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 ANTOLOGIA CRITICA

Cap. G01 - Sede permanente del Museo delle Opere di Giovan Battista Novaresio nell'antica Chiesa S. Reparata e S. Siro - Pag. G01.03

Gli argomenti trattati sono stati inseriti da Ing. Arch. Michele Cuzzoni nel 2012 - © Copyright 2001-2025- e sono desunti dalla documentazione indicata in Bibliografia a fondo pagina

 

 

Antica Chiesa di S. Reparata e San Siro Sede PERMANENTE del Museo delle Opere Pittoriche di

  GIOVAN BATTISTA NOVARESIO


 

 INDICE:


"Il Nuovo Cittadino" 17 maggio 1952

Con una vastissima e impegnativa mostra personale, Giovanni Novaresio ha fatto ammenda della sua lunga assenza dalla nostra città : assenza che ha tuttavia giovato visibilmente al giovane pittore arricchendone il conoscere e affinandone il sentire in una sfera di aperti contatti nazionali e internazionali.

(...) Questi quadri sono tanto diversi l'uno dall'altro eppure tanto concordi nel dire a chi li consideri che la buona pittura é ancora un valore positivo, indifferente alle scuole, indipendente dalle polemiche, insomma universale.

C'é forse un sottile umorismo in questa rimarcata varietà : umorismo intelligente e finissimo come l'arte di questo pittore che ha voluto mostrare, senza averne l'apparenza, d'esser capace a tutto compreso in questo tutto anche il confronto col grande, grandissimo ed unico passato.

(...) Novaresio ha dato la sua lezione senza iattanza, serenamente: ha mostrato di poterlo conquistare con il quadro oltremodo piacevole (ed ha esposto fiori e paesaggi delicati, ricchi di una sensibilità  pronta e lieve) ha mostrato poterne fermare le fattezze in quelle prove del fuoco che sono i ritratti (e ha esposto figure vigorosamente e direttamente somiglianti).

Potremmo dire che "poi" é passato al resto, senza più timori di accuse giustificabili: ma dire così sarebbe disconoscere a questa particolare affermazione della personalità  di Novaresio il suo vero valore che non consiste nella documentazione accortamente preordinata ad un fine polemico.

Il suo vero valore é appunto e soltanto nel mettere in evidenza, attraverso una delle tante strade, una indipendente affermazione di personalità  pittorica: e qui ritorniamo proprio a quel discorso sulla buona pittura, valida, ad ogni modo, in qualsiasi tempo.

Novaresio, anzitutto, ha il gusto del colore: dal suo primo grado di funzionalità  figurativa tridimensionale all'ultimo di assoluta decorazione afigurativa bidimensionale.

In questa gamma sconfinata di possibilità  il colore di Novaresio non cambia che in apparenza: resta la stessa finezza di rapporto, la stessa pulizia sorridente delle superfici dove non un grumo, non una pennellata rettoricamente violenta turbano facendo la voce grossa e grottesca il piano discorso della verità .

E il colore si unisce alla forma: quella forma che vediamo qui palpitare nel segno leggero, assorto così che ricorda quella casta sensualità  (e non é un controsenso) dei volumi di Modigliani.

Quella forma che a poco a poco passando dalla sollecitazione statisticamente bella di un oggetto alla animata complessità  della figura umana arriva in un giuoco sempre più serrato, approfondito e consapevole alla forza straordinaria di questa "Deposizione": e abbiamo detto di quest'opera come della più significativa poi che l'assunto era più arduo e più pesante l'impegno, ma potevamo dire lo stesso di tutte le altre, di questo gruppo dalla Madonna con Bambino alla Sibilla alla Pietà .

Novaresio, nella piccola confessione che ha premesso al catalogo "€ sostituendo le sue molto semplici alle parole molto complicate che di solito campeggiano nel "battage" di tutti i cataloghi "€ ha detto che vuole esprimere la bellezza delle cose che ci circondano: che vuole fermare questa bellezza nel divenire d'una "realtà  da osservare attimo per attimo" e da tradurre nel solo linguaggio della poesia.

La mostra di Novaresio risponde, con sicurezza e con coerenza a questo proposito impegnando l'artista a continuare con ogni energia nella sua lotta, dura come é dura la strada che a un tratto si é staccata decisa dalle agevoli quote dei mediocri e degli accomodanti.

Giuseppe Grazzini

"Il Nuovo Cittadino" 17 maggio 1952

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"Corriere Mercantile", 13 maggio 1952

Ecco un giovine il quale ha capito il valore essenzialmente costruttivo delle esperienze odiernissime della pittura e, particolarmente, di quella che, astraendo dal figurativo, si é data alla ricerca di linee essenzialmente e soggettivamente - strutturali, di elementi staccati e semplificati della realtà  visiva, e, con maggiore circospezione e cautela, di quella intuitiva.

Giovanni Novaresio ha capito che molte realizzazioni non oggettive anche quando si propongono problemi tridimensionali, non oggettive, ma limitate ad un settore determinato della realtà  (per cui il chiamarle astratte é un nonsenso): linee, colore, volume, hanno lo stesso valore di quelle parti staccate degli oggetti e delle figure (una sfera, un cubo, un prisma, una foglia, un orecchio, un naso) che i vecchi maestri delle scuole d'arte del passato proponevano allo studio grafico dei loro allievi, prima di lasciarli liberamente interpretare la realtà  senza limitazioni, e comporre di fantasia.

