«Si dovria educare la gioventù
dando loro libri
i cui autori iniziano per "S",
come... S.Agostino, S.Gregorio,
S.Benedetto e tanti altri»
[S. Filippo Neri]

SANTI e FIGURE SPIRITUALI

 

Per la catechesi il nostro oratorio dispone di diverse aule, ognuna delle quali è dedicata a un santo o ad una santa. Essi sono uomini e donne in cui lo Spirito di Dio ha mostrato tutta la sua irresistibile fantasia, sono compagni di viaggio nel cammino educativo che l'oratorio propone, sono esempi della creatività e vivacità che tutti insieme cerchiamo di realizzare nel nostro quotidiano. Eccoli:

San Filippo Neri
Santa Teresa di Lisieux
San Francesco d'Assisi
San Luigi Gonzaga
Beata Gianna Beretta Molla
Beato Piergiorgio Frassati

Accanto ai santi "veri e propri" ci sono poi delle figure spirituali, le cui vite e i cui scritti sono di stimolo soprattutto per l'itinerario di fede di adolescenti e giovani, ...ma non solo. (per approfondimenti abbiamo riportato alcune indicazioni bibliografiche).

Paolo VI
Madaleine Delbrêl
don Luigi Serenthà
Charlie Brown

 

SAN FILIPPO NERI
[saloncino sedie rosse]

Filippo nasce nel 1515 a Firenze, ma già da ragazzo deve lasciare la famiglia non tanto per imparare un mestiere, quanto perché in casa le bocche da sfamare sono troppe. Si trasferisce così a Roma, probabilmente perché il suo carattere indipendente gli suggerisce che, nella grande città, sarebbe riuscito a trovare di che vivere, potendo allo stesso tempo impostare la vita a proprio piacimento. La sua indole gioviale e aperta gli permette di attirarsi le simpatie di tutti: si dedica a un apostolato di strada, accompagnando un gioviale saluto con una buona esortazione a chi gli capitava di incontrare, andando ad assistere e servire gli ammalati negli ospedali, dedicando molto tempo alla preghiera. La frequenza di gruppi in cui ormai si vive il clima fervente della riforma cattolica, di comunità religiose tutte volte ad una scrupolosa osservanza, e il suo amore verso il prossimo portano lentamente Filippo a maturare la decisione di farsi prete a 35 anni. Il suo ministero è caratterizzato dalla disponibilità ad ogni ora per ricevere le confessioni e per fare direzione spirituale per la formazione delle coscienze.
Aiutati dal suo carattere estroverso e sempre pronto alla battuta, attorno al santo si radunano in modo informale alcuni giovani, che con il tempo costituiscono un gruppo, chiamato "Oratorio". Filippo, tuttavia, non vuole regole: tutto deve essere improntato alla spontaneità e alla semplicità, perché ognuno si senta a suo agio, circondato di affetto e di amicizia, nello sforzo di essere più "buono" (diventerà celebre la frase: "State buoni, se potete"). Tra le iniziative dell'oratorio che hanno più successo c'è il pellegrinaggio ai sette sepolcri, che si svolge tutte le settimane per le basiliche dell'Urbe. A Roma Filippo Neri conosce diverse personalità importanti per la Chiesa: Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, ma soprattutto Carlo Borromeo, che lo invita a trasferire l'Oratorio a Milano e che, dopo il suo rifiuto, istituisce i "nostri" primi oratori. Dopo una lunga malattia e molte amarezze Filippo Neri muore nel 1595.

«Ciò che attirava innanzitutto verso Filippo era il senso ineluttabile della presenza in lui dello Spirito. Una scena in confessionale ce lo dipinge a meraviglia. Una donna gli ha visto celebrare la Messa. Poco tempo dopo, eccola confessarglisi. Vuole confidare un giudizio che considera temerario: "Padre..." ma si vergogna a continuare. Filippo allora le dice: "Sciocca, hai mormorato sul mio conto, non è vero? Che cosa hai detto?" E lei: "Padre, vi avevo visto alzarvi da terra mentre dicevate messa, e mi sono detta: ahimé, questo padre deve essere posseduto..." Filippo si mette allora a ridere e le dice: "E' vero, è vero" e, preso da un accesso di risa, ripete felice nell'ombra del confessionale: "Sono posseduto, sono posseduto!". Nessuno più di Filippo è parso abbandonarsi tanto spontaneamente ai sentimenti più caldi e più veri. Lacrime e riso si colorano in lui della verità profonda che vale agli occhi degli uomini semplici, tanto da apparire inestimabile.» [L.Bouyer, La musica di Dio, Jaca Book 1979]

