LA
PARROCCHIA DI S. EGIDIO A BITONTO
DAL
PATRONATO FAMILIARE ALLA CURA DELLE ANIME
Il tema che
mi è stato affidato ha l’obiettivo di evidenziare il ruolo della parrocchia di
S. Egidio nella storia umana della città e, in particolar modo, del quartiere
fino al XVIII secolo.
Mi sembra
opportuno fare due premesse:
Per il
nostro discorso e la nostra indagine bisogna far mente locale alla vecchia
parrocchia di S. Egidio posta su via Sedile ove attualmente è la sede delle
ACLI;
2. Il mio
dire non potrà essere sempre puntualmente riferito alla parrocchia di S.
Egidio, tuttavia il discorso generale sulle parrocchie a Bitonto implica quello
particolare.
Nella
storiografia rimane ancora generalmente oscuro il panorama della situazione e
condizione delle parrocchie nel periodo anteriore al Concilio di Trento. In
ogni caso sembra che al sistema delle chiese ricettizie si sia sostituito
quello delle chiese beneficiali: cioè ad un sistema fondato sulla comunità dei
beni distribuiti secondo le esigenze di ciascun prete, sia subentrato un
sistema per cui una chiesa era investita di uno o più benefici da parte dei
fedeli e tali benefici costituivano la rendita per il curato, il parroco o il
cappellano. I benefici erano generalmente legati alla celebrazione di messe pro
rimedio animarum.
Sulla
origine delle parrocchie bitontine il can. Nunzio Vincenzo Cerrotti ha scritto
quasi cento anni addietro un saggio citatissimo e ancora attuale (1) in cui
sostiene che l’antica Bitonto fosse costituita da un centro abitato circondato
da una serie di villaggi, gli antichi pagi. (2)
Ebbene, nel
periodo burrascoso delle invasioni saracene quelle popolazioni “si
concentrarono tutte in un sol punto, ov’è al presente la città di Bitonto
trasferendo seco loro anche i rettori o curati, che sempre si ebbero a loro
Pastori”. (3)
Riteniamo
di dover individuare tale movimento di popolazione dalla periferia al centro
intorno alla fine del X inizio XI secolo. E’ questo probabilmente il periodo
della fondazione della Diocesi e della riorganizzazione socio-politica della
città. All’interno delle mura riedificate furono costruite nuove chiese e,
attorno a queste, nuovi nuclei abitativi. Gli antichi vincoli sociali e
familiari che univano gli abitanti dei casali rimasero saldi, unitario rimase
anche il luogo del culto col santo titolare. Il rettore della chiesa, curato
d’anime, esercitava la sua giurisdizione spirituale sulle famiglie vincolate
alla sua chiesa, anche se, in tempi successivi, tale opera pastorale divenne
sempre più difficile per la dispersione delle famiglie nei vari rioni della
città, lontane dunque dalla chiesa o parrocchia a cui appartenevano per antico
diritto.
Nonostante
tali problemi logistici, tuttavia le chiese di famiglie continuarono
tranquillamente a sopravvivere fino alla metà del sec.XVI. Il legame era molto
forte, consolidato negli anni anche da una specie di protettorato che le
famiglie esercitavano sulle chiese che da loro erano provviste di rendite e
benefici vari, che nello stesso tempo tentavano di reggere vantando diritti di
patronato.
Non si deve
tralasciare, parlando di questo problema, di menzionare i legami affettivi che
si instauravano tra le famiglie e il luogo di culto che racchiudeva anche
fisicamente, con la sepoltura dei cadaveri, la memoria storica del gruppo.
Naturalmente
anche la parrocchia di S. Egidio non si sottrae a questo sistema.I due primi
rettori di cui si ha notizia Angelo de Turicto
(4) e G. Antonio de Pontibus (5) pare che non siano nemmeno bitontini.
Nel 1522 il
Papa Adriano VI concede il beneficio parrocchiale a Sellitto Scaraggi(6). Però
il vescovo Lopez de Alarçon nella visita pastorale del 1536 scopre che il detto
abate non è ordinatum in sacris (7) cioè non è nemmeno prete; né è il
solo: il parroco di S. Paolo non solo non è ordinato, ma amministra
disastrosamente la sua parrocchia che è diroccata, d’altra parte non aveva
l’età canonica per esercitare l’ufficio di rettore, né la dispensa del Sommo
Pontefice(8).
Per evitare
la minacciata privazione del beneficio parrocchiale, Sellitto Scaraggi è
costretto nel 1539 a fare una convenzione per cinque anni con d. Sallustio de
Aparan che si impegna a celebrare in parrocchia la messa domenicale, a
confessare e ad amministrare i sacramenti (9).
Questo modo
di fare non deve meravigliare giacchè prima del Concilio di Trento era nella
norma possedere un beneficio e delegare altri, tenuti in una condizione di
subordinazione, ad assolvere i doveri pastorali.
Mons.
Cornelio Musso, che aveva partecipato in maniera appassionata alla prima fase
del Concilio di Trento, si trovò ad affrontare i gravi problemi di una diocesi
disorganizzata. La visita pastorale compiuta nel 1549 gli aveva fatto toccare
con mano il disordine in cui versava la città di Bitonto dove “né il sacerdote
conosce più il suo popolo, né il popolo il suo sacerdote”(10). Vi aveva cercato
di porre qualche rimedio invitando i parroci a curare meglio il gregge a
ciascuno affidato, ad amministrare i sacramenti solamente ai propri
parrocchiani, ad annunziare la parola di Dio in lingua materna dopo il Vangelo,
ad insegnare al popolo gli elementi della dottrina cristiana, le preghiere
quotidiane, la salutazione angelica, il simbolo degli apostoli e innanzitutto
il segno di croce “con il quale possono essere difesi dalle insidie del
diavolo” (11).
