. ed era vissuto a Tisbe, un villaggio lontanissimo dal centro della vita israelita e così sconosciuto che non è ricordato in nessun altro passo della Bibbia. Tisbe si trova in Galaad, un'aspra regione a est del Giordano, ai confini del grande deserto d'Arabia. Scarsamente influenzati dallo stile di vita più evoluto e quasi lussuoso delle regioni centrali di Canaan, gli abitanti di Galaad tendevano a conservare le antiche, rigide tradizioni di Israele nate negli anni di nomadismo trascorsi nel deserto. Adoravano solo Yahweh e disprezzavano i culti di fertilità e le molte divinità cananee.

Durante gli anni giovanili di Elia, il regno del Nord attraversava un periodo di disordine politico, impegnato anche in una guerra distruttiva con il regno meridionale di Giuda. La pace e la stabilità arrivarono finalmente per Israele quando Omri salì al trono nell'anno 876 a.C. e negoziò un accordo di collaborazione con Giuda. Poiché il territorio di Omri includeva una numerosa popolazione cananea, egli strinse alleanza con la cananea Fenicia, siglandola con il matrimonio tra suo figlio Acab e la principessa fenicia Gezabele, figlia di Et-Baal, re di Sidone. Ora che il commercio poteva svolgersi tranquillamente tra nord e sud, il regno di Israele entrò in un periodo di prosperità quale non conosceva più da oltre un secolo, cioè dai tempi di Salomone.

Sebbene Omri fosse, almeno formalmente, adoratore di Yahweh, non rifiutò altre divinità, accettando e addirittura proteggendo il culto di Baal. In seguito suo figlio avrebbe eretto un importante tempio a Baal nella nuova capitale di Samaria, forse rivale dei santuari di Yahweh che si trovavano a Betel e Dan. Sembrava che Omri e suo figlio volessero mettere sullo stesso piano il culto di Yahweh e quello di Baal. Per persone come Elia, che erano cresciute nel rigido monoteismo di Israele, quella situazione era intollerabile.

 

LA NEFASTA INFLUENZA DI GEZABELE

Acab succedette a Omri nell'869, quando Elia doveva avere circa 30 anni. Se Elia avesse già intrapreso la sua missione di uomo di Dio, forse come membro di un gruppo profetico, non si sa. La crisi religiosa di Israele si aggravò quando Gezabele, sposa di Acab, fece sentire la sua presenza. Era stata educata al culto fenicio di Baal e della dea Asera e il suo attaccamento al culto di Baal appariva forte almeno quanto la devozione di Elia per Yahweh. Non solo manteneva a corte centinaia di profeti di Baal e di Asera, ma si adoperava anche per sopprimere il culto rivale di Yahweh, soffocando l'influenza dei suoi profeti, obbligando molti di essi a nascondersi e facendone giustiziare altri. Questa era la situazione quando Elia comparve improvvisamente a corte per lanciare la sua profezia di distruzione, condannando l'economia agricola di Israele ad anni di penuria. Poi, così com'era venuto, scomparve.

Acah credette alle parole del profeta quel tanto da ritenerlo responsabile della sopraggiunta carestia e da farlo oggetto di una sorta di caccia all'uomo. Ma Dio fece nascondere Elia presso il torrente Cherit (di cui si ignora l'esatta ubicazione), a est del Giordano, fuori dalla portata di Acab. Poiché il profeta era solo e privo di qualsiasi mezzo di sostentamento, Dio miracolosamente provvide alle sue necessità. «I corvi gli portavano pane al mattino e carne alla sera» (1 Re 17,6), mentre il ruscello gli forniva acqua: proprio come, ai tempi di Mosè, Dio aveva provveduto cibo e acqua a Israele nel deserto.