SANTA TERESA DI LISIEUX
[segreteria]

Teresa Martin nacque ad Alençon, Francia, il 2 gennaio 1873 e morì a Lisieux il 30 settembre 1897. Fu l'ultima di nove figli, cinque dei quali si consacrarono alla vita religiosa. A 4 anni e mezzo perse la madre e la sorella Paolina ne assunse il ruolo, cosa che rese la seconda perdita ancora peggiore quando qualche anno più tardi Paolina entrò nel Carmelo: Teresa si ammalò gravemente e veniva data per spacciata, tanto che la sua improvvisa guarigione fu considerata miracolosa. Molto sensibile di carattere, Teresa scoppiava in lacrime ogni volta che aveva l'impressione di essere criticata o non apprezzata: dopodiché il rimorso per aver pianto era tanto intenso da condurla ancora a piangere. Ogni sforzo di contenere le sue emozioni era vano. Soltanto un faticoso cammino la portò a considerare i sentimenti degli altri prima dei propri. A soli 15 anni sollecitò il permesso di farsi religiosa: per dissuaderla il padre la portò in pellegrinaggio a Roma, fino dal papa! Alla fine tutte le resistenze caddero e Teresa entrò nel Carmelo di Lisieux alla eccezionale età di 15 anni. Le sue romantiche idee della vita nel convento si scontrarono con la realtà quando il padre fu ricoverato a causa di una malattia mentale e fu abbandonato da tutti i suoi amici, mentre a lei non fu permesso neppure di visitarlo. Di sé stessa scriveva: "Sento in me la vocazione del sacerdote. Ho la vocazione dell'apostolo. Il martirio è il sogno della mia giovinezza. Considerando il corpo mistico della Chiesa, desideravo vedermi in qualunque cosa. La carità mi diede la chiave della mia vocazione: ho capito che la Chiesa ha un cuore che brucia d'amore. Ho capito che l'amore abbraccia tutte le vocazioni, l'amore è tutto, in una parola: è eterno. La mia vocazione, alla fine, l'ho trovata. La mia vocazione è l'amore". Ancora novizia, le fu affidata la formazione delle altre novizie, ma nel 1896 si ammalò gravemente e morì l'anno successivo a soli 24 anni. Pur non essendo mai uscita dal suo monastero, fu proclamata patrona delle missioni per il suo grande amore per l'apostolato e per le preghiere e le lettere a sostegno della attività dei missionari. La sua "piccola via" alla santità ha profondamente segnato la spiritualità del nostro secolo, tanto che al termine della Giornata Mondiale della Gioventù tenutasi a Parigi nel 1997, il papa ha annunciato la proclamazione a dottore della Chiesa della "piccola Teresa", a cento anni dalla sua morte: è il più giovane dottore della storia della Chiesa.

«Ho sempre desiderato essere una santa, ma - ahimé - ho sempre accertato, quando mi sono paragonata ai santi, che tra essi e me c'è la stessa differenza che tra una montagna la cui vetta si perde nei cieli e il granello di sabbia oscura calpestato sotto i piedi dei passanti. Invece di scoraggiarmi, mi sono detta: il buon Dio non può ispirare desideri inattuabili, perciò posso, nonostante la mia piccolezza, aspirare alla santità. Diventare più grande mi è impossibile, devo sopportarmi tale quale sono con tutte le mie imperfezioni, nondimeno voglio cercare il mezzo di andare in cielo per una via ben dritta, molto breve, una piccola via tutta nuova.
Siamo in un secolo di invenzioni, non vale più la pena di salire gli scalini, nelle case dei ricchi un ascensore li sostituisce vantaggiosamente. Vorrei anch'io trovare un ascensore per salire la dura scala della perfezione. Allora ho cercato nei libri dei santi l'indicazione dell'ascensore, oggetto del mio desiderio, e ho letto queste parole: "Se qualcuno è piccolissimo, venga a me. Come una madre carezza il suo bimbo, io vi consolerò, vi poserò sul mio cuore e vi terrò sulle mie ginocchia". Mai parole più tenere, più armoniose hanno allietato l'anima mia: l'ascensore dìche deve innalzarmi fino al cielo sono le vostre braccia, Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, al contrario bisogna che resti piccola, che lo divenga sempre più».
[S.Teresa di Lisieux, Manoscritto autobiografico C]