Ma il problema
che affliggeva di più il nostro vescovo, quello che più lo tormentava era il
caos delle parrocchie, “dove non c’è alcun ordine, né alcun confine le tiene
separate, sembrano come campi sterminati senza siepi, mescolate tra loro in
maniera confusa tanto da essere divise, ma non per confini ben delimitati e
definiti, ma per uomini e famiglie le cui abitazioni sono sempre incerte”(12).
Queste ed altre considerazioni determinarono Cornelio Musso a riorganizzare le
parrocchie per distretto e ad abolire, quindi, le parrocchie per famiglie. Il 9
dicembre 1554, 1555 secondo l’uso e la consuetudine di Bitonto che faceva
iniziare l’anno sempre dal 1° settembre con il mutare dell’indizione, egli
emana un editto in tal senso facendolo precedere da motivazioni teologiche e
pastorali. Analizza anche storicamente la situazione delle parrocchie sino al
momento attuale: “Quando questa nostra città si ingrandì, perché dai vicini
villaggi ‘pagi’ i popoli come rivoli confluirono nel fiume, molto
ragionevolmente si fece in modo che gli uomini e le donne dello stesso
villaggio, sebbene fossero dispersi nei vari quartieri della città,
riconoscessero sia come sacerdote che come curato di anime quella stessa
persona a cui prima, quando non erano ancora cittadini, erano soggetti e
ubbidivano” (13).
Dello
stesso tenore è la conclusione di un Consiglio della Curia cittadina tenutosi
nel maggio dello stesso anno alla presenza del regio Capitano sig. G. de
Vergara, del sindaco Cristoforo de Cioffis, di altri amministratori e notabili,
nonché del vicario vescovile d. Gerolamo Gallo. Il Vicario esordisce dicendo:
“Atteso che le parrocchie di detta città stanno distanti dalle case di
parrocchiani, per esserne mutati le habitatione omne anno, talchè li rev. Abati
delle Parochie non avendo comodità posserno visitare e monire in divinis li
loro parochiani, et haver cura farli confessare, comunicare e pigliare li
sagramenti ecclesiastici… ha deliberato esso sig. Vicario con lo consenso dato
per lo Rev.mo Mons. Cornelio Vescovo di Bitonto… di dividere la città in
regiones e partimenti circum circa ciascheduna Ecclesia parochiale consignare
alle Parochie le case de li parochiani, quali s’habbiano a discernere per fines
et confines…” (14).
Anche nel
Capitolo Cattedrale s’era discussa e approvata la decisione a cui il Vescovo
era giunto dopo ampia e matura riflessione. Sconvolgere abitudini secolari,
rivoluzionare l’assetto religioso di una Diocesi non era un’impresa di poco
conto; ma il Musso, che dopo i lavori del concilio di Trento e le tormentate
vicende che seguirono il suo corso, aveva voluto lasciare tutto e desiderare
ardentemente di venire alla Diocesi a lui affidata (15), si accinse di buon
grado ad operare in maniera incisiva nel tessuto religioso e organizzativo
della Chiesa bitontina, “perché coll’azione e il lavoro possiamo offrire
qualche frutto di grazie spirituali a questo nostro gregge… che amiamo più che
le pupille dei nostri occhi” (16).
In tale
vicenda fu coinvolta naturalmente anche la parrocchia di S. Egidio che vide
annettersi in via provvisoria – ma fu definitiva – la parrocchia di S. Angelo
fuori le mura, in attesa che il rettore di quest’ultima provvedesse al restauro
dell’edificio sacro (17). Cosa che puntualmente non avvenne; forse la rendita
del beneficio parrocchiale non era adeguata a sostenere una spesa così ingente.
Pertanto la decisione già presa dal Musso fu resa definitiva con bolla di papa
Pio IV del 26 sett. 1561 da cui ancora una volta emerge la scarsa cura che
molti rettori avevano per le rispettive chiese e per i fedeli loro affidati.
Nella parrocchia di S. Angelo da molto tempo il parroco aveva dimenticato di
amministrare i sacramenti ! (18).
La
consapevolezza del generale decadimento del clero aveva spinto lo stesso Musso,
nella parte conclusiva del decreto sulla divisione delle parrocchie, ad usare
parole piuttosto dure: “Preghiamo e supplichiamo nel Signore tutti i parroci e
i preposti a queste chiese parrocchiali chè ricordino che hanno in cura non
cavalli o buoi, ma anime, proprio quelle anime che nostro Signore Gesù Cristo
ha redento con l’inestimabile prezzo del suo sangue immacolato e puro,
ricordino che non sono tanto ministri nostri, ma di Gesù Cristo e devono
rendere conto del loro ministero non solo a noi, ma allo stesso Cristo” (19).
Non fu
facile per Musso cambiare le mentalità radicate da secoli in usi e abusi, si
sentì spesso sconfitto e umanamente fu tentato spesso di lasciare questa
benedetta Diocesi. Non aveva tutti i torti: le resistenze alle sue riforme
furono enormi. Nella visita pastorale del 1572 ad esempio il parroco di S.
Egidio d. Giovanni Bonasia, interrogato sul numero dei parrocchiani,
candidamente rispose “che non sape le case particolarmente et distintamente et
il numero de’ parochiani, ma si bene sape il circuito et districtu de sua parochia”.
Gli fu chiesto ancora se nella sua parrocchia ci fossero pubblici usurai o
concubinari o taluni sospetti di eresia, rispose: “Signor mio i non so che ci
ni sia nesciuno” (20).
Dopo un
primo tentativo di riduzione del numero delle parrocchie operato proprio nel
1555, nel 1572 lo stesso vescovo ritornò sull’argomento e decise di ridurle da
dodici a sei (21), a seguito di una ennesima visita pastorale. Il suo disegno
era quello di incentrare la vita diocesana attorno alla Cattedrale, di cui il
vescovo era parroco, e rendere le altre parrocchie quasi chiese suffraganee e
coadiutrici, pur restando parrocchiali. Chiarissimo era l’obiettivo: esercitare
un maggior controllo sull’attività e sull’impegno dei sacerdoti preposti alle
parrocchie.