In questo bisogna riconoscere che le esperienze impressioniste e post impressioniste, il cubismo, l'espressionismo, il surrealismo, e infine le più recenti non figurative hanno sommamente giovato ad un'impostazione stilisticamente originale delle realizzazioni pittoriche del nostro tempo. Giovanni Novaresio lo ha capito e si va incamminando, con sicure probabilità  di riuscita, verso realizzazioni definitive.

D'altra parte, giova ripeterlo, in questa mostra non importa tanto quello che é stato realizzato quanto l'orientamento razionale insieme ed intuitivo per cui le realizzazioni definitive non mancheranno, tenuto conto delle facoltà  personali che il pittore dimostra chiaramente di possedere, e la coscienza di essere incamminato verso infinite possibilità  espressive, non limitate da una cifra, da uno schema come quelle di molti pittori, anche di primissimo piano (pensate per esempio a Campigli od a Morandi) o addirittura imbottigliate dalla insufficienza dei mezzi, come la pittura dei cosiddetti astrattisti, (...).

Nel puro campo formale sono notevoli i disegni di Novaresio in quanto ricerca di linee essenziali, ed alcuni dipinti riferiti alle forme ed ai toni elementari e primitivi: elica, forme elicoidali, forme ad elica (l'elica, la vite, bellissima in sé, ha fortemente ispirato Novaresio), le cose, strutture, impostazione sono nel puro campo essenziale delle forme primitive e del movimento, mentre calata carboni, strutture di cristalli, maniche a vento, fiamma ossidrica, rientrano già  nell'applicazione costruttiva dei principi e tendono, non dico ad una espressione figurativa in senso completo, ma ad una penetrazione soggettiva di espressioni della realtà , trasfigurata ed intuita poeticamente dal pittore.

Una sezione a sé, definitiva, per la bellezza intrinseca dei singoli pezzi e per la materia onde furono elaborati é costituita dai fiori in cui Novaresio si é compiaciuto in delicatissime esaltazioni di bellezze soavemente fragili e sottilmente suggestive. In questi quadretti il suo buon gusto e la sua perizia si sono incontrate in deliziose opere di ottima resa e di effetto sicuro.

Ma l'impegno più forte di Novaresio é quello più strettamente figurativo nel buon ritratto di M. Carena, una testa, somaticamente fedele al soggetto, del quale ha penetrata, in una esaltazione quasi epica, la solennità  espressiva e paziente, nel quale anche la materia pittorica - vaste zone fluide di colore quasi smaltato - ha una particolare e suggestiva funzione; e quello di Taramasio, forse un po' più remissivo e formale ma tuttavia sostenuto da un magistero innegabile e da una genialità  soprattutto disegnativa, evidente.

Nelle scene sacre, dalla vasta Deposizione nel Sepolcro, ricca di elementi compositivi al Crocefisso, al S. Sebastiano, alle due Pietà , alla Madonna col Bambino, Novaresio ha affrontato vivacemente il problema fondamentale di una pittura schiettamente moderna nella condotta e nella forma, senza ripudiare, anzi riproponendosela come problema fondamentale, la universalità  espressiva e la forza suggestiva, donde l'arte destinata al culto trae la sua ragione di essere e di operare come fomento alla meditazione e sollecitazione alla fede ed alla pietà  di chiunque, anche degli ignari e dei profani delle cose dell'arte. Così come hanno fatto, sempre, e brillantemente, gli antichi.

Giovanni Riva

"Corriere Mercantile", 13 maggio 1952

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"Il Secolo XIX", 1952

Abbiamo un ricordo di Novaresio di qualche anno fa, alla ex galleria l'Isola, di un San Sebastiano intonato in chiaro, condotto con diligenza di toni sinfonici in masse chiaroscurali, con disegno ben definito e saputo. Una buona promessa mantenuta da questa personale alla galleria Rotta che raduna una cinquantina di opere compresi i disegni.

Attività  assai varia, anzi a prima vista sconcertante quasi perché passa da appunti e sviluppi astratti (in cui anche i toni arbitrari hanno accostamenti tonali nelle masse cromatiche) a composizioni architettoniche ma formali, di largo respiro e di grande impegno. In seguito, l'attenta osservazione giustifica questa fase astrattista come spunto di ricerca ritmica ed architettonica di cui si segue con interesse lo sviluppo logico. Accostamento e derivazione ritmica che meglio appare avvicinando alcuni disegni, come ad esempio considerando il ritmo delle curve di un'elica o quelle di una figura femminile.

Per giungere alla espressione drammatica della "Deposizione", che ha classici ricordi specialmente fiamminghi nella curvata anatomia, nel doloroso ma umanissimo spasimo del volto di Cristo, nella sofferenza martoriata di ogni arto, religioso nel raccoglimento attorno al Crocifisso come motivo principale della scena, per giungere dico a questo assieme architettonico e solenne, é logico lo sviluppo da altre masse studiate dapprima in forme astratte, quasi solamente di masse volumetriche in funzione costruttiva.