Il ruscello fu anche il parametro della crescente durezza della siccità. Quando si prosciugò, Elia fu mandato a nord, nella città di Zarepta di Sidone, patria di Gezabele, una regione ritenuta fedele a Baal. Lì Elia trovò una vedova cananea che raccoglieva legna alle porte della città e le chiese di portargli pane e acqua. La donna e suo figlio erano stati duramente colpiti dalla siccità. Baal non aveva potuto proteggere nemmeno il suo territorio contro il potere di Yahweh. Ella aveva solo olio e farina sufficienti per cuocere qualche focaccia per loro; finiti anche quelli, disse rassegnata, sarebbero morti di fame. Allora il profeta insistette che prima gli portasse qualcosa da mangiare e che avesse fiducia, perché il Dio di Israele avrebbe provveduto al loro sostentamento. La donna obbedì e, com'è noto, per tutto il tempo della carestia, «la farina della giara non venne meno e l'orcio dell'olio non venne meno» (1 Re 17,16).

In seguito, però, il potere del Dio dispensatore di vita sembrò affievolirsi e il figlio della vedova si ammalò «tanto gravemente che cessò di respirare» (1 Re 17,17). Sia la vedova sia il profeta si resero conto che ciò veniva da Dio. Ma quando Elia «si distese tre volte sul bambino e invocò il Signore», l'onnipotenza di Dio fu manifestata di nuovo e «l'anima del bambino tornò nel suo corpo e quegli riprese a vivere» (1 Re 17,21-22).

Nel terzo anno di siccità, Dio mandò di nuovo Elia nel territorio di Israele a sfidare Acab.

Acab lo apostrofò: «Sei tu la rovina di Israele!» (1 Re 18,17). Elia rispose che invece era il re la rovina di Israele per la sua politica a favore di Baal e propose una sfida: che mandasse i 450 profeti di Baal e i 400 profeti di Asera a incontrarlo sul monte Carmelo. Quel promontorio affacciato sul Mediterraneo era certamente il sito di un altare di Baal fin dai tempi antichi.

Tuttavia durante i primi anni della monarchia, quando l'intero territorio era saldamente controllato da Israele, vi era stato eretto anche un altare dedicato al culto di Yahweh. Ora quell'altare era abbandonato e andava in rovina, simbolo della situazione religiosa di Israele. La sfida di Elia fu accettata: una moltitudine si raccolse sulla montagna per vedere gli 850 profeti cananei e il re davanti al grandioso altare di Baal, da una parte, e un unico profeta di Yahweh e un altare in rovina, dall'altra.

 

SUPPLICHE INASCOLTATE

Elia condannò solennemente la politica di Acab, che tentava un accomodamento tra Yahweh e Baal. Bisognava scegliere: «Fino a quando zoppicherete da entrambi i piedi? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!» (1 Re 18,21). Il popolo taceva, incerto. Per arrivare a una conclusione, Elia propose che le due parti preparassero sacrifici senza però bruciarli. Ogni gruppo avrebbe pregato, «e la divinità che risponderà concedendo il fuoco è Dio» (1 Re 18,24).

I riti cominciarono al mattino con un'invocazione a Baal. Muovendosi insieme, centinaia di profeti eseguirono una danza rituale, piegando le ginocchia e saltando da un piede all'altro, in una sorta di parodia delle credenze zoppicanti che Elia aveva imputato a Israele. Le loro suppliche a Baal rimasero inascoltate. Quando il sole caldo raggiunse il mezzogiorno, Elia non patè trattenersi dall'ironizzare: forse Baal era distratto o indaffarato o in viaggio, oppure dormiva; perciò dovevano gridare più forte. Di fronte al monarca indispettito e al popolo che spiava attentamente, i profeti divennero più frenetici e si fecero incisioni sul corpo fino a coprirsi tutti di sangue. Ma «non si sentiva alcuna voce ne una risposta ne un segno di attenzione» (1 Re 18,29).

Quando arrivò l'ora del sacrificio pomeridiano, la folla volse lo sguardo dal gruppo sanguinante e impolverato dei falliti profeti di Baal verso Elia, che cominciò a riparare con calma l'altare diroccato di Yahweh. Egli usò 12 pietre come simbolo del popolo riunito delle 12 tribù e così l'altare diventò un simbolo della vera identità di Israele. Poi preparò nel dovuto modo la legna e un giovenco sacrificale e stranamente scavò un canale profondo attorno all'altare. Infine chiese quattro giare di acqua e, invece di usarle per riti di purificazione come alcuni si sarebbero aspettati, ordinò di versarle sul sacrificio e sulla legna. Per altre due volte le giare furono riempite e vuotate finché il canale fu riempito e l'altare fu inzuppato.