SAN FRANCESCO D'ASSISI
[aula primo piano]

Francesco nasce ad Assisi nel 1182 da Pietro di Bernardone e Madonna Pica, una delle famiglie più agiate della città. Il padre commerciava in spezie e stoffe. La fanciullezza trascorse serenamente in famiglia e Francesco potè studiare il latino, il volgare, il provenzale e la musica; le sue note insieme alle sue poesie, furono sempre apprezzate nelle feste della città. Un giorno era intento nel fondaco paterno a riassettare la merce quando alla porta si presentò un mendicante che chiedeva elemosina in nome di Dio. Dapprima Francesco lo scacciò in malo modo, ma poi pentitosi lo seguì e raggiuntolo si intrattenne con lui, scusandosi ed elargendogli dei denari. All'età di vent'anni partecipò alla guerra tra Assisi e Perugia, e fu fatto prigioniero. Tornò a casa gravemente malato e solo le amorevoli cure della madre ed il tempo lo ristabilirono, ma la vita spensierata, che nel frattempo aveva riassunto, gli sembrò vuota. Ad Assisi davanti ad un lebbroso non fuggì come facevano tutti, ma gli si avvicinò e lo baciò. Gli amici lo schernivano e deridevano, il padre manifestava apertamente la sua delusione, solo la madre lo confortava. Francesco scelse il silenzio e la meditazione tra le campagne e le colline di Assisi, facendo spesso tappa nella Chiesetta di San Damiano dove il crocifisso gli parlò: "Va, ripara la mia casa che cade in rovina". Francesco vendette allora le stoffe della bottega paterna e portò i denari al sacerdote di San Damiano, ma l'ira del padre costrinse Francesco a nascondersi. La diatriba fu risolta solo con l'intervento del Vescovo di Assisi, davanti al quale Francesco rinunciò a tutti i beni paterni. Cominciò un periodo di spostamenti: di quel periodo è l'episodio del lupo di Gubbio, un animale che incuteva terrore e morte, ammansito dalle parole del santo. Nel 1219 Francesco partì per la Terrasanta al seguito della crociata e giunse in Egitto alla corte del saladino. L'anno seguente tornò ad Assisi dove i suoi ideali di povertà, di carità, di semplicità avevano fatto presa su molti. A Greccio istituì il primo Presepio; nel 1224 sul Monte della Verna ricevette le stimmate. Stanco, malato e quasi cieco, compose il Cantico delle Creature, opera di alta religiosità e lirismo. Morì al tramonto della giornata del 3 ottobre 1226.

«Altissimo glorioso Dio,
illumina le tenebre de lo core mio.
Et dame fede dricta, speranza certa e carità perfecta,
senno e cognoscemento, Signore,
che faccia lo tuo santo e verace comandamento.»
[S.Francesco, Davanti al Crocifisso]

SAN LUIGI GONZAGA
[saloncino sotto il bar]