Accade di rado vedere seriamente applicata e sviluppata una teorica astrattista per conchiudere un sistema formale. Questa "Deposizione nel Sepolcro", serrata nel tema, abilmente composta, rigorosa nella liturgia, tragica nell'espressione del dolore senza giungere a deformazioni somatiche, é opera di primo piano, evidente affermazione del valore spirituale cui é pervenuto il Novaresio dopo lunga, e certo tormentosa e vigilata, preparazione. A temi di questa portata e di tale sviluppo noi vorremmo vedere indirizzati molti giovani pittori che troppo facilmente si accontentano della naturetta morta o di poche note cromatiche sinfonistiche o dissonanti. E con lo stesso vaglio consideriamo la "Madonna col Bambino" le "Pietà " espressioni di profondo senso religioso, molto studiate nella chiusa linea compositiva e la pala d'altare della "Sacra Famiglia" di ispirazione tradizionalmente classica ma brillante nei contrasti di tono, e costruita con sobria perizia.

Nel "Crocifisso" altra é la visione, quasi di composizione architettonica basata su un tema spirituale che si esprima in forza ascensionale, quasi trasformazione da materia a spirito, e la tecnica ne diviene oltremodo arida e semplice come di affresco primitivo.

Altra é la ricerca nel ritratto: e cioé una profonda indagine di emotività  che ci venga dall'intimità  stessa del soggetto; e basta confrontarne le espressioni: quello di Carena tragico nella sofferenza contenuta; quello della "Signora" severo sul fondo verdastro nella intonazione delicatissima di chiari su veli neri, fatto e distrutto per ottenere leggere trasparenze di velature in ricordo forse di qualche esempio lembachiano; diversi assai dalla gioconda serenità  di P. Taramasio di fattura largamente costruttiva, ridotta negli impasti al levigato del puro necessario, Le vedute di Genova e di paesistica sono assolutamente sintetiche, come le poche note di fiori a pastello; nei nudi e nelle figure assai opportuni gli accostamenti a forme che ne accentuano la ritmica armonia delle curve e degli sviluppi lineari.

Giulio Cesare Ghilione

"Il Secolo XIX", 1952

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"Il lavoro nuovo", 1953

Questa volta Giovanni Novaresio ci ha dato una mostra sulle sue esperienze disegnative svolte in un cantiere dove venne impostata e portata a termine una nave: crediamo si tratti della  «Colombo ».

Percorrendo le tre sale che costituiscono la  «Galleria S. Matteo », guardando attentamente i disegni che si seguono sulle pareti, noi assistiamo al formarsi della nave dalle prime strutture per giungere al corpo compiuto che dovrà  poi prendere le vie del mare.

Ci scusino coloro che scrivendo d'arte si trincerano dietro il solito linguaggio tecnico che stringi stringi non dice nulla, ma esaminando uno ad uno questi disegni abbiamo avuto l'impressione di sfogliare un bel compendio di medicina dove con nitidi disegni, con radiografie, si illustra la formazione di un figlio ancor nel ventre della madre nei suoi successivi sviluppi, cominciando dai germi fino al momento che completamente indipendente dal corpo in cui é stato concepito, vedrà  finalmente la luce.

E questa similitudine ci serve anche ad indicare la semplicità  diremmo quasi essenziale di cui si é servito il Novaresio per indicare questi passaggi, una semplicità  diremmo quasi scientifica, monda di ogni scoria ed anche di ogni supplemento decorativo. Con questo - intendiamoci bene - egli non si é allontanato dall'arte. E una arte che non ti viene incontro clamorosamente, che non ti abbranca e ti scuote fin dalle radici del tuo essere: sono piuttosto piccole e sensibili onde che ti assalgono, che ti carezzano i nervi piuttosto di avere effetto sui sensi.

Ecco che si profilano al visitatore ossature di bastimenti simili a scheletri di mostri marini, eliche dalle linee curve e fuggenti assomiglianti ad immani molluschi, prue secche e taglienti come enormi crostacei, tutto piantonato da gru che nella loro fragile struttura e così erette contro il cielo, ti danno l'impressione dell'altezza e dei venti che passano. E osservandoli poi tutti insieme questi disegni che non sono colorati, si direbbe che il Novaresio sia andato in cerca di rapporti, di saggi rapporti fra le linee in una grafia che nei momenti più sentiti diventa grafito.

Qui non é proprio il caso di citare qualcuna dei singoli lavori, perché i lettori avranno certo capito si tratta di un disegno unico. Ci sono, é vero, dei quadri che hanno una vita propria, che stanno a sé, ma si tratta di eccezioni come quelle eliche in inchiostri rossi e neri che sembrano un motivo decorativo ispirato a quei frutti di mare di un bruno lucente che aperti mostrano una piccola polpa carnosa color arancio, chiamate comunemente vongole.

Il difetto di questa mostra, tutti in questo mondo abbiamo un difetto, é di essere un po' ermetica, chiusa in sé stessa e nel cantiere in cui é nata, di non avere tutta quella esuberanza e diciamo pure quel pathos a cui il Novaresio, con i suoi ritratti e con le sue composizioni religiose, ci aveva abituato. Pecca un po' di intellettualismo ma si sa, la sintesi cade qualche volta in una purezza geometrica.