In questa
riorganizzazione la parrocchia di S. Egidio rimaneva in piedi con S. Caterina,
S. Giorgio, S. Silvestro, S. Giovanni ad muros e S. Luca.
L’operazione
non riuscì per le motivazioni che si lasciano facilmente immaginare: ricorsi,
reazioni, movimenti di popolo e di clero fecero accantonare il progetto che
puntualmente fu ripresentato dal visitatore apostolico Mons. Andrea
Perbenedicto nel 1631 e da Mons. Ferri nel 1750 con i medesimi risultati
ottenuti duecento anni prima dal Musso.
Il fatto è
che dietro la soppressione delle parrocchie non c’era solamente il parroco che
si vedeva privato del beneficio, ma le stesse famiglie, spesso nobili e
potenti, che avevano legato il loro nome a quelle chiese non solo con lasciti
pii, ma anche con la sepoltura in cappelle acquistate o costruite appositamente
per i loro defunti.
Nonostante
parecchi smacchi che il vescovo Musso subì nell’esercizio del suo ministero
nella diocesi bitontina, tuttavia, ove guardiamo la storia di questa chiesa nel
periodo successivo, possiamo ben dire che egli riuscì nel suo intento di
cominciare a dare un volto alla diocesi, una fisionomia al clero, una
organizzazione al Capitolo, un indirizzo ben preciso alle parrocchie.
Dalla
seconda metà del Cinquecento, dunque, anche per Bitonto la parrocchia “diventa
il centro principale della vita sacramentale, il luogo quotidiano della pratica
religiosa, a cui i fedeli si riferiscono per gli atti della loro vita ai quali
attribuiscono un significato fondamentale e sacro (22).” Ma essa è ancora qualcosa di più di un luogo
in cui si assolvono gli atti sacrali, “è anche una realtà sociale originaria,
inserita non solo nella vita di pietà, ma anche nella vita materiale delle
popolazioni, in una connessione talvolta così profonda da rappresentarne il
fattore gravitazionale” (23). E la figura del parroco era l’asse attorno a cui
ruotava tutta la complessa realtà umana e sociale del quartiere. A lui era
affidato il ministero pastorale nell’ambito dei confini della parrocchia,
l’impegno della predicazione, dell’istruzione religiosa, dell’amministrazione
dei sacramenti. A lui era affidato il controllo del comportamento morale e
religioso della popolazione. Era tenuto a conoscere esattamente quale fosse il
numero delle anime della sua parrocchia, quelle di comunione, i cresimandi, il
numero e il nome dei preti abitanti nel rione, dei regolari, dei diaconi,
suddiaconi e chierici. Inoltre doveva conoscere chi era sospetto di eresia, chi
deteneva o leggeva libri proibiti, chi si dedicava a pratiche magiche, gli
abituali trasgressori delle feste e degli editti vescovili, gli usurai, i
concubini, gli adulteri. Doveva essere informato su quelli che svolgevano arti
liberali e sulla loro condotta, così pure particolarmente sulle ostetriche o
mammane “e se queste sono tali quali debbono essere in quanto a costumi e se
sappiano quello che essentialmente si richiede per amministrare la sancta
funzione del Battesimo in caso di necessità” (24).
L’elezione
del parroco, tranne che per S. Silvestro che era di diritto patronato della
famiglia Sylos Labini, avveniva tramite concorso. Gli aspiranti erano esaminati
da una particolare commissione formata dallo stesso vescovo, dal suo vicario,
dal penitenziere, dal cerimoniere e dai prelati addottorati in U. I.
L’aspirante che superava le prove con maggior profitto era investito dal
vescovo del beneficio parrocchiale.
Iniziava
così il suo faticoso lavoro che lo vedeva impegnato a seguire la vita
dell’individuo “dal suo ingresso nel mondo,che segnava anche l’ingresso nella
comunità cristiana mediante il battesimo, prima iniziazione, fino all’estremo
commiato, quando il viatico segnava il distacco da quella comunità per un
felice trapasso nel di là” (25).
Il sacramento del battesimo era impartito uno
o due giorni dopo la nascita. Ma il parroco si interessava del neonato ancor
prima che nascesse, preparando la persona che doveva aiutarlo, cioè
l’ostetrica. Questa aveva doppia responsabilità, di ordine materiale in
rapporto all’esperienza di mestiere, e di ordine spirituale nei casi di bambini
asfittici o comunque in pericolo di vita, ai quali si doveva impartire
d’urgenza il sacramento del battesimo. Il gran numero dei bambini battezzati in
casa e portati poi sani e vegeti dopo pochi giorni al fonte battesimale fa
supporre nelle ostetriche uno zelo non comune,dettato dalla preoccupazione di
poter essere causa della perdizione di un’anima innocente (26).
“ Il
sacramento del battesimo – dice il vescovo Gallo nel Sinodo del 1682 – poiché è
assolutamente necessario per conseguire la salvezza sarà amministrato con
grande sollecitudine e celerità. Pertanto i parroci ammoniscano il popolo
perché subito si rechino in chiesa per amministrare ai piccoli tale sacramento,
comunque non oltre otto giorni dalla nascita per non mettere in pericolo la
salute dell’anima” (27). E in un periodo storico in cui la mortalità infantile
era altissima, il decreto vescovile e le preoccupazioni dei parroci non erano
fuori luogo.
Ancora più
innanzi lo stesso vescovo chiarisce che solo in caso di necessità il sacramento
può essere amministrato in casa, preferibilmente da un uomo, né alcuna donna
potrà fungere da ostetrica se non sia stata prima istruita ed esaminata
dal proprio parroco e poi approvata nel
suo esercizio dallo stesso vescovo o dal suo Vicario. I padrini, che devono essere
consapevoli degli obblighi derivanti da tale ufficio, siano persone oneste,
confessate almeno a Pasqua e non abbiano una età inferiore ai quattordici anni.