Luigi Gonzaga, figlio del marchese Ferrante e di Donna Marta Tana di Sentena, nacque in una delle stanze del Castello di Castiglione delle Stiviere il 9 marzo 1568. In quella casa Luigi abitò da ragazzino, nei brevi periodi che si alternavano ai lunghi viaggi che il padre Ferrante lo costringeva a intraprendere per le corti italiane ed europee. Il marchese desiderava infatti educare così il suo erede alla vita di corte ed addestrarlo alle arti diplomatiche, nelle quali i Gonzaga eccellevano per tradizione. Mentre era alla corte di Spagna, ospite di Filippo II, nella mente del ragazzo prese forma l'idea di rinunciare al marchesato e di abbracciare la vita religiosa. Al ritorno, la comunicazione di questo intento scatenò un dramma di famiglia. Ferrante, conscio dell'intelligenza e della rettitudine del figlio, non voleva rinunciare a un successore che avrebbe dato sicuramente lustro al casato. Convinto che potesse trattarsi di un capriccio adolescenziale, si adoperò in ogni modo per dissuadere il figlio, ora con rimproveri, ora con ricatti, ora tentando di distrarlo con viaggi e piacevolezze della vita mondana. Non servì a nulla. La collera del marchese si quietò soltanto dopo che ebbe visto il figlio, che si era ritirato in preghiera nella dimora estiva del Convento di Santa Maria, in preda a una mortificazione tale che non lasciava dubbi sulla fermezza e l'autenticità della sua vocazione. A 18 anni, firmato l'atto di rinuncia al marchesato in favore del fratello Rodolfo, Luigi potè partire finalmente per Roma, per entrare, com'era suo desiderio, nella Compagnia di Gesù. Alcune delicate vicende familiari lo avrebbero portato saltuariamente a casa ( in aiuto della madre ormai vedova per risolvere questioni diplomatiche o per porre rimedio ad alcune imprudenze del fratello Rodolfo). La sua giovane vita si concluse a Roma. Nella città imperversava una terribile epidemia di peste, effetto di uno spropositato afflusso di persone afflitte dalla carestia. Nonostante l'invito da parte dei Padri Gesuiti ad astenersi, volle prestare soccorso ad un malato caricandoselo sulle spalle. Contagiato dalla malattia, Luigi morì tre mesi dopo. Era il 21 giugno 1591, aveva solo 21 anni. Nel giugno 1991, in occasione della celebrazione del IV centenario della morte di S. Luigi, il papa Giovanni Paolo II lo ha ricordato ai giovani lombardi con queste parole: "Una figura che provoca l'universo giovanile del nostro tempo, diviso tra l'intima tensione a dare un significato pieno alla vita e le mode superficiali".

BEATA GIANNA BERETTA MOLLA
[aula primo piano]

Gianna Beretta nasce a Magenta (Mi) nel 1922 da genitori retti, sapienti e timorati di Dio. Cresciuta in una famiglia numerosa, tante volte si interroga su quale sia per lei la volontà di Dio. Sarà un ritiro a darle la giusta direzione, che la porterà a scoprire il campo della sua santificazione: mamma di famiglia e medico. Animatrice di Azione Cattolica, nel 1949 consegue la laurea in Medicina e Chirurgia. Da allora vede nel contatto coi malati la sua missione, dove poter incontrare Gesù nel volto dei sofferenti. Sogna di andare in Brasile come missionaria laica presso l'ospedale del fratello sacerdote, ma Dio pone sul suo cammino, dopo insistente preghiera, Pietro Molla. Un fidanzamento incantevole per una ragazza amante della musica, esperta sciatrice, raffinata nei gusti, sprizzante di vita, radiosa, ricca di speranza per il futuro: il matrimonio su cui Dio riversa il Suo amore. Il matrimonio con Pietro Molla avviene nel 1955. Nascono i primi tre bambini. Nel 1961 si scopre di nuovo incinta, ma a fianco dell'utero cresce un grosso fibroma asportabile solo con un intervento chirurgico. Nel suo cuore di medico si scatena la lotta: la sua vita o la vita del bimbo con la morte sicura della madre? La scelta è per la vita del figlio: "Quello che ha fatto non l'ha fatto per andare in paradiso", sono le parole del marito, "l'ha fatto perché si sentiva una mamma". Difende, ama così la creatura che portava in grembo con gli stessi diritti degli altri figli, anche se è stata concepita da appena due mesi. Per la piccola creatura che sta nascendo in lei, dà la vita, anche se è persuasa di essere utilissima alla sua famiglia. Il Venerdì Santo del 1962, Gianna entra nell'ospedale di Monza per affrontare un intervento chirurgico che non può più essere ritardato e che rivelerà tutto il suo coraggio e la sua fede in Dio. Al marito prima del parto dice, con tono fermo e al tempo stesso sereno, con uno sguardo profondo: "Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete, e lo esigo, il bimbo: salvate lui!". Dopo il taglio cesareo, ecco una bella bimba. Sarà chiamata, per volontà del padre, Gianna Emanuela: Gianna in ricordo della madre ed Emanuela per ricordare la presenza di Dio tra di noi, anche nei momenti difficili della vita. Dopo qualche ora dal parto iniziano per la madre sofferenze inaudite, una lunga agonia, durante la quale per salvarla viene tentato di tutto. Gesù invocato e ricevuto tante volte, le dà la forza per l'ultimo dono di vita... Gianna si spegne mormorando: "Gesù, ti amo". E' il 28 aprile 1962.