Questa mostra ci permette anche di fare delle considerazioni su come dovrebbero essere le decorazioni ed i dipinti in generale a bordo dei piroscafi. Spesso si dimentica che cosa sia una nave e si ordinano agli artisti dipinti quasi si trattasse di una chiesa, di un edificio comunale, di un monumento qualsiasi. Ricordiamo di aver visto in un grande transatlantico che salpò per la prima volta da Genova, la riproduzione esatta del salone del Palazzo Colonna di Roma, fiancheggiato da una serie di superbe e lucentissime colonne di finto marmo, salone bello e fastoso quanto si vuole, ma che era in fin dei conti un controsenso, un anacronismo. Le navi nella loro struttura non hanno niente di comune con i palazzi cittadini. La loro forza, la resistenza sta appunto nell'organismo, nella loro elasticità . Così le decorazioni, i fregi devono essere lievi, senza l'ombra di solennità . Le navi sono esposte a tutti i venti e a tutti i malestri del tempo, e se anche non capitano disgrazie, hanno una vita relativamente breve.

Ora appunto, dicevamo, che il Novaresio il quale ha concepito questi disegni presso un piroscafo in costruzione, ci sembra anche indicare quali dovrebbero essere i semplici ornamenti di questi mostri galleggianti. Si tratta di cogliere i fugaci aspetti del cielo, di segnare leggero il volo degli uccelli marini di darci dei grafiti i quali abbiano insomma quell'alato dinamismo che caratterizza le navi. E Novaresio con questi suoi disegni dà  un saggio e un abbozzo di decorazioni adatte di figurare nelle sale dei piroscafi. Per questo forse come abbiamo detto, egli ci mostra un volto un po' diverso da quello che da tempo avevamo imparato a conoscere.

Il catalogo di questa esposizione é preceduto da una bella presentazione di Tullio Cicciarelli, che é anche un acuto studio critico sull'arte del Novaresio.

 

Arrigo Angiolini "Il lavoro nuovo", 1953

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dalla prefazione all'Album Somalo, Dinsor, 5 febbraio 1958

(...) Le raccontavo della boscaglia come evasione, dell'arsa terra sabbiosa, dei cammini di spini, dei suoi figli in continua ed ansante ricerca di acqua e di pascoli, delle faticose abbeverate di Gilal, della pazienza muggente dell'affollato bestiame assetato, degli amori, delle gioie, delle tristezze dei pastori. E dei canti davidici, sciolti a sera in un aperto orizzonte senza ostacoli, confini, limiti.

Allora, testimone il bianco smorzato delle antiche mura, auspice l'ora che svolgeva a noi sogni e speranze covate in silenzio per giorni e giorni, Lei mi diceva: "Come vorrei che ognuna di queste immagini che popolano la sua e la mia sera, inverata nella forma imperitura dell'Arte, potesse diventare una pagina di un'opera ispirata e non sfuggirci più".

Non era un vano desiderio il suo ma l'esigenza spirituale di un artista, sollecitato da visioni di bellezza; perciò quelle immagini, allora effimere, sono passate, oggi, alla vita sui fogli stampati dai torchi di una bottega d'arte (...).

Con la matita, col pennello, con l'obiettivo Lei ha fermato sulla carta eleganti figure umane, ritmiche architetture, paesaggi aperti su una natura panica e, raccogliendoli insieme, ha creato un'opera che non avrà  vita caduca.

Le sue tavole, specchi di una realtà  culturale ben definita, testimonianze di un mondo che ha nome Somalia, disteso fra il mare indico e le ambe del Regno cristiano d'Etiopia, acquistano, nell'ispirazione, una ampiezza universale che supera ogni linea o confine geografico.

Da quei suoi volti di donna, così aurei nella dolcezza delle linee, dal ritmo musicale di quei suoi corpi in movimento traspare, a me sembra, quanto di essenza divina sia rimasto ancora nell'uomo.

Né forse stimolo più forte all'esaltazione dell'essere umano avrebbe potuto trovare fuori da questa terra somala, dove l'uomo, nello sterile infinito della boscaglia, vive protagonista eroico e vittorioso e dove il Mad Mullah, Muhammad Abd-Allah Hassan, Omero ed Achille del Corno dell'Africa, cantò la saga della sua gente guerriera.

Nemmeno si é lasciato piegare dagli allettamenti del mito di un'Africa dolciastra e colorata. Non so altrove ma qui, in Somalia, non c'é che un tragico contrasto di luce e d'ombra, di sole e di buio. A volte qualche nuvola evoca una macchia di colore, ma non può essere altro che un miraggio africano.

(...) Piacerà  ai Somali questo messaggio di euritmia e bellezza che un artista ha saputo e voluto cogliere nel cuore stesso della loro terra.