I nomi ai neonati siano quelli cristiani, presi dal martirologio e siano
annotati subito sugli appositi registri parrocchiali. Le annotazioni dei nati,
dei matrimoni e dei morti conferivano alle parrocchie un ruolo di vero e
proprio stato civile. Se a tali incombenze si aggiunge quella della
compilazione annuale dello stato delle anime con l’età e la professione dei
componenti del nucleo familiare, si può ancora di più constatare quale
rilevanza sociale e storica abbia avuto la parrocchia. In S. Egidio i battesimi
cominciano ad essere trascritti su un apposito registro dal 1585 nonostante le
continue sollecitazioni che i vescovi facevano già da qualche decennio.
Da una
recente indagine risulta che il 2,7 dei battezzati era costituito da
illegittimi indicati con il termine: proietti, trovatelli, figli della
sventura. Anche a questi i parroci rivolgevano particolare cura non solo
provvedendo al loro battesimo, ma anche affidandoli a qualche nutrice. E se ci
fu possibilità di salvezza per questi neonati abbandonati per strada o in
qualche portone o sulla soglia di una chiesa o di un convento, ciò fu dovuto in
buona parte al clero parrocchiale e regolare (28). Per regolamentare tale
fenomeno fu istituita la ruota dei trovatelli che, agli inizi dell’800 funzionò
nel rione di questa parrocchia anche per la vicinanza dell’ospedale posto
nell’ex convento degli Agostiniani. A tal fine fu adibito un basso in vico
Casale, una stradetta piccola e buia, lontana dagli occhi indiscreti della
gente. Tra il 1824 e il 1840 furono accolti ben 720 proietti, battezzati e
affidati a nutrici che spesso erano madri bisognose che già stavano allattando
i loro piccoli. Ciò spiega l’alta mortalità degli esposti: il 60% nel primo
anno di vita.
Come si è
detto la funzione del parroco non si limitava al fatto spirituale. Dopo il
battesimo egli si impegnava a impartire particolari disposizioni affinché
l’incuria dei genitori non causasse qualche guaio serio ai bambini nei primi
mesi e anni di vita. Perciò esortava le madri perché non facessero dormire i loro piccoli nel letto matrimoniale per
il pericolo di soffocamento. E non era una semplice esortazione! Il perentorio
invito, suggerito da editti vescovili, prevedeva finanche la scomunica.
Anche per la confermazione i parroci erano
tenuti a istruire i cresimandi sul valore e significato del sacramento. I
bambini da cresimare dovevano avere un’età compresa tra i cinque e i nove anni,
prima cioè che fossero provvisti del sacramento della confessione e
dell’eucarestia. Il padrino o la madrina non dovevano essere scomunicati, né
pubblici peccatori, anzi dovevano essere in regola con i precetti della chiesa
e aver adempiuto l’obbligo della comunione pasquale. In occasione della Pasqua,
infatti, i parroci erano tenuti a compilare particolari elenchi dei confessati
e comunicati.
Nei
registri di battesimo di questa parrocchia, nell’anno 1588, c’è un quinterno
intitolato: “Lista di quelli che si sono confessati in quest’anno 1588 nella
parrocchia di S. Egidio” (29). Seguono i nomi dei confessati. Coloro che non
osservavano il precetto pasquale erano deferiti al vescovo e alla pubblica
opinione.
Ritornando
alla amministrazione dei sacramenti, il parroco di S. Egidio, come gli altri,
era tenuto a catechizzare i bambini di prima comunione che dovevano avvicinarsi
all’altare con i requisiti necessari, né avere un’età inferiore ai dieci anni.
Sul valore
dell’eucarestia come strumento di salvezza i parroci erano tenuti a ritornare
con frequenza durante l’omelia domenicale e a sollecitare alcune categorie a
rischio ad avvicinarsi a questo sacramento salvifico: le partorienti, coloro
che dovevano intraprendere un lungo viaggio o dovevano andare per mare.
Non tutti i
preti erano idonei alla confessione. Il vescovo conferiva tale ministero
innanzitutto ai parroci e ai curati d’anime da lui appositamente esaminati. Il
Sinodo di Mons. F. A. Gallo dà particolari e dettagliate disposizioni circa i
casi dubbi, il modo di confessare, la stessa disposizione dei confessionali in
chiesa (30).
La
responsabilità dei parroci era richiamata particolarmente nel momento della
celebrazione del matrimonio. Una usanza inveterata e diffusa in tutto il
Mezzogiorno d’Italia vedeva una duplice fase nella celebrazione del matrimonio.
“Con la prima i fidanzati venivano solamente ‘affidati’ dal sacerdote,
contraevano così il matrimonio ‘per verba de futuro’ ( si dice a Bitonto: dare
parola al parroco) che era una semplice ma solenne promessa. Avevano poi due
mesi di tempo per completare il rito nella seconda fase, altrimenti cadevano
nella scomunica” (31). Né i fidanzati potevano consumare il matrimonio in
questa prima fase, ma capitava frequentemente che l’accordo tra le parti si
risolveva in una convivenza più o meno lunga che molto tardi era legalizzata
dal punto di vista religioso. I Vescovi e i parroci lottarono a lungo contro
questo tipo di matrimonio, né le sanzioni si mostrarono efficaci. Pare che solo
verso la fine del ‘600 la situazione bitontina cominciò a normalizzarsi. **2**
La
cerimonia funebre e di sepoltura si officiava generalmente nella stessa
parrocchia del defunto. Don Gerolamo Bucetti in una relazione del 1711 sullo stato
della popolazione della sua parrocchia di S. Egidio, descrive dettagliatamente
questo momento di commiato del fedele dalla comunità parrocchiale (34).