Quando giunse il momento adatto, Elia si accostò da solo all'altare e si rivolse a Yahweh: «Signore, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe [...] rispondimi e questo popolo sappia che tu sei il Signore Dio e che converti il loro cuore!» (1 Re 18,36-37). Appena ebbe parlato, le fiamme consumarono ogni cosa: sacrifìcio, legna, pietre e persino l'acqua. La richiesta di Elia era stata esaudita, non dal popolo ma da Dio stesso. Immediatamente Elia incitò la folla a catturare i profeti di Baal, che, come nemici sconfitti in una guerra santa, furono condannati tutti a morte in rigida osservanza della Legge israelita contro l'apostasia: «Colui che offre un sacrificio agli dei, oltre al solo Signore, sarà votato allo sterminio» (Es 22,19).

 

TRIONFO SENZA RICOMPENSA

Elia aveva dimostrato l'impotenza di Baal come donatore della pioggia o del fuoco e aveva fatto vedere che solo Yahweh manda il fuoco. Ora il profeta doveva dimostrare che Yahweh era anche l'apportatore della pioggia e della fertilità. Coraggiosamente Elia annunciò ad Acab che sentiva «un rumore di pioggia torrenziale» (1 Re 18,41); poi salì sulla cima del monte Carmelo e si umiliò davanti a Dio, inchinandosi con la faccia tra le ginocchia. Per sette volte pregò e ogni volta chiese al suo servo di guardare il cielo verso ovest sopra il mare. Solo dopo la settima preghiera il servo gli riferì: «Ecco una nuvoletta come una mano d'uomo» (1 Re 18,44). Elia mandò a dire al sovrano di partire con il suo carro immediatamente, prima che la pioggia trasformasse il terreno in una distesa di fango impraticabile. Poi però, forse non volendo lasciare che l'ostile monarca annunciasse i lieti eventi sul monte Carmelo, il profeta corse per quasi 20 miglia fino alle porte di Izreel, la capitale del regno del Nord, arrivandovi prima del re.

Ci si sarebbe aspettati che, dopo la sfida del monte Carmelo, tutto Israele sarebbe tornato immediatamente alla fede e al culto di Yahweh. Ma in realtà le cose non andarono così.

Quando la regina Gezabele seppe della strage dei profeti da lei protetti, non solo non abbandonò la sua fede in Baal, ma giurò anche di far uccidere Elia quanto prima. Il vittorioso ma esausto profeta ora doveva correre di nuovo, e questa volta per salvarsi la vita e non per godersi la vittoria. Non sappiamo come riuscì a fuggire dalla città di Izreel; forse approfittò del temporale improvviso. Elia si diresse verso sud, fuori dalla portata della furiosa Gezabele, attraversando Giuda fino a Bersabea, dove lasciò il servo e si addentrò da solo nel deserto del Sinai. Poiché il suo sogno di trasformare il popolo e di ripristinarne la fede in Yahweh sembra-a infranto dal potere di Gezabele, nel fuggitivo la disperazione prevalse sulla fede.

Il profeta, scoraggiato, si sedette esausto sotto un solitario arbusto nel deserto. In quel momento un angelo del Signore lo toccò e gli diede acqua e pane cotto sulle pietre roventi del deserto. Elia mangiò e bevve, ma poi cadde ancora nello sconforto. Di nuovo l'angelo si presentò e lo nutrì, e questa volta gli disse anche di dirigersi più a sud. Rinvigorito dal cibo offertogli dal messaggero celeste, Elia camminò per 40 giorni «fino al monte di Dio, l'Oreb» (1 Re 19,8), conosciuto anche con il nome di monte Sinai. Era come se il profeta avesse ripercorso i 40 anni di Israele nel deserto e fosse tornato nel posto della prima rivelazione di Dio sulla sacra montagna dell'alleanza. Lì Elia si riposò in una caverna che ricordava la fenditura della roccia dove Mosè si era nascosto mentre Dio gli passava accanto e gli rivelava la sua gloria.