BEATO PIERGIORGIO FRASSATI
[aula primo piano]

Piergiorgio Frassati nasce nel 1901 a Torino. Suo padre è il fondatore del quotidiano "La stampa", poi senatore e ambasciatore d'Italia a Berlino. La sua famiglia, laica e liberale, permette la sua formazione cattolica, sperando che il giovane non prenda troppo sul serio la fede. Ma Piergiorgio si innamora davvero di Cristo e gli dona tutta la vita: fin da giovane va tutti i giorni a Messa e, crescendo, trascorre lunghe ore, di giorno e di notte, davanti al tabernacolo. La sua preghiera prediletta è però il Rosario nei vari santuari del Piemonte. Studia con tenacia, perché vuole imparare a servire il prossimo con competenza e amore: vuole diventare ingegnere minerario per stare con i minatori, i lavoratori più in pericolo. Ama la montagna, dove porta spesso a divertirsi i suoi amici; ma non dimentica i più poveri, i bambini soli, gli sfruttati, i barboni e soprattutto i malati del Cottolengo. A Berlino, mentre all'ambasciata si balla, va nelle case di coloro che non hanno più nulla a portare denaro, cibo, medicinali, vestiti. Ma questo non gli basta: entra in politica insieme a don Sturzo e nel Terzo Ordine Domenicano, impegnandosi affinché Cristo non sia solo nelle chiese e nei cuori, ma nella scuola, nel lavoro, nella società, in tutte le cose. A 24 anni Piergiorgio sembra il giovane che ha tutto dalla vita, ma molto gli è tolto: il suo amore per una ragazza che i suoi genitori non accettano, il suo ideale di società libera e solidale distrutto dai fascisti, il suo progetto di lavoro nelle miniere perché il padre lo vuole con se a "La stampa". Nel 1925, colpito da poliomelite fulminante, va incontro al suo Dio dopo una lunga agonia.

«Tu mi domandi se sono allegro. E come potrei non esserlo? Finché la fede mi darà la forza, sempre allegro! Ogni cattolico non può che essere allegro; la tristezza deve essere bandita dagli animi cattolici: il dolore non è la tristezza, che è una malattia peggiore di ogni altra. Questa malattia è quasi sempre prodotta dall'ateismo; ma lo scopo per cui siamo stati creati ci addita la via, seppur seminata di molte spine, ma non una triste via: essa è allegra anche attraverso i dolori... La nostra vita per essere cristiana è una continua rinunzia, un continuo sacrificio, che però non è pesante quando si pensi cosa sono questi pochi anni passati nel dolore in confronto all'eredità felice, dove la gioia non avrà misura e fine, dove noi godremo di una pace inimmaginabile.» [P.G.Frassati, Diario]

PAOLO VI
[salone schermo gigante]