I cadaveri
dei fanciulli inferiori ai sette anni si seppelliscono nel giardino – cimitero
limitrofo; dopo i sette anni se i bambini appartengono a famiglie povere si
seppelliscono gratis et amore Dei in chiesa; se le famiglie sono agiate si
fanno le esequie solenni: intervengono otto preti: il parroco, il suo
sostituto, un ordinato del Capitolo, un puntatore di messe, uno del Coro, uno
della quarta funeraria, uno del Pallio. Tutti sono gratificati anche se in
maniera diversa. A chi portava la croce spettava un grano, mentre tre tornesi
al “discepolo della parrocchia”, diremmo oggi al chierichetto. Ma il cadavere
poteva essere anche sepolto fuori del recinto parrocchiale: se in Cattedrale,
intervenivano venti preti. Lo stesso cerimoniale era riservato agli adulti per
alcuni dei quali le ufficiature si facevano due volte: in casa e in chiesa.
La presenza
di un coadiutore o sostituto parroco era una costante nella parrocchia di S.
Egidio. Era eletto dallo stesso parroco, beneficiava delle elemosine delle
messe, della porzione dei funerali e di “qualche regalo”. Di casa era anche il
chierico che “serviva le messe e le
funzioni”. Nel 1709 era chierico Gaetano della Zecca.
Nel 1758 il
parroco Mastronicola aveva in cura 1152 anime; nel nov. 1711 le anime di S.
Egidio erano 914, divise in 201 famiglie. I sacerdoti del rione erano14, i
chierici 11, i medici 4. La parrocchia comprendeva nel suo distretto: la
abbazia di S. Leone, il convento dei PP. Agostiniani, quello dei Minimi di S.
Francesco da Paola, la chiesa e la confraternita dell’Annunziata, la chiesa di
S. Salvatore sotto la casa del dott. Fisico Giacomo Maiullari, la chiesa di S.
Giuseppe del sig. Alfonso Sylos.
Nonostante
la definizione del territorio parrocchiale operata dal vescovo Musso, sorse*
*un conflitto di competenza con la parrocchia di S. Giacomo circa “le torri e i
luoghi abitati extra moenia”. Pertanto nel 1686 il parroco di S. Giacomo, d.
Giuseppe Giachetti e quello di S. Egidio, d. Gerolamo Buccetti, sottoscrissero
un accordo dinanzi al protonotario apostolico Francesco Mattia (35). Si stabilì
che i luoghi abitati posti sulla sinistra da chi guarda da Porta Baresana
fossero sotto la giurisdizione di S. Egidio: la zona che va da S. Francesco di
Paola a S. Leone e tirando diritto verso il mare sino al territorio di
Giovinazzo. A S. Giacomo dovevano appartenere definitivamente i luoghi abitati
che vanno dalla destra di Porta Baresana: “dalla piscara pubblica di questa
città, detta volgarmente della Correra per drittura avanti la sopradetta chiesa
di S. Leone e convento e seguitando per la via e strada che tira verso la
marina includendo in primis la torre delli eredi del quondam G. Giacomo Sylos,
e così seguitando tutti i luoghi et habitationi et torri che sono poste e site
tirando dalla detta torre insino alla
marina, includendovi la torre detta volgarmente di Calò, la torre del sig.
Francesco di Alfonso Sylos, torre di Brencola, torre di S. Spirito, con tutte
l’altre torri e luoghi siti e posti per quanto si distende la terra di Modugno”
(36).
I fedeli di
S. Egidio associavano al culto divino una intensa attività devozionale e non
solo verso il santo titolare o una immagine antichissima di S. Nicola da Bari
che si trovava “sotto la lamia, sopra il pilastro di mezzo della chiesa, ma
specialmente verso un’immagine considerata “miracolosissima” della Madonna
delle Grazie (37) la cui festa si celebrava con grande solennità la III
domenica di novembre. In quella data si verificava un grande concorso di popolo
anche per lucrare l’indulgenza plenaria concessa da papa Clemente XI. Ogni
sabato nella cappella dedicata alla Madonna si recitava il santo Rosario col
beneficio di 100 giorni di indulgenza. Alla cappella era legato un beneficio
particolare di cui non era investito il parroco. Alla fine del ‘600, invece,
troviamo investito di quel beneficio l’arcivescovo di Manfredonia Giovanni De
Lerma, bitontino.
La festività
di S. Egidio, celebrata il 1° settembre, permetteva ancora ai fedeli di
usufruire dell’indulgenza plenaria concessa per bolla di Innocenzo XI.***
“Stiano
attenti i parroci affinché nessun parrocchiano parta da questa vita senza
sacramenti!” . E’ ancora l’invito di un vescovo (32). Essi percorrano le strade
del quartiere, visitino gli ammalati, inducano quanto prima gli infermi alla
confessione, li spingano a comunicarsi. Se è imminente il pericolo di morte, li
dispongano alla estrema unzione, se qualcuno è in agonia non lo abbandonino
fino alla sua morte. Se il fedele morirà senza sacramenti per colpa del
parroco, su costui cadrà l’ira divina e la sospensione canonica dagli uffici.
E’ il
perentorio invito ancora del vescovo Gallo che aveva obbligato pure i medici a
sorvegliare non solo sulla salute fisica, ma anche su quella dell’anima degli
ammalati gravi. Anche i medici erano tenuti a sollecitare i moribondi ad
avvicinarsi all’ultimo sacramento.
L’età
moderna è caratterizzata da una intensa natalità, ma da una altrettanta intensa
mortalità, specialmente infantile, quando non sopraggiungevano fenomeni e
cataclismi naturali a decimare la popolazione. L’età media di vita nel ‘500 a
Bitonto era di 46 anni (33). Si conviveva con la morte e quindi il parroco
doveva dispiegare molto impegno nell’accorrere sollecitamente presso il
capezzale dell’infermo, assisterlo spiritualmente e semmai coglierne le ultime
volontà.
