Strana tesi di Jiang Zemin:
      I Cinesi sono uomini meno.
      di Maurizio Blondet
      da Avvenire
      30 ottobre 1997

      I1 Gulag cinese conta, secondo il dissidente Harry Wu, almeno mille lager. Con otto milioni di internati: studenti, oppositori politici, e persone colpevoli di professare una religione, mescolati ai detenuti comuni. Le decorazioni "made in China" che mettiamo sui nostri alberi di Natale sono fabbricate senza salario dagli schiavi di quel Gulag. Fortunati tuttavia, se sono vivi: il regime esegue ogni anno migliaia di esecuzioni capitali. I corpi dei condannati sono poi smembrati per ricavarne organi da trapianto.

      La mano che sfrutta così la vita e la carne umana, come un "materiale di risulta " da cui estrarre un valore economico, è quella che il presidente Clinton ha stretto poche ore fa: la mano di Jiang Zemin, il capo della Cina, per la prima volta in visita a Washington.

      Ovviamente, Jiang non vuole si parli di ciò che la sua mano fa nel suo Paese. Vuol che si parli di buoni affari reciproci, non di diritti umani. "Sono convinto " - ha detto in un'intervista lasciata ad un giornale americano in preparazione al suo viaggio - "che la teoria della relatività di Einstein si applica anche alla politica. Democrazia e diritti umani sono concetti relativi e non assoluti e generali". Ma che bravo allievo dell'Occidente è Jiang! Com'è lesto a ripetere la lezione del relativismo etico che è la vera ideologia di quello che si chiamava "mondo libero", ed oggi "libero mercato"! E restando fedele a se stesso: da marxista, lui ha sempre saputo che l'uomo non ha una "natura " immutabile e spirituale da rispettare, ma è un materiale plasmato dalle "forze economiche".

      Zemin dice senza vergogna che i due miliardi di uomini che sono sotto la sua mano, sono meno uomini, che hanno meno bisogno di diritti, perché sa che questo è il punto d'accordo con suoi interlocutori veri. Non a caso, a premere su Clinton perché promuova la Cina a partner degli Usa sorvolando sulle atrocità del regime è il machiavellico Henry Kissinger, oggi influentissimo lobbista delle massime multinazionali euro-americane.

      E' sul terreno del "tutto è relativo " che i poteri finanziari sono pronti all'alleanza con i maoisti di ieri, che oggi si propongono come i soli capaci a fare della Cina quel che il capitalismo vuole: uno stabile, grande "mercato". Come aveva previsto Del Noce: la perdita della speranza "religiosa" nel marxismo, della sua sete di uguaglianza e di giustizia (la sua peculiare secolarizzazione) fa dei marxisti maggiordomi migliori al servizio del capitalismo globale, perché privi di scrupoli. In questo senso, è indicativo che il crollo delle Borse asiatiche sia commentato con soddisfazione dai giornali dell'establishment economico-finanziario. "L'Asia imparerà la lezione?", gongola su Business Week Rudi Dornbusch, l'economista del Mit che fu consigliere di Clinton nella transizione alla Casa Bianca. E si rallegra che la recessione che colpirà quei Paesi nei prossimi anni, sottrarrà ai governi locali il consenso che hanno guadagnato col boom. Da Taiwan all'Indonesia, dalla Malaysia alla Tailandia, sono tutti governi in varia misura autoritari, però nessuno di loro ha l'orribile dossier di crimini contro l'uomo che pesa su Pechino. Infatti Dornbusch si augura che questi regimi cadano, non perché poco democratici, ma perché protezionisti. "Quei governi godono dell'accesso alla finanza complessivo, ma quando i tempi si fanno duri ritornano al dirigismo ", dice. "Hanno cercato di rigettare il ruolo dominante che il capitale internazionale ha sulle economie emergenti". Peggio: con il sostegno del Giappone, han provato a "creare una zona di sicurezza dove il capitale internazionale non ha il voto di maggioranza ".

      Frase ammirevole quanto quella di Jiang Zemin: anche per Dornbusch il "voto " che deve contare in Asia non è quello dei popoli, ma quello degli interessi speculativi. Quanto a Pechino, la sua sola colpa è di mantenere "inefficienti industrie statali" che il mercato vuol chiuse. Tutto il resto, anche per Dornbusch, è relativo.

      Maurizio Blondet
       
       
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