 

Camillo Bonanni

dalla prefazione all'Album Somalo, Dinsor, 5febbraio 1958

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dalla prefazione all'Album Somalo, 1958

(...) Questo libro del pittore Giovanni Novaresio che si vale di traduzioni dal somalo d'uno scrittore egregio, Camillo Bonanni, delegato dell'Unesco per l'educazione di base in Somalia, dimostra l'eleganza innata, la finezza, la sentita poesia di questa gente semitica in cui si fondono misteriosamente elementi dell'Africa nera e dell'Oriente indiano, della antica nobiltà  spirituale egizia, ebraica e della fantasiosa sensibilità  araba.

Il poeta e il pittore hanno compreso (...) che in Somalia l'amore é un sentimento fuso con la poesia e che quando il poeta europeo trova l'ispirazione al suo canto non é in niente superiore al giovane Somalo che canta la bellezza della sua innamorata lungo i fiumi dove i coccodrilli vegliano o dietro i cammelli sparsi alla pastura nel gran silenzio verde usando ancora immagini e ritmi che rammentano le nude meravigliose e profumate innocenze del Cantico dei Cantici.

A riflettere un poco sulle figure di Novaresio intese più che altro a cogliere un corpo nella sua grazia di movimento, nella naturale dignità  d'una posa, nell'armonia tutta spontanea dell'atteggiarsi (e l'artista ci sembra qui di rara penetrazione psicologica) dobbiamo rilevare la presenza, in questo popolo, di uno stile. E non uno stile barbarico, selvaggio; é - si deve convenirne - uno stile classico.

(...) Chi osserverà  queste pagine avrà  più d'una sorpresa e sarà  grato a Giovanni Novaresio e a Camillo Bonanni per aver saputo osservare con vigore penetrativo quanto nessuno prima di loro aveva veduto, e di avere udito - assommando le loro sensibilità  di artisti o di uomini quanto altri, con le orecchie tappate dalla cera degli interessi pubblici o privati, non aveva mai pensato che si potesse udire.

L'anima somala meritava tale riconoscimento: merito grande per Novaresio averla rivelata con la sua forma d'arte degnissima in un degnissimo libro.

Umberto V Cavassa

dalla prefazione all'Album Somalo, 1958

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Presentazione nel catalogo della Mostra all'Istituto Italiano per l'Africa del 1970

I quadri africani di Giovanni Novaresio vanno per noi oltre le labili frontiere della cronaca per entrare nel vivo della memoria che é poi lo specchio e la misura di un uomo. Per noi, Novaresio é inscindibile con l'immagine di Genova, con quell'area degli anni che erano avventurosamente rotolati subito dopo la Liberazione. Anni dove l'ansia di bruciare il tempo rappresentava il nostro impegno quotidiano. Novaresio ci apparve come un animatore di cultura, un artista che uscito dal lungo inverno degli incubi aveva ucciso le allucinazioni dell'angoscia con la concretezza di un lavoro assiduo. Certi suoi disegni di allora già  indicavano la qualità  di un intervento inesorabile ed immediato, certe sue  «uscite » pittoriche alla Galleria  «L'Isola » ci dicevano che il naufragio delle antiche illusioni era completamente finito per dare spazio e slancio ad un lavoro sempre più umano e civile, responsabile e ricco di significato. Novaresio non voleva essere un personaggio (aveva terrore del pittoresco, del gioco squallido della pubblicità  a tassametro) ma soltanto un interprete di una cultura che si stava a fatica facendo e che diventava un momento essenziale della nostra unione e del nostro discorso. Novaresio portava i suoi quadri a Mario Catena - un gentile intenditore che amava i giovani e che non ostentava superbia e saccenteria finanziaria - come un atto di presenza, una precisa testimonianza di lavoro e di impegno. La crescita di Novaresio nei lontani anni genovesi é stata una crescita che ha coinvolto un po' tutti. La sua comunicativa, quella sua fede nel fuoco della polemica e soprattutto quella poetica fedeltà  all'arte erano le sue carte migliori e furono in tanti a stimarlo ed a seguirlo nonostante certe spigolosità  ambientali. Abbiamo parlato del fuoco delle polemiche che furono sempre per Novaresio un'appassionata difesa per la libertà  artistica e la dignità  umana. Ci sono episodi (rifiutò di andare nel 1948 alla Biennale di Venezia dove era stato invitato, per un gesto di solidarietà  verso alcuni colleghi liguri esclusi dalla manifestazione) che confermano il carattere, la coerenza dell'artista.