Anche dopo l'incontro con l'angelo, Elia era comunque in preda alla disperazione, accecato dall'autocommiserazione. Tuttavia prima che il profeta potesse riaversi, strani fatti cominciarono a verificarsi fuori della caverna. Come un tempo Dio era apparso al popolo di Israele sul Sinai nel fuoco, nel fumo, nel tuono e nel fulmine, anche ora la natura sottolineava l'epifania divina. Ma questa volta, in qualche modo, Elia avvertì una differenza. Un vento impetuoso, tanto forte da spaccare le rocce, investì la montagna, ma Elia seppe che Dio non era nel vento. Poi ci fu un terremoto e poi un fuoco ardente, ma Elia ancora riconobbe che il Signore non era in nessuno dei due fenomeni. Questi erano i segni tradizionali della teofania, o manifestazione divina, segni attribuiti anche a Baal. Certo, Yahweh avrebbe potuto facilmente manifestarli, ma non avrebbe mai potuto essere identificato con essi, come avveniva per gli dei pagani.

Quando il fuoco scomparve, Elia sentì un mormorio nel silenzio, come «di un vento leggero» (1 Re 19,12) e qualcosa dentro di lui gli disse che in quel suono di soave leggerezza era la vera voce di Dio. Non poteva più rimanere seduto, consumato dalla propria tristezza, così si coprì il volto con il mantello e uscì dalla caverna per incontrare il Signore. Allora la voce si rivolse decisamente a Elia: «Che fai qui, Elia?». Il profeta cominciò subito a difendersi, parlando del suo zelo per il Signore e dell'apostasia degli altri. «Gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita» (1 Re 19,13-14). Elia si era impegnato così a lungo nella lotta per la sua fede che era arrivato a pensarla come inseparabilmente legata alle sue vittorie o sconfitte personali.

 

UNA NUOVA MISSIONE PER ELIA

L'insolita epifania di Dio sulla montagna aveva però indicato una nuova direzione. Il fatto che Dio non fosse nelle potenti manifestazioni della forza della natura come quelle che erano attribuite a Baal, ma era invece presente in un mormorio appena percepibile nel silenzio, indicava che Yahweh si trovava su un piano totalmente diverso da quello della divinità cananea. Non poteva esserci vera competizione tra Baal, che non era nient'altro che una personificazione di quelle forze naturali, e il vero e misterioso Dio di Israele, che conteneva e superava ogni potere naturale. Contrariamente a ciò che immaginava Elia, la sopravvivenza di Dio non dipendeva solo da lui, semplice uomo, e la sua disperazione non era giustificata.

Dio, però, non respinse il suo profeta e gli affidò un'altra missione, concedendogli così di constatare che il piano divino andava oltre la sconfitta di Baal. Dio lo mandò a ungere nuovi re, per la Siria e per Israele, in modo che le fila del potere politico non rimanessero nelle mani di Acah, di Gezabele e della loro razza. Elia doveva anche ungere un nuovo profeta, Eliseo, che in futuro avrebbe preso il suo posto; nessuno era indispensabile. Questi nuovi personaggi avrebbero portato avanti il disegno di Dio con la punizione dell'apostasia che tanto aveva angustiato Elia. Il momento di ungere i nuovi sovrani di Israele e di Siria non era ancora venuto e, in attesa che ciò accadesse, Elia si dispose ad assolvere immediatamente la terza parte della sua missione. Si diresse verso la valle del Giordano fino alla città di Abel-Mecola, dove trovò Eliseo che arava un campo.

Quando il profeta «gli gettò addosso il mantello» (1 Re 19,19), Eliseo andò a prendere congedo dai suoi genitori e diventò il nuovo servitore e l'apprendista di Elia.

