GIOVANNI

EB. YOHANAN; GR. IOANNES

(“Yahweh è stato grazioso/mostra favore”)

 

 

 

Giovanni e suo fratello Giacomo, figli di Zebedeo, furono tra i primi discepoli chiamati da Gesù. Insieme a Pietro, questi tre pescatori formavano un circolo più ristretto di uomini che presenziarono a eventi che non furono condivisi con gli altri discepoli, compresa la risurrezione della figlia di Giairo, la trasfigurazione e la preghiera di Gesù nell'orto del Getsemani. Secondo il Vangelo di Luca, Giovanni e Pietro furono mandati a preparare il banchetto pasquale (l'Ultima Cena) alla vigilia della crocifissione di Gesù.

 

Per il loro carattere irruente, Gesù chiamò Giacomo e Giovanni Boanerghes, cioè «figli del tuono» (Mc 3,17). In sintonia con questo soprannome, un giorno Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri» (Mc 9,38). Fu sempre lui, insieme con Giacomo, a chiedere la punizione dei Samaritani con un fuoco dal cielo per non aver dato ospitalità a Gesù. In seguito i due fratelli chiesero a Gesù di dare loro i posti d'onore nel suo regno futuro, richiesta che ovviamente suscitò le ire degli altri apostoli.

Sebbene suo fratello Giacomo fosse stato il primo tra gli apostoli a subire il martirio, Giovanni continuò per diverso tempo a essere una delle guide più eminenti nella Chiesa primitiva. Paolo lo definisce una delle «colonne»(Gal 2,9) della Chiesa di Gerusalemme, insieme con Pietro e Giacomo, il fratello di Gesù.

La sua importanza è sottolineata anche negli Atti, dove si dice che fu al fianco di Pietro in importanti missioni. Una volta guarirono uno storpio, attirandosi così la riprovazione delle autorità giudee. In un'altra occasione, furono mandati in Samaria a invocare lo Spirito Santo su coloro che «avevano accolto la parola di Dio» (At 8,14).

La tradizione della Chiesa identifica Giovanni con l'autore del quarto Vangelo e delle tre lettere di Giovanni, opere simili per stile letterario e insegnamento, e del libro dell’Apocalisse. La tradizione identifica, inoltre, Giovanni con quel personaggio che proprio nel quarto Vangelo viene designato "solo come discepolo prediletto.

Alcuni studiosi, tuttavia, dubitano fortemente di tutte queste identificazioni e addirittura ritengono che Giovanni sia morto martire molto presto, così come accadde anche a suo fratello Giacomo. Altre interpretazioni lo vedono invece apostolo nella Chiesa di Efeso e poi esiliato a Patmos, dove scrive l'Apocalisse.

L'autore dell'Apocalisse introduce se stesso nel modo seguente: «Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli diede per render noto ai suoi servi le cose che devono presto accadere, e che egli manifestò inviando il suo angelo al suo servo Giovanni». Il libro, continua poi, fu scritto

mentre egli si trovava «nell'isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù» (Ap 1,1 ;9). Giovanni forse fu esiliato nell'isola di Patmos durante la persecuzione romana dei cristiani in Asia Minore.

La data più probabile coincide con il regno di Domiziano (81-96 d.C.), un imperatore che pretendeva di essere adorato come un dio e che sembra perseguitasse spietatamente i cristiani poiché si rifiutavano di farlo.

 

La tradizione della Chiesa fissa anche una data per l'esilio di Giovanni a Patmos, il quattordicesimo anno del regno di Domiziano, cioè il 95 d.C.

Patmos è una piccola isola dell'Egeo, di fronte alla costa della Turchia, circa 37 miglia a sud-ovest dell'antica città di Mileto. Si trovava nella regione delle «sette Chiese che sono in Asia» (Ap 1,4) nominate da Giovanni: Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea. Questa probabilmente fu l'area nella quale Giovanni svolse il suo ministero.

Giovanni, scrivendo l'Apocalisse, si inserisce nella tradizione degli scrittori detti, appunto, apocalittici, uno stile piuttosto popolare nei secoli immediatamente precedenti e successivi a Cristo. L'Apocalisse è l'unico libro di questo genere nel Nuovo Testamento; Daniele è il libro

apocalittico più noto dell'Antico Testamento; tra gli apocrifi si distingue il testo indicato come 2 Esdra. Un tempo erano conosciuti molti altri libri apocalittici, che venivano letti assiduamente sia dagli ebrei sia dai cristiani, anche se non erano stati inseriti nel canone biblico, cioè nella lista ufficiale dei libri della Bibbia. La letteratura apocalittica era una risposta alla persecuzione e all'oppressione. Questi

scritti presentavano invariabilmente visioni ispirate, in cui i mali del mondo attuale venivano spiegati in relazione al piano di Dio per la fine dei tempi, ciò che i teologi chiamano "escatologia", dal termine greco éskhatos, che vuol dire "ultimo", "fine". In quel momento, Dio sconfiggerà il male, solleverà i giusti dalla sofferenza e li ristabilirà nella loro condizione di beatitudine.

Per presentare questo messaggio, il profeta, o veggente, ricorre a una ricca tradizione di linguaggio simbolico. Il suo scopo era quello di arrecare conforto a coloro che pativano in balia di un potere che era al di fuori del loro controllo.

Giovanni fece ricorso a questo tipo di letteratura per consolare le sette chiese che soffrivano una dura persecuzione. Nella lettera a Pergamo (Ap 2,12) ricorda Antipa, suo fedele testimone, che è stato messo a morte per la fede; altri sono in prigione e forse morti, in parte per il loro rifiuto di offrire sacrifici all'immagine dell'imperatore, un semplice atto richiesto a ogni buon cittadino. Giovanni descrive uno stato di cose nel quale la Roma imperiale «è ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù» (Ap 17,6) e invita alla resistenza, assicurando i cristiani che sono «beati fin d'ora i morti che muoiono nel Signore» (Ap 14,13). Infine, presenta una visione in cui il potere malvagio cessa e Dio trionfa, creando cieli nuovi e una nuova terra.

La persecuzione di Domiziano cessò, ma non conosciamo il destino di Giovanni. Secondo alcune tradizioni, riuscì a tornare dall'esilio e fu per qualche tempo capo della Chiesa di Efeso. Indipendentemente dalla fine del suo autore, il libro rimane la testimonianza di una fede che può resistere anche in circostanze catastrofiche.

 

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