Quegli anni lontani non si sono cancellati dalla nostra memoria e quando Novaresio trovò in terra d'Africa l'affascinante Eden delle sue nuove, eccitanti esperienze creative per noi tutto questo non suonò come trauma o come paralizzante sorpresa, ma fu invece la linea logica di un discorso. Il viaggio di Giovanni Novaresio alle radici dell'autenticità  e della bellezza non é altro che l'immagine umana dell'artista che senza tradire nulla del passato ha colto nella "terra promessa" la forza, l'estro, la misura del suo mondo espressivo. Dall'Africa i messaggi di Novaresio, i segni della sua operosità  fervida e lucida sono stati ormai consegnati alle testimonianze delle mostre di Chisimaio e di Mogadiscio senza dimenticare l'altamente significativa personale di Johannesburg in un clima scottante e controverso, una personale stupenda che ha ancora una volta siglato il sensibile lavoro dell'artista. L'Africa, amore di Giovanni Novaresio, l'Africa viva, vera nostalgica e nuovissima l'abbiamo amata anche noi leggendo e vedendo il grande  «Album Somalo » e le bellissime illustrazioni del  «Taccuino Somalo ». Poi i suoi viaggi nel Kenia, Uganda, Tanzania ed in Rodesia, tappe feconde di incontri, di sensazioni, nascite di composizioni esemplari nella immediatezza del tratto e nella profondità  della ispirazione sino alla mostra che gli é stata organizzata alla  «Rhodes National Gallery » a Salisbury. Ma il suo viaggio non é finito. L'artista che negli anni genovesi aveva preso di petto i problemi della cultura, che aveva dato fuoco all'immobilismo ed alle pigrizie, non chiude il suo quaderno. La mostra romana all'Istituto Italiano per l'Africa ne é una preziosa testimonianza, il segno lucente di essere vivo nell'autenticità  dell'arte.

Tullio Cicciarelli

Presentazione nel catalogo della Mostra all'Istituto Italiano per l'Africa del 1970

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"Il Secolo XIX", 9 febbraio 1974

La personale di Giovanni Novaresio (galleria "Il Punto", piazza Colombo 1) rappresenta un punto di riferimento d'obbligo per chi intenda dedicarsi a una empirica e personale ricostruzione delle vicende artistiche liguri degli ultimi trent'anni; empirica e personale in quanto nello sterminato panorama di editori e di pubblicazioni liguri, non é ancora spuntato un volume che tracci con sufficiente estensione l"iter" dell'arte della nostra regione nel dopoguerra. Se un giorno questo libro si farà , a Novaresio occorrerà  dedicare più di una pagina, sia per l'effettiva qualità  della sua pittura, sia per l'importanza che ha avuto la sua attività  a Genova negli anni a cavallo della Liberazione. Nel lunghissimo e lusinghiero curriculum di Novaresio spiccano infatti le presenze del '43-'44 nella galleria Euro Romano (che durante la guerra varò una serie di piccole monografie su liguri che si chiamavano Gargani, Paulucci, Verzetti eccetera) e la direzione (in coppia con Cherchi) della galleria "L'Isola", che subito nel 1945 pose le premesse della rinascita culturale genovese. Gli artisti di allora sono ancora i migliori di oggi e coloro che purtroppo sono scomparsi sopravvivono splendidamente nelle loro opere: basterà , per tutti, ricordare Nobile.

Novaresio era un po' scomparso dal "giro" genovese perché, beato lui, se n'era andato in Africa a lavorare e a studiare, lasciandoci in questa specie di valle di lacrime che é la nostra attuale repubblica. Ed ecco il pittore riapparire ed affrontarci, fin dalla prima sala della mostra, con "otto proposte per un manifesto contro la guerra" che risuscitano di colpo gli entusiasmi, i furori, le illusioni bellissime del "'45. Cose queste marziane per noi che nel 1974 ci ritroviamo a chiederci se i soldi dei petrolieri siano stati usati per corrompere singoli onorevoli o per "l'usuale finanziamento dei partiti". Così i quadri di Novaresio - una materia sironiana per uno spirito quasi cubista - diventano per tutti noi una voce del passato, un rimprovero, un punto di riferimento nel buio. E ci permettono anche di ritrovare - specialmente nella parte retrospettiva della rassegna - il prologo e i presupposti di alcuni grossi fenomeni pittorici - ad esempio Fieschi - scaturiti dalla seconda generazione del dopoguerra.

Sergio Paglieri

"Il Secolo XIX", 9 febbraio 1974

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dal catalogo delta mostra del Banco di Sicilia, Palermo, 1976

L'attuale pittura di Giovanni Novaresio é apparentemente semplice, in realtà  complessa e di non facile lettura: fondi in prevalenza cupi nero, rosso, blu - sezioni/stanze chiare ma ingombre di segni rotti convergenti e divergenti, come graffi, come unghiate, segni corposi che sembrano tirati a carboncino.

Ad osservare queste tele di media grandezza ci si immerge in una atmosfera di enigmi e inconsciamente si cerca di ritrovare, al di là  del groviglio o degli emblematici tratti, una traccia di figurativo, quasi una risposta e un confronto. Tale presenza esiste infatti: segreta ma costante. Perché Novaresio - pur nella nuova scrittura - mai si é del tutto distaccato dal primitivo gesto che coinvolge la figura umana.

Tuttavia, oggi, il suo scopo é spogliarsi di ogni sovrastruttura per giungere alla chiarezza interiore nella massima essenzialità . Ricerca che accomuna molti grandi artisti contemporanei, partiti anch'essi da una fedele espressione figurata, via via liberatisi degli inevitabili limiti che questa finisce per imporre. La fatica dell'uomo moderno consiste proprio nel raggiungere una dimensione razionale interiore, dato che i grandi ideali sono da tempo perduti. Ed é questo cui tende il messaggio pittorico di Giovanni Novaresio: offrire una serenità  intima a chi guarda.

Pur dipingendo, come ogni artista, anzitutto per se stesso, egli é partecipe della società  in cui vive, non vuole proporre evasioni e tantomeno rifiuto. Vuole realizzare un assoluto rigore quale principio di chiarezza animica.

