I MARTIRI PATRONI

I santi Valentino e Ilario

Riproduzione del martirio

  

urna con le reliquie
 
"Valentino Sacerdote ed Ilario Diacono, nati da nobile famiglia, ma più nobili per la fede, desiderando propagare la fede cristiana in ogni parte, partiti dall'Oriente verso l'Italia, dopo aver fatto conoscere la parola di Dio in diverse province, finalmente giunsero a Viterbo, essendo imperatore Massimiano Augusto, e furono accolti da una nobile e religiosa donna Eudossia.  
Avendo trovata quasi tutta la città dedita al culto degli idoli si sforzarono di ricondurla alla vera fede di Cristo. Essendo venuto a saperlo Demetrio proconsole, comandò che fossero presi e condotti davanti a lui, e dopo averli coperti di insulti, e minacce, comandò loro di sacrificare al Dio Ercole, verso il quale i Viterbesi nutrivano grande devozione.
Ma gli invitti combattenti di Cristo, dissero che non potevano compiere quell'atto di empietà, perché quell'adorazio­ne spettava solo al vero Dio. Offeso da queste parole, l'empio giudice si irritò grandemente e comandò che fossero precipi­tati nel fiume Tevere. Emessa la sentenza, i carnefici legarono al collo dei martiri, un grosso sasso e li gettarono nel fiume. Un angelo, però, mandato da Dio, sciolse le loro catene e li trasportò sani e salvi all'altra riva. Frattanto gli sgherri, irridendo ai martiri che già credevano morti, stavano sulla strada del ritorno per Viterbo, quando si scontrarono con un orso ferocissimo che con le unghie e i morsi alcuni li dilaniò, altri ne uccise. Gli altri ancora, consapevoli del male fatto e pentendosi del delitto, abbracciarono la fede di Cristo e da Eutizio prete, che risiedeva a Viterbo, furono istruiti e battezzati. 
Intanto i nostri gloriosi Santi, salvati dalle acque per intervento divino, si presentarono nuovamente davanti al Proconsole e con severe parole lo esortarono a rinunziare agli idoli e a credere nel vero Dio e nella fede di Cristo la cui potenza li aveva liberati dalla morte nel fiume. All'udire queste parole il Proconsole andò su tutte le furie e comandò che fossero nuovamente imprigionati e flagellati. Durante questi tormenti i Martiri, lieti, rendevano grazie a Dio che li aveva fatti degni di sopportare per lui ingiurie e tormenti. Per la qual cosa il giudice ancor più adiratosi comandò che fossero nuovamente condotti davanti a lui e li minacciò che avrebbe loro inflitti più gravi tormenti se non avessero sacrificato al dio Ercole. Per nulla atterriti da queste minacce i martiri risposero che non avrebbero mai sacrificato ad una statua di pietra sorda e muta. Avendo disprezzato gli dei, furono condannati a morte. 
Condotti al ponte che allora si chiamava Camillario, vicino a Viterbo sulla Via Cassia, furo­no decapitati e ricevettero la palma del martirio il giorno 3 novembre dell'anno 306: nello stesso istante il magnifico tempio di Ercole crollò improvvisamente dalle fondamenta colpito da un terremoto. Essendo rimasti i loro corpi insepolti, Eudossia di notte li rapì e li seppellì vicino al luogo del loro martirio. Quindi con solenne onoranze il 27 gennaio del 1303 i loro corpi furono trasportati nella Chiesa cattedrale di Viterbo ed ivi sono venerati sotto l'altare a loro dedicato".