Il parroco
interessato a portare l’Eucarestia ai moribondi, suonata la campana con un
particolare rintocco, si recava in Cattedrale dove erano già ad attenderlo gli
officianti della Confraternita del SS.mo, quattro sacerdoti addetti a portare
il baldacchino e alcuni chierici per le candele. Il parroco, vestito di talare,
stola, pallio, velo omerale, e preceduto dai suddetti officiati e chierici si
recava processionalmente alla casa dell’infermo intonando salmi e canti.
L’unità
spirituale che aveva vincolato i parrocchiani durante l’intero arco
dell’esistenza perdurava al di là della morte quando, durante la cerimonia
religiosa, la comunità parrocchiale, ritrovandosi in chiesa era vicina di
spirito e di fatto ai propri defunti. La parrocchia univa la comunità più di
qualsiasi altro tipo di organizzazione politica e religiosa, poche in quel
periodo ove si eccettuino le confraternite.***
Secondo la
cronaca trasmessaci dal parroco Buccetti, in S. Egidio si celebrava la messa
quotidiana “per comodità del parroco”; nelle festività si spiegava il Vangelo
“con l’annuncio di ciò che comanda la S. Madre Chiesa secondo i tempi” e il
parroco istruiva il suo popolo sui precetti della vita cristiana, sui pericoli
da evitare. Il suo era anche un compito di acculturazione per cui non di rado
le sue prediche erano rivolte ad estirpare consuetudini e tradizioni, credenze
e superstizioni.
Nel
pomeriggio della domenica, al suono delle campane convocava i bambini per il
catechismo. In particolari momenti dell’anno era occupato nelle confessioni in
massa secondo il precetto: confessarsi almeno una volta l’anno, perché
poi potesse con soddisfazione affermare: “in tempo paschale tutti quelli che
abitano nel recinto della parrocchia, chiunque se fussero forastieri, anzi di
passaggio, vengono a comunicarsi in detta chiesa parrocchiale” (38).
Accanto
alle più importanti feste liturgiche dell’anno, il popolo sentiva in maniera
particolare altre cerimonie religiose ricche di simboli. In S. Egidio ogni anno
si faceva la cerimonia della benedizione delle candele, quella delle ceneri,
quella delle Palme con grande apparato scenografico. Si benediceva con
particolare cerimonia il fonte battesimale, gli sposi, le donne dopo il parto
per lo scampato pericolo e per il dono della vita che avevano dato ad un’altra
creatura. Il Sabato Santo, in assenza di particolari impegni in chiesa, il parroco
girava tutto il suo rione per impartire la benedizione in ogni casa. La
concentrazione dell’abitato attorno alla parrocchia poteva pur permettere
questa estenuante fatica che il curato doveva svolgere in un sol giorno.
Se la
Chiesa, come si dice, nei secoli passati era onnipresente e scandiva con i suoi
ritmi la vita quotidiana degli uomini, la parrocchia restava concretamente il
centro della vita locale, il punto di riferimento del quartiere, a lei era
affidata la gestione del sacro, a lei erano assegnati servizi ritenuti
indispensabili nella vita di ogni giorno: dalla amministrazione dei sacramenti
al soccorso dei più deboli, dalla amministrazione dei beni al contatto
quotidiano con i lavoratori, i disoccupati, i questuanti, le vedove, i bambini
abbandonati, ma anche con i ricchi,*** i nobili, i prepotenti che, come un tale
Giliberti, non solo occupò l’atrio antistante l’antico ingresso della chiesa,
costruendovi il suo palazzotto, ma addirittura pretese di tenere una finestra
comunicante con la parrocchia per sua comodità nel partecipare alle funzioni.
Nell’attività
di mediazione tra gli uomini e tra l’umano e il divino è da identificare
l’opera instancabile dei parroci. Voglio ricordare quelli che fino agli inizi
dell’Ottocento hanno guidato questa parrocchia: Angelo de Turicto; G. Antonio
de Pontibus, Sellitto Scaraggi, Leonardo Agera, Vitantonio Ripa, Giovanni
Bonasia, Girolamo Villi, Vito Antonio Ripa, Eliantonio d’Elia, Girolamo Cioffi,
Torquato Giannazzi, Paolo de Nigris, Michele de Risis, Donato Cavallo, Girolamo
Buccetti, Domenico de Filippis, Giuseppe Mastronicola, Carlo Saracino.
Non è
questo un semplice scorrere di nomi, ma un atto di omaggio e riconoscenza che
questa sera la comunità di S. Egidio rende anche a quei pastori che nel corso
del tempo hanno avuto il merito grandissimo, pur nei loro limiti, di
trasmettere fino a noi la fede in Gesù Cristo.
Stefano Milillo
NOTE
CERROTTI N.
V. , Breve cenno sull’origine progresso delle parrocchie bitontine,
Bitonto 1891.
Una antica
tradizione che parte dalla citazione pliniana dei “populi butuntinenses” vuole
che attorno all’antico nucleo abitato ci fossero numerosi insediamenti. La
tradizione è ripresa da Frate Apollinare di S. Gaetano che nell’opera
seicentesca Il cavaliere romito elenca una serie di 32 villaggi che
anticamente circondavano Bitonto, riprendendo la notizia da un’opera
manoscritta di fine ‘200 di un tale frate Angelo. Recenti indagini sul
territorio e studi di toponomastica stanno confermando tali notizie che,
finora, sembravano molto vaghe e fantasiose.
CERROTTI N.
V. , cit. , p. 8. Che il Centro storico nel periodo altomedioevale abbia subito
una contrazione e intorno al Mille una rinnovata espansione è dimostrato da
saggi di scavo effettuati nella chiesa di S. Caterina d’Alessandria; cfr.G.B.