I suoi quadri li vede come "bozzetti" di esecuzioni grandissime già  precisate nella sua mente, e in effetti se ne prendiamo uno a caso, ad esempio La contesa (appena ultimato), veniamo coinvolti al di là  della misura in "punti", perché la stesura pittorica di quest'opera ha una tale forza che può sentirsi il clangore della battaglia in atto.

La tensione della materia é una delle forze dei quadri di Novaresio, come l'equilibrio - direi matematico - di ogni linea e campitura.

Egli mira infatti a questo equilibrio ultimo definitivo. Comincia con il buttar giù quasi uno schizzo, poi riguarda e riprende e insiste e fatica, in una tensione mentale assoluta che non l'abbandona fin quando ha la certezza di aver raggiunto lo scopo. Allora un senso di placato spira dal quadro e scende in lui arrestando per un poco quello strano tremito delle mani, conseguenza dello sforzo di contenere in sé tante sotterranee violenze sotto l'apparente calma dell'autocontrollo.

Difficile poter dire di conoscere quest'uomo: aspetto signorile, capelli precocemente bianchi, volto regolare dai lineamenti fini, occhi bruni che guardano da remote lontananze. Anche la sua figura é come percossa da una tensione continua per la lotta interiore a reprimere una esasperata emotività . Dolce nella voce e nei modi, tormentato nelle pieghe della bocca, nei segni della pelle. La sua vita é stata un succedersi di esperienze sulle quali mantiene un ben difeso riserbo.

Dagli anni passati in Africa, tutto quanto ci racconta é affidato alle sue tele, ai suoi disegni (famoso e ormai introvabile l'Album somalo), alle sculture ed opere murarie, la maggior parte delle quali sono rimaste nel continente africano, esposte nei musei o in collezioni private.

Notissimo nell'ambiente artistico del primo dopoguerra, non poco gli deve l'arte ligure dell'ultimo trentennio. Infatti, pur essendo napoletano di nascita, si legge nella sua nota biografica che dal 1937 al 1954 ha operato a Genova. A Genova fondò con Sandro Cherchi la Galleria L'Isola, dove si sono avvicendati i migliori pittori di quel periodo.

Ha fatto parte del famoso movimento di "Corrente", ha assimilato - senza farsene condizionare - la lezione di Picasso, Sironi, Carrà , ha spaziato nei diversi campi dell'arte (compreso quello del ritratto in cui eccelle), senza smettere la sua ricerca dell'essenziale.

Mi sembra che all'essenziale oggi egli giunga con questi recenti lavori.

Già  nel titolo esprimono il contenuto: Ipotesi, Teorema, Fossile 2000 (e si intravede la figura coricata fra strati neri e blu), Incognita (segni neri incrociati fra una base rossa in basso ed una azzurra in alto)... (non é forse, riconoscibile nell'azzurro, il vortice di un aereo che precipita?). Oltre la sintesi (la cuspide di due ortogonali rompe la curva), Rebus, Clessidra legata, Clessidra negativa (come sa, un vero artista, dipingere anche il tempo!), Le testimoni (e sono qui, visibilissime, figure femminili in toni azzurri), La ferita (nudo di donna su fondo marino), Il gesto (quasi un ritorno al figurativo, per quel caldo vivo braccio a chiudere le due figure in piedi).

Impossibile elencare i tanti quadri realizzati da Novaresio negli ultimi tempi. Li ha preparati per la mostra antologica che la Galleria del Banco di Sicilia gli allestisce nelle sue sale della sede di Palermo. Un modo degno di salutare il ritorno di questo pittore di elevata statura artistica e di schiva modestia.

Cinquanta pezzi, dal periodo africano a oggi. Rivediamo anche le sue "Otto proposte per un manifesto contro la guerra", di cui tanto si occupò la critica nazionale quando furono esposte alla Galleria d'Arte il Punto di Genova nel febbraio 1974.

Un modo, anche questo, per scuotere l'umanità  dall'abitudine al male, per dire "no" alla violenza.

In conclusione, volendo con poche parole dare un'idea globale della produzione pittorica di Giovanni Novaresio, penso di poter fare un paragone: come gli studi di Bach servivano al Maestro per giungere alla grande composizione, così i dipinti di Novaresio sono ciascuno un pezzo del grande quadro che - in fondo esiste già .

Un puzzle - la vita - per condanna antica scomposto. Giovanni Novaresio cerca pazientemente di ricomporlo, già  sapendo che - se mai vi riuscisse - sarebbe il nulla. Ed é questo il senso ultimo della sua arte: segni come tagli-spade sintetizzati fino a una linea sola. Il nulla, dicevo. O il tutto?

Vittoria Palazzo

dal catalogo delta mostra del Banco di Sicilia, Palermo, 1976

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Introduzione al catalogo della mostra alla Galleria Palmieri, Milano, aprile 1978

Bisogna risalire alla metà  degli anni "Ëœ40, ad un itinerario tutto genovese il cui maggior atto di fiducia e di intelligenza fu quello di credere al senso e alla durata dell'arte oltre la confusione e il fallimento bellico, per trovare i tempi e i luoghi di inizio di tirocinio di Giovanni Novaresio.