Proprio in quel periodo, Acab appariva al culmine della sua carriera; affrontava le sfide militari della Siria, riconquistava città perdute da tempo, stabiliva vantaggiosi accordi commerciali. Questi successi, però, accrebbero la sua brama di potere e, con l'aiuto di Gezabele, confiscò le proprietà di un vicino chiamato Nabot, dopo averlo fatto giustiziare con false accuse di bestemmia e di tradimento. Quando Acab prese possesso della sua nuova proprietà, Elia si presentò davanti a lui: «Mi hai dunque colto in fallo, o mio nemico!» (1 Re 21,20), esclamò Acab, sospettando quello che sarebbe accaduto. Il profeta non gli avrebbe risparmiato l'accusa di omicidio premeditato e, inoltre, gli predisse la completa distruzione della sua dinastia e la vergognosa morte di Gezabele.

Il fuoco delle parole di Elia era talmente intenso che sciolse perfino il cuore di pietra di Acab. Si stracciò le vesti, si  vestì di sacco e iniziò un digiuno. Per questo apparente cambiamento di condotta la distruzione della casa reale fu per il momento rinviata; tuttavia, gli effetti delle sue trasgressioni e di quelle della moglie Gezabele sarebbero stati inevitabili. Non molto tempo dopo questi avvenimenti, Acab fu gravemente ferito in battaglia, a Ramot di Galaad, e non riuscì a sopravvivere; gli succedette il figlio Acazia.

 

L'ULTIMA PREDIZIONE

L'ultimo contatto indiretto di Elia con un re di Israele ci fu dopo che Acazia era rimasto ferito in seguito a una caduta. Il sovrano voleva sapere tramite un oracolo se sarebbe guarito e mandò messaggeri «a interrogare Baal-Zebub» (2 Re 1,2). Ma costoro incontrarono Elia, che li rimandò indietro con il conciso messaggio che il re sarebbe morto.

Quando i messaggeri riferirono l'accaduto e descrissero l'uomo che aveva parlato con loro, Acazia capi che si trattava di Elia e mandò 50 soldati ad arrestarlo. Ma il manipolo di armati non patè fare niente contro il profeta che invocò un fuoco dal cielo che li distrusse; la stessa fine toccò a un secondo gruppo di 50 soldati. Infine, Elia andò personalmente dall'empio re, riaccompagnando gli uomini del terzo drappello, e gli annunciò la condanna. Acazia morì senza figli e gli succedette suo fratello Ioram.

E'ultimo episodio della storia di Elia coinvolge anche la vicenda di Eliseo. Era venuto il tempo in cui Dio voleva «rapire in cielo in un turbine Elia» (.2 Re 2,1) e il vecchio profeta mise alla prova il coraggio del suo erede. Per tre volte Elia chiese a Eliseo di rimanere indietro, ma per tre volte Eliseo dichiarò che non avrebbe lasciato il suo maestro. Quando i due giunsero al Giordano, Elia separò le acque, percuotendole con il suo mantello arrotolato, e cosi poterono attraversare il fiume all'asciutto, proprio come avevano fatto tanto tempo prima gli Israeliti guidati da Giosuè.

Il momento dell'addio era ormai vicino ed Elia offrì a Eliseo un ultimo dono. Eliseo chiese solo di essere considerato come figlio maggiore e di ricevere «due terzi del tuo spirito» (2 Re 2,9). Mentre camminavano conversando, furono improvvisamente separati da un carro e da cavalli di fuoco che rapirono Elia verso il cielo. Elia era scomparso, lasciando cadere il mantello che il discepolo raccolse: era il segno che aveva ereditato la sacra missione di Elia.

Elia, un uomo che non era morto, catturò la fantasia e le speranze profetiche delle generazioni successive. Le profezie di Malachia, nel V secolo a.C., concludono l'Antico Testamento dicendo che Dio manderà Elia a salvare il suo popolo «prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore» (Ml 3,23)- Nel Siracide, Gesù ben Sira osserva che Elia è destinato a «ristabilire le tribù di Giacobbe» (Sir 48, 10). Nel Nuovo Testamento, sia Giovanni Battista sia Gesù vengono associati ad Elia. Di Giovanni è detto che avrebbe operato «con lo spirito e la forza di Elia» (Lc 1,17) ed egli indossava perfino la tunica caratteristica di Elia, intessuta di peli di cammello e stretta in vita da una cintura di cuoio. I Vangeli, inoltre, riferiscono che alcuni pensavano che Gesù fosse il profeta Elia, richiamato in vita sulla terra.

 

 

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