Un momento di sosta, per favore, non a mo' di rito, come si usa a sottolineare
il rimpianto per personaggi celebri. La convenzionalità a
lei non s'addice, cosi come fanno forte stridore tutti i termini che sappiano
di enfasi.
L'avevo incontrata appena qualche mese fa, presso una delle sue case
alla periferia di Roma: da allora non mi restano che parole povere.
Sapeva del mio arrivo e avrebbe voluto, anche se affaticata, spostarsi
per raggiungermi presso la stanza d'accoglienza, a costo d'attraversare
il cortile piuttosto vasto. Preferii portarmi io presso di lei.
E così la trovai in una stanza da lavoro, con accanto una suora
affaccendata: una stanza del tutto simile a quella dei contadini della
mia infanzia; degli anni Venti-Trenta: nitida e disadorna che più
non si può. Tutto qui? Mi venne da chiedermi. Tutto
qui... la donna venerata per quanto è vasto il mondo, lei, il Premio
Nobel per la Pace, la vera donna simbolo nel cui nome una generazione riconosce
il meglio di sé! E ne parlan tutti, credenti e non credenti,
con un senso di genuino orgoglio, quasi a pareggiare i conti in così
grave disavanzo, fors'anche per coprire le terribili vergogne del nostro
tempo.
Sedemmo presso l'uscio, proprio come s'usava in campagna: e lei a tenermi
la mano con la semplicità dei contadini che usavano esprimere così
la gioia dell'accoglienza, mentre con lo sguardo pareva volesse trasmettermi
un poco di quel che lei vorrebbe comunicare alla Chiesa. Sembrava
ci fossimo conosciuti da sempre: nessun discorso particolarmente sublime,
in compenso una nitida serenità nel volto, anche se poco prima il
suo cuore s'era permesso di "fare le bizze".
Per il resto, i suoi pensieri erano tutti per la moltitudine dei poveri,
in particolare per famiglie dissestate e per le trasmigrazioni di massa
da continente a continente. Di qui l'urgenza di risvegliare le coscienze
per destarvi un'ondata di carità.
Naturalmente non poteva mancare un cenno alle molte sue "case sparse
nei continenti", alle tante "vocazioni" accorse in suo aiuto e, infine,
al molto che le restava da fare: motivi tutti "per benedire il Signore".
Disse proprio cosi, con tanto gusto nella voce, ma senza avverbi accrescitivi,
come si trattasse delle cose più naturali del mondo.
Pensai a santa Teresa d'Avila, una delle donne più straordinarie
dei secoli scorsi, alta nella contemplazione e altrettanto fremente nell'azione,
cosi come quest'altra Teresa, che mi sedeva accanto dinanzi all'uscio di
casa, mi si presentava minutissima nel corpo e scarna di parole eppure
cosi vasta d'anima da investire, anzi da contenere entro il suo fervore
i continenti.
Una spiegazione? Una personalità come questa appartiene realmente
all'intera nostra generazione. E poiché il fenomeno si sta verificando
in questo nostro secolo dell'effervescenza fascinosa e della razionalizzazione
efficientistica, il chiedersene una qualche ragione è più
che legittimo, specie se si fa la pur minima attenzione agli incredibili
contrasti con la condizione di questo nostro secolo, in particolare i degradi
e le aberrazioni che l'hanno umiliato. Forse mai era accaduto che
una singola persona segnasse l'intero continente di tanta carità.
Detto meglio: n o forse è mai riuscito a dare alle forme esterne
della carità, il fascino della sublimità.
E' questo l'enigma che col finire dei secolo resterà in eredità
alla generazione prossima. Dicendo "enigma" non penso ai segreti
del mondo intimo di lei. L'enigma sta altrove: è in questa estrema
efficienza, per non dire in questa nuova legge causale che incide sulla
coscienza di un secolo scettico.
I credenti una spiegazione l'hanno subito pronta: la potenza della
Grazia di Dio. Ma udita sulle nostre bocche può sembrare una
formula, un algoritmo.
E forse siamo i meno adatti, come pensava Chesterton, uno dei più
grandi pensatori inglesi di questo secolo: «per apprezzare i valori
della Chiesa Cattolica, bisogna esserne stati fuori». Pensava
- e non senza ragione - che a furia di viverci dentro accade di perdere
la capacità di stupore.
Io attendo anche, e soprattutto, altre voci, che poi, dinanzi a figure
come questa, non sono più «altre», visto che a tutti
essa appartiene e in lei può crearsi una sintonia superiore, stavo
per dire un imparentamento, che purificandoci tutti ci unifica nelle profondità.
Che poi il tutto avvenga attorno e a motivo di una donna, anche questo
è pure un indizio singolare da registrare sul conto di questo secolo,
un segno anch'esso, forse unico, anche per un particolare che non è
da poco: la forza di questa donna è stata nella carità più
pura e più casta, che è poi il cuore del cristianesimo e
insieme tutto il suo fascino: non per niente sant'Agostino parla della
"madre carità".
E poiché penso che a, vibrare attorno a questa donna e a motivo
della "madre carità" saranno una moltitudine, perché dunque
non vibrare noi pure al pensiero che, poiché la carità di
quella donna è acqua tersa della chiarissima Fonte Prima, perciò
stesso un qualcosa che li fa anch'essi intimi di casa: "nemo foras nisi
vera foras", come per dire che nessuno ha da dirsi "estraneo", se non è
del tutto fuori. Sicché dinanzi a questa figura possiamo tutti
vivere, pur nel contesto di tante tristezze, un momento di riconciliazione
con noi stessi e con la nostra specie. Non per niente è una
donna che l'amore cristiano ha fatto madre non solo umana, ma dell'umanità.
Il pensiero torna alla domanda di una spiegazione. Sarà
proprio questo un tema urgente di riflessione per la comunità cristiana,
visto che in questa creatura si è ripresentato sotto i nostri occhi
un esemplare vivido del mistero cristiano, che è poi tutto qui:
nella presenza della sublimità nascosta dentro la povertà.
Nel frattempo m'è tanto caro richiamarmi a Bergson all'opera
"Le due fonti della morale e della religione", il suo capolavoro: «perché
i santi hanno così degli imitatori e perché i grandi propagatori
di bene hanno trascinato dietro di sé folle? Essi nulla domandano,
e tuttavia ottengono. Non hanno bisogno di esortare; non hanno che
da esistere; la loro esistenza è un richiamo»."