La decifrazione immediata degli avvenimenti di allora rimette in gioco una esperienza, forse non ancora del tutto ben conosciuta, le cui inclinazioni, per restare alla rigidità  formale delle citazioni, fluiscono nel rapporto concreto di una occasione che accentrò nel maggior capoluogo ligure pittori come Guttuso e Mafai, ospiti di Della Ragione, e scultori come Maine, Cherchi, Garaventa attorno ad una realtà  intellettuale tutta di ricerca fissatasi nella concretezza dell'esercizio di due gallerie di avanguardia: la "Euro Romano" e la "Genova" (poi "L'Isola").

In quell'ambito e in relazione al decadimento di "Novecento", dilatatasi la lezione di "Corrente" e dei "Sci" di Torino, le vicende genovesi rivelarono accenti innovativi di lieta sorpresa.

Del resto va ricordata, anticipatrice in questo senso, la presenza di Giovanni Novaresio la cui pittura "aperta" avrebbe sollecitato la prima lezione non formale di alcuni dei migliori pittori liguri.

L'accento posto dal cubismo sulla essenzialità  degli oggetti liberati nello spazio per via di volumi, gli sviluppi analitici del segno che accentuava le possibilità  espressive del processo di scomposizione, le sfaccettature monocrome del colore che mette in evidenza la stringata scansione strutturale delle superfici, furono allora gli elementi linguistici con i quali dovette fare i conti la generazione emergente di artisti, i primi veramente liberi e reattivi alle coincidenze con la cultura europea.

Infatti tra i giovani genovesi che avevano individuato i climi emotivi e reattivi dell'espressionismo, la visionaria fantasia del simbolismo, i riflessi scientisti della visione simultanea, Giovanni Novaresio, con Borella, Scanavino e Fieschi prima, Caminati, Mesciulam e Fasce dopo, rivelò subito una nettezza intellettuale che si tradusse in pittura come qualità  costante, come stacco dell'occhio capace di cogliere, oltre le prime parvenze del visibile, il vero e il suo legame con la vita.

Di quegli anni rammento qui una "Deposizione" figurativa estremamente significativa per quanto di noto e di nuovo assieme riportava dell'esperienza culturale contemporanea.

In quel quadro l'aspetto compositivo, che innervava le suggestioni espressionistiche del segno nero e violento, conquistava l'attenzione per il suo modo originale di incidere una immagine iconograficamente nota e di spaziarne le strutture in movimento attraverso la campitura di zone azzurre e bianche che chiaramente discendevano dal ricordo d'un clima tra il francese e il tedesco.

C'era in realtà  in quella Deposizione, altro dall'iconografia tradizionale quasi statica, una sorta di doppio movimento, del segno e della materia, che rivelava dell'immagine la struttura stabilendo un contrappunto tonale di spazio posto a sospendere, per effetto di luce, la materia pittorica in atmosfera libera.

Ho ricordato quell'opera perché ritengo che sia stata un po' come un segnale di possesso fermo della consapevolezza pittorica, tecnica ed emotiva, di Novaresio il quale successivamente e per anni é stato un pittore capace di arricchire l'originaria esperienza senza nulla rinunciare di essa, né alla natura, alla realtà  dell'immaginazione fantastica, né ad attrazioni compositive, il cui termine di riferimento é sempre stato il dato emotivo e la lucidità  rigorosa della essenzialità  strutturale.

In questo senso peraltro sarebbe opportuno, anzi necessario, rileggere tutta la serie di sue personali in Italia e all'estero dalle quali certo ci verrebbe una sollecitazione di aderenze e connessioni critiche con i problemi e le soluzioni proposte dalla più avvertita avanguardia internazionale.

Cito qui, per esempio, le mostre alla The Vanguard Gallery di Johannesburg e alla Rhodes National Gallery di Salisbury. A quest'ultima mostra milanese viene ora Novaresio con la cultura maturata, l'incanto e l'intensità  della sempre maggior consapevolezza.

L'impegno nella sua pittura é ancora quello della pittura che vuol vivere per l'immagine che é in grado di suscitare e di offrire alla contemplazione. Le stesure dense e plastiche, il gesto grafico, illuminano una definizione rarefatta di luce interiore.

Anche qui la visione intuitiva di colore-luce fa da filtro ad una immagine tutta riconoscibile: quella della pittura fatta sensibilità  e rispondenza assoluta di sentimento e di temperamento, una sorta di eloquenza che non si rifiuta alle capacità  simbolico allusive.

Una eloquenza pittorica dunque, quella di Novaresio, che si identifica con qualcosa di profondo, con una modulazione lirica davvero vicina a qualcosa di essenziale, di aderente al momento esistenziale dell'artista che nel quadro richiama e sollecita in tutta la sua capacità  referenziale.

 

Germano Beringheli Introduzione al catalogo della mostra

alla Galleria Palmieri, Milano, aprile 1978

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Bibliografia

Testo di Ing. Arch. Michele Cuzzoni

Notizie tratte dal volume: AA. VV. Giovanni Novaresio, Tipolitografia Queriniana, Brescia, 1988