Giovanni Battista Montini nacque a Concesio (Bs) il 26 settembre 1897 e venne battezzato il 30 settembre dello stesso anno. La sua era una famiglia benestante: il padre, avvocato, era un giornalista impegnato nella promozione dell'azione sociale. Giovanni era un ragazzo intelligente ma fragile: persino dopo l'ingresso in seminario, dovette trascorrere a casa diversi periodi di tempo a causa della salute cagionevole. Dopo la sua ordinazione nel 1920, venne destinato a Roma per continuare gli studi all'università e quasi subito si trasferì all'accademia di diplomazia del Vaticano. Nel 1923 fu inviato alla nunziatura di Varsavia, ma gli effetti sulla sua salute del rigido inverno polacco lo costrinsero a fare ritorno a Roma, dove fu assegnato alla segreteria di stato (il ministero degli esteri della Santa Sede) e nel frattempo fu nominato cappellano della Federazione Universitari Cattolici Italiani (FUCI), a stretto contatto con i fondatori della Democrazia Cristiana. Diventato uno dei responsabili della segreteria di stato, fu incaricato, durante la guerra, della cura dei rifugiati politici. Rinunciò al cardinalato che gli era stato offerto e quando qualcuno gli fece notare che aveva così perso il tram che lo avrebbe portato in alto, rispose: "Può darsi, ma spero di aver preso la carriola che mi condurrà in paradiso". Nel 1954 divenne arcivescovo di Milano e subito si fece notare per gli sforzi profusi nel tentativo di rivitalizzare la diocesi attraverso l'annuncio del Vangelo, a partire dalle classi dei lavoratori: erano gli anni del "boom" economico. Creato cardinale nel 1958 da papa Giovanni XXIII, alla sua morte venne chiamato a succedergli con il nome di Paolo VI. Il suo primo impegno fu la continuazione e la conclusione del Vaticano II, il concilio che portò una nuova primavera nella Chiesa. Il suo rapporto con la stampa fu incredibilmente sofferto, forse anche a causa del paragone con il suo predecessore estroverso e gioviale: chi lo conosceva bene, però, lo descriveva come un uomo brillante, gentile e riservato, di profonda spiritualità e infinita cortesia. Fu il primo papa a visitare i cinque continenti, e la storia lo ricorderà per il discorso all'ONU del 1965 e per la coraggiosa enciclica sociale "Popolorum progressio" (1967). Gli ultimi anni del suo pontificato furono oscurati dalle controversie scatenatesi in seguito alla sua ultima enciclica, "Humanae vitae" (1968), sulla regolamentazione delle nascite. Paolo VI morì il 6 agosto 1978, festa della Trasfigurazione; secondo il suo desiderio, il suo corpo fu deposto "sulla nuda terra".

«Noi non rifiuteremo mai di essere fratelli,
amici, confortatori, educatori, servitori.
Saremo ricchi della povertà e poveri in mezzo alle ricchezze.
Saremo capaci di comprendere gli affanni e di trasformarli,
non nella collera e nella violenza,
ma nell'energia forte e pacifica di opere costruttive.
Avremo caro che il nostro servizio sia silenzioso e disinteressato,
sincero nella costanza, nell'amore e nel sacrificio,
fiduciosi che la tua venuta lo renderà, un giorno, efficace.
Avremo sempre davanti a noi lo Spirito della tua Chiesa,
una santa cattolica, pellegrinante verso l'eterna meta
e porteremo scolpita nella memoria e nel cuore
la nostra divisa apostolica: siamo gli ambasciatori di Cristo.»
[Paolo VI]