DE TOMMASI, Il restauro della chiesa di S. Caterina d’Alessandria a Bitonto,
in “Cultura e società a Bitonto nel sec. XVII”, Bitonto 1980, p. 370. Il Cerrotti fonda la sua tesi sulla origine
delle parrocchie sulla tradizione, su antichi manoscritti e su una inedita
memoria dei parroci che non siamo riusciti finora a rintracciare nell’Archivio
Diocesano. Sullo stesso tema: Memoria per i parroci di Bitonto pel parroco
F. N. Martucci, in V.A.V.B. , Memoria sulla città di Bitonto, ms.
coll. Priv. P. 228.
D. Angelo
de Turicto o de Talento, abate e rettore della chiesa di S. Egidio, nel
febbraio 1474 vende un terreno di detta chiesa a Pascarello de Abbinante (not.
Pascarello de Tauris), cit. in CERROTTI N. V. , S. Egidio, appunti
manoscritti in Archivio Diocesano Bitonto
Nel 1485 da
una scheda del notaio Pietro de Orfanis risulta abate e rettore di S. Egidio
Giovanni Antonio de Pontibus, fratello del vescovo G. Battista che reggeva la
Diocesi in quel periodo. In CERROTTI N. V. , cit. L’abate Giovanni Antonio de
Pontibus in diversi atti risulta vicario generale di suo fratello G. Battista:
v. beneficio di Rosella de Maniero, sec.XV, A.D.B.
Il parroco
Scaraggi possedeva tra l’altro un beneficio fondato da Natale Maranducciolo (
in A.D.B. )
LOPEZ DE
ALARCON, Visita pastorale del 1536,. Ms. in A.D.B.
Ivi.
Scheda per
notar Pascarello de Russis, in CERROTTI N. V. , cit.
MUSSO C. , Strumento
della divisione delle parrocchie del 1555 ( copia ), c. 3.
MUSSO C. , Visita
pastorale del 1549, ms. A.D.B.
MUSSO C. , Strumento…,
cit. c. 2v.
Una
conferma più antica di quella di fr. Apollinare circa l’esistenza dei “pagi”
nel territorio circostante la città.
Ivi, c.3v.
DE ROSA G.
, Il francescano Cornelio Musso dal Concilio di Trento alla Diocesi di
Bitonto, in DE ROSA G. , “Tempo
religioso e tempo storico”, Roma 1987, p. 411.
MUSSO C. , Strumento…,
cit. c. 2v.
La chiesa
di S. Angelo extra moenia o di S. Angelo de puteis paganorum o di S. Michele
Arcangelo era situata fuori Porta Baresana dove attualmente è la chiesa di S.
Francesco di Paola. Nel 1475 era rettore Marino della Guardia, nel 1521 Leucio
Vulcano, nel 1542 procuratore del rettore era d. Sebastiano de Simeone; cfr.
CERROTTI N. V., S. Egidio, cit.;
Breve cenno, p. 24, 82-84. Nella visita pastorale del 1549 la parrocchia
era stata soppressa assieme a quella di S. Giovanni Battista nel largo Castello
e ridotta a rettoria.
CERROTTI,
p. 27.
MUSSO C. , Strumento
della divisione, cit. c.5.
Visita
pastorale di Mons. Giacomo Zappa, vicario di C. Musso, in VISITE PASTORALI, vol. I.
c. 174, A.D.B.
CERROTTI, N.V. p. 27.
DE ROSA G. , Per una storia delle
parrocchie del Mezzogiorno, in “Le
parrocchie nel Mezzogiorno dal Medioevo all’età moderna”, Napoli 1980, p. 19.
Ibidem.
Visita
pastorale di Mons. Carlo De Ferrarsi, in VISITE PASTORALI, cit. , p. 349. Riportiamo a conferma
della puntigliosità dei vescovi per il controllo della diocesi un decreto
emanato dal De Ferrarsi nel 1690. “Alli rev. Parochi o Economi nella cura
dell’Anime. (Si chiede). Quante, quali chiese vi siano nel recinto della lor
Parochia, sotto che titolo sia ciascheduna. Qual sia il Rettore,
Amministratore, o Economo di esse. Se vi siano cappelle et oratorij domestici.