MADELEINE DELBRÊL

Madeleine Delbrêl nasce il 24 ottobre 1904 a Mussidan e cresce qua e là per la Francia, seguendo il padre che lavora nelle ferrovie. Nel 1916 la sua famiglia si stabilisce definitivamente a Parigi: lì Madeleine segue gli studi in modo molto anticonformista, poiché i genitori ne vogliono fare un'artista. La giovane mostra un'intelligenza precoce, priva di ogni inclinazione sentimentale o romantica, elegante nel suo realismo poetico, incisiva nel mettere a nudo l'assurdità della vita. Così proclama il suo lucido ateismo da adolescente: "Dio è morto, viva la morte". Frequenta alla Sorbona i corsi di filosofia e a 19 anni si innamora di un giovane credente, Jean Maydieu, con cui forma una bella coppia, ma che improvvisamente la lascia per diventare domenicano. Nel frattempo il padre di Madeleine perde progressivamente la vista. La sofferenza provocata da queste vicende conduce la giovane a una profonda crisi, ma Madeleine non va in cerca di consolazione. Al contrario, continua a ragionare, e fare i conti con questi fatti scandalosi. Lo schietto rigore, che sempre accompagna la sua diffidenza nei confronti dell'idealismo, la porta a non poter più negare con piena evidenza l'esistenza di Dio. Che fare allora? Decide di pregare: "Fin dalla prima volta decisi di pregare in ginocchio per paura dell'idealismo. Dopo, leggendo e riflettendo, ho trovato Dio; ma pregando ho creduto che Dio mi trovasse e che egli è la verità vivente, e che si può amarlo come si ama una persona". E' il 1924, l'anno della sua conversione. Vorrebbe entrare nel Carmelo, ma non può abbandonare il padre malato. Continua così la sua vita normale, coltivando le sue passioni di un tempo: la poesia (una sua raccolta le frutta un premio letterario) e la danza. Frequenta la sua parrocchia, dove è accompagnata spiritualmente da un prete eccezionale, l'abbè Lorenzo. Prega molto: durante un ritiro, insieme ad altre compagne, confida all'abbè Lorenzo il desiderio di costituire un piccolo gruppo, nel quale ciascuna si sarebbe guadagnata da vivere mescolandosi alla vita quotidiana delle persone. Nel 1933 una piccola comunità si installa a Ivry, nella periferia proletaria di Parigi, dove viene in contatto con la miseria e l'ingiustizia che attanagliano il quartiere operaio e deve aprirsi alle differenze e imparare il linguaggio dell'altro: il comunismo. Madeleine non cerca di convertire ne lancia anatemi: piuttosto collabora con i comunisti e cerca di guadagnare la loro confidenza con l'impegno come assistente sociale. L'ambiente ateo diventa per lei l'occasione di una continua conversione e di un radicamento sempre più profondo nel Vangelo. Nel 1957 pubblica le sue riflessioni in un libro che lascia il segno nella cristianità francese che si sta interrogando sulla esperienza dei preti-operai: "Città marxista, terra di missione". Madeleine vive in pieno il travaglio della Chiesa nel mondo contemporaneo, il difficile parto di un nuovo stile di vita cristiana nel cuore della modernità: in questo contesto appare come una magistrale interprete dell'esigenza di essere nella storia un prolungamento di Cristo, e insieme di inventare da capo la forma di questa presenza. Qui sta, per Madeleine, l'"insolito" cristiano. Tra sofferenza e solitudine, Madeleine vede crescere le divisioni attorno a lei, la sfiducia per il lavoro che sta compiendo, ma inaspettatamente trova anche chi la sostiene e la incoraggia a proseguire (tra questi il card. Montini): viene invitata anche a presentare la sua esperienza in Polonia e in Africa. Gioisce quando, con Giovanni XXIII e il Concilio, finalmente riesce a scorgere una nuova primavera per la Chiesa, per cui non ha risparmiato salute ed energie, che alla fine la abbandonano: il 13 ottobre 1964 termina così la sua avventura terrena.

«Poiché le parole non sono fatte per rimanere inerti nei nostri libri,
ma per prenderci e correre il mondo in noi,
lascia, o Signore, che di quella lezione di felicità,
di quel fuoco di gioia che accendesti un giorno sul monte,
alcune scintille ci tocchino, ci mordano, c'investano, ci invadano.
Fa' che da essi penetrati come "faville nelle stoppie"
noi corriamo le strade di città accompagnando l'onda delle folle
contagiosi di beatitudine, contagiosi di gioia.
Perché ne abbiamo veramente abbastanza
di tutti i banditori di cattive notizie, di tristi notizie:
essi fan talmente rumore che la tua parola non risuona più.
Fa' esplodere nel loro frastuono il nostro silenzio che palpita del tuo messaggio.»

[M.Delbrel, La gioia di credere, Gribaudi 1994]

DON LUIGI SERENTHA'

Don Luigi Serenthà nacque a Monza il 9 agosto 1938 da una famiglia di medie condizioni economiche per l'epoca: il padre svolgeva in proprio l'attività di meccanico. Da lui, cooperatore dell'oratorio, e dalla madre, presidente delle donne di Azione Cattolica, Luigi con i fratelli apprese a frequentare la chiesa e l'oratorio; fu un chierichetto serio e di buon carattere. Non meraviglia quindi che in lui sbocciasse l'aspirazione al sacerdozio. Nel 1949 entrò in seminario e venne ordinato prete nel 1962 dal card. Montini. Il suo primo incarico fu il perfezionamento dello studio della teologia a Roma; in seguito accompagnò i preti novelli nella attività pastorale, invitandoli a lasciarsi coinvolgere da ogni grande questione umana e a non sottrarsi al confronto con le questioni difficili. Insegnava nel frattempo filosofia e teologia nel seminario e nella Facoltà Teologica di Milano. Amico e stretto collaboratore del card. Martini, dal 1981 gli vennero assegnati compiti sempre più delicati nella cura delle vocazioni sacerdotali, finché nel 1983 fu nominato rettore maggiore del seminario. Don Luigi, esuberante e dinamico di natura, mostrò sempre una straordinaria apertura del cuore, nel dialogo sempre perseguito con chiunque lo incontrasse. Ogni sera, terminati i suoi impegni ufficiali, amava svolgere attività culturali, catechetiche, ricreative, rivolte alle famiglie e in particolare ai giovani. Un particolare legame lo univa all'opera de "La nostra famiglia", ai ragazzi handicappati e alla spiritualità del suo fondatore, don Luigi Monza. Nel novembre del 1985 fu invitato dai giovani di Azione Cattolica a tenere un convegno dal titolo "Danzare la vita" nel quale emerse tutta la sua profonda umanità e la sua vivacità. All'inizio del 1986 gli venne diagnosticato un tumore: morì a Milano il 28 settembre 1986.

«Dove danzare? Quando danzare? Si può danzare in ogni luogo? Si può danzare in ogni tempo? Oppure la danza della croce di Cristo, sintesi etica di tutta la vita dell'uomo, non può essere danzata là dove c'è inerzia, dove c'è incomprensione, dove c'è mancanza di libertà, dove c'è morte?
La contemplazione della croce di Cristo ci dice che la danza può dovunque essere fatta, perché la contemplazione della croce di Cristo ci mette davanti a una forza d'amore e quindi di vita e di gioia che non si spaventa davanti ai più clamorosi ostacoli, ma addirittura trasforma l'ostacolo in un motivo di musica più intensa, di danza più grande, più vivace, addirittura di danza contagiosa. La croce di Cristo rappresenta una forma di amore che non ha trovato nell'odio, nel peccato, nella morte dell'uomo un motivo per dire: "Ecco non ci sto più al gioco, non danzo più", ma paradossalmente ha trovato in tutto ciò un motivo per amarlo con maggiore intensità. La suprema danza Cristo l'ha vissuta inchiodato alla croce, quando le sue mani non potevano muoversi più, quando i suoi piedi erano paralizzati. Egli ha danzato col proprio perdono.»
[Luigi Serenthà, Danzare la vita, In dialogo 1987]

CHARLIE BROWN

Charlie Brown, con la schiera dei piccoli personaggi del mondo dei "Peanuts", è troppo famoso per aver bisogno di presentazione. Veramente troppo famoso. Perché ormai è diventato, per l'immediata presa sul pubblico, un materiale buono da sfruttare per ogni scopo: primo fra tutti quello economico. Ma il vero Charlie Brown non ha bisogno della popolarità, ma di un'amicizia vera, lui che, nonostante i suoi difetti, crede nei valori. Scriveva Schulz, il disegnatore dei Peanuts: "...se tu non dici nulla in un fumetto, avresti fatto bene a non disegnarlo affatto. L'umorismo che non dice niente è un umorismo senza valore. Così io sostengo che un autore di fumetti deve avere la possibilità di compiere la propria predicazione". E il messaggio che Schulz lascia intravedere, in maniera lieve e allusiva ma inequivocabile per chi ha "occhi per vedere", è il messaggio di gioia del Vangelo. Suonerà forse strano a molti che conoscono i suoi fumetti: eppure egli ha più volte espresso apertamente non solo la sua fede, ma anche la convinzione che il cristiano deve manifestare ciò in cui crede con tutta la propria vita e la propria opera: nel caso di Schulz i fumetti, appunto... Il mondo dei Peanuts affonda così in una visione di fede: una fede che da un lato sottolinea con forza la miseria dell'uomo e la sfiducia nella società, dall'altro annuncia con altrettanta gioia la certezza che l'uomo non è solo, lasciando scorgere l'amore e la misericordia infinita di quel Qualcuno che solo può sollevare l'uomo dalla sua condizione. "Ma sta' allegro, Charlie Brown! Poiché, dopo tutto quello che si dice o si fa, c'è qualcuno che vuole bene - e questo qualcuno è soltanto un rappresentante umile, molto umile, a misura di nocciolina (peanut), di Qualcuno molto più grande di lui".

 

 

Non affannatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai, eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? Non affannatevi dunque dicendo: che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.
[Mt. 6, 25-26. 31-33]

 

 

 

 

Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno.
Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?
Io sono persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.
[Rm 8, 28. 31-32. 38]

 

 

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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