Quali siano e sotto la di cui cura, e se vi si celebra Messa. Quali e quanti
Monasterij o Conventi di Regolari e di Monache. Di che ordine siano e come si
chiamano. Se vi siano Spedali, Monti di Pietà, Monti dei Morti, Monti
frumentarij o altri luoghi d’opere di carità. Se vi siano Confraternite,
Congregationi o altre radunanze, quali siano li Economi, o gli amministratori
di esse. Quanto sia il numero delle famiglie, e delle Anime, e poi delle anime
di Comunione collettivamente, dei cresimandi da sette anni in su, e di questi
ne diano esattamente i nomi. Quanto il numero di Sacerdoti e di Confessori
secolari e Regolari, e chi siano; di Diaconi, Suddiaconi e Chierici ed i loro
nomi e cognomi; quanti benefici vi siano, e quali i nomi e cognomi de
Beneficiati. Se vi siano sospetti d’heresia: se vi sia chi legge, o tiene libri
proibiti, e chi siano; se vi siano bestemmiatori, malefici, o altri dediti a
simili enormità spettante al S. Officio. Se vi siano scomunicati o sospesi o
interdetti; se vi siano non comunicati nella prossima passata Pasca di
Resurrezione, se vi siano trasgressori abituali delle feste, se trasgressori
degli Editti della nostra Corte vescovile, publici usurarij, concubinarij,
adulteri, coniugati che non coabitino, o altri in qualsivoglia modo publici
scandalosi e tutti nominatamente. Se vi siano inimicizie gravi, e fra quali
persone. Chi siano i maestri di scuola, quanti medici e chirurgi,notari,
librari, dipintori, scultori, tavernari o hostj, e chi siano. Quante ostetrici
o mammane, e se queste sono tali, quali essere debbono in quanto à costumi e
alla fede e se sappiano quello che essenzialmente si richiede per amministrare
la Santa funtione del Battesimo in caso di necessità. Di più osservino il Capo
precedente per le lor Chiese, rendite et emolumenti. Qual sia di ciascheduno il
nome, cognome e Patria. Da quanto tempo è sacerdote e da quanto parroco e chi
sia stato il suo collaboratore. Se risiede alla sua cura per se stesso, o per
mezzo di qualche vicario approvato, e chi sia, e da che tempo e per quale
cagione. Chi sia il suo prete coadiutore nella cura, e quanto stipendio gli
somministri. Quanti e quali Preti e Chierici servono la sua chiesa Parochiale, e
con quale stipendio, e da chi si paga. Se tiene i cinque libri parochiali, cioè
de’ battezzati, confirmati, de Matrimoni, de Morti, e dello stato delle anime,
e se detti libri sono fatti secondo il metodo prescritto dal Rituale Romano. Se
frequenta i sermoni Parochiali al popolo nelle Domeniche, e se gli dichiara i
misteri e i riti della Santa Messa secondo il prescritto del S. Concilio
Tridentino, se in tutte le feste insegna la dottrina cristiana e qual ordine
istituto in ciò osservi. Se denuncia al popolo nelle domeniche tutte le feste,
e tutte le Vigilie che possono accadere nella settimana, quali feste proprie
sono nella Parochia e quali consuetudini. Se le vedove per mostrar mestizia e
le zitelle per mostrare rubescenza sogliono astenersi di andare alla chiesa
nelle feste ad ascoltar la Messa. Quali processioni sogliono farsi nella sua
parochia e con qual ordine e se vi siano quelle di S. Marco e delle Rogazioni,
se quella del SS.mo Sacramento nella sua festa et ottava. Da chi si portano le
mazze del baldacchino. Con quanti lumi si accompagna e chi somministri la
spesa. Fino a che tempo si differisca di dare il Battesimo al fanciullo dai dì
della nascita. Se mai fuor di necessità se ne sia battezzato qualcuno in casa.
Se vi sia disordine circa l’infanti nati tenuti in letto prima di finir l’anno.
In qual forma e con qual seguito si porta il SS.mo Sacramento all’infermi, con
quanti lumi e chi somministri la spesa. Se è accompagnato dal chierico che
porta il Rituale, et il vaso dell’acqua santa, se si istruiscono i figlioli per
la S. Comunione. Se le sedi confessionali siano il luoco aperto della Chiesa, e
se habbiano le finestrelle con le latte minutamente perforate, o con le
cancelle spesse di legno per poter bene ascoltare e fugir la vista reciproca; a
spese di chi si fanno dette sedie. Se le donne si ammettano mai a confessarsi
da faccia a faccia. Se i medici osservano la Bolla di Pio V circa l’infermi per
la confessione. Se si celebrano sempre i matrimoni in Chiesa con la Messa pro
sponsis, o pure tal volta in casa. Se vi sia disordine circa la cohabitatione
degli sposi prima di contrarre matrimonio per verba de presenti. In qual forma
si porta ai moribondi l’ Estrema Untione se il Paroco sia accompagnato dal
Chierico con la cotta e con lume. Se per se stesso faccia l’ufficio di
raccomandare l’anime à Moribondi. Se nell’esequie s’osservi puntualmente il
rituale. Qual mercede si paghi, se il defunto si sepelisce nella Chiesa
Parochiale, e quale si paga se si porta nella sepoltura d’altre Chiese. Quale sia
la tassa de’ funerali. Quanta sia la Quarta funerale per il Vescovo. Se vi
siano abusi nelle donne per esprimere i loro dolori in occasione di morti di
qualunque loro congiunto. Se nella Parochia benedica e distribuisca ne tempi
debiti le candele e le Palme, e chi per l’une e l’altre somministri la spesa.
Se benedica e distribuisca le ceneri. Se nel Sabato Santo e nel precedente alla
Pentecoste benedica l’acqua del Fonte Battesimale, se in quell’istesso giorno
soglia andare benedicendo le case. Se v’è congregatione di casi di coscienza,
et in quali giorni della settimana si faccia, e che metodo s’osserva. Quali
libri tenga appresso di sé per la direttione della sua cura Parochiale”.
VOLPE F. , La parrocchia nell’età moderna ,
in “Per una storia delle parrocchie nel Mezzogiorno”, cit. p. 54.
Ivi, p. 55.
GALLO F. A.
, Costitutiones Synodales Bituntinae Ecclesiae, Roma 1682,p. 82.
DE ROSA G.
, Per una storia, cit. p. 25.
PARROCCHIA
S. EGIDIO, Registro dei battezzati, vol. I, A.D.B.
GALLO F. A.
, cit. , p. 103.
VOLPE F. ,
cit. p. 58.
GALLO F.A.
, cit. p. 161.
CAMPANALE
M. P. , La natalità, la nuzialità e la mortalità a Bitonto dal XVII al XVIII
secolo. Dinamica demografica. Tesi di Laurea, Bari 1988, p. 92 e segg.
BUCCETTI G.
, Stato della parrocchia di S. Egidio, 1711,ms. in A.D.B.
CERROTTI N.
V. , S. Egidio, ms. in A.D.B.
Ivi.
Si tratta
di un affresco proveniente dalla chiesa di S. Giovanni Battista che sorgeva
nelle vicinanze del castello a Porta Baresana. La chiesa parrocchiale,
soppressa dal Musso nel 1548, fu definitivamente demolita intorno al 1615
quando furono iniziati i lavori della costruzione della chiesa dei Teatini.
Cfr. CERROTTI N.V. , Origine e progresso, cit. p. 81-82.
BUCCETTI G.
, cit.
Platea della parrocchia di S. Egidio, A.D.B.