Da Avvenire del 13 settembre 1997
Domenico Del Rio
Teresa dei poveri
Ciao sorella
Oggi tutto il mondo si inchina
«Laudato si', mi Signore, per
sora nostra morte corporale».
La morte è una sorella. La morte conduce nel regno di
Dio. La morte, come dice un detto ebraico, fa «scivolare in Dio».
Madre Teresa ora è scivolata in Dio. Per questo, noi non siamo tristi.
San Francesco, morente, mandò un frate al convento delle suore a
San Damiano: «Dirai a nostra sorella Chiara che le proibisco di lasciarsi
andare alla tristezza.».
Per questo, oggi, noi non cantiamo Requiem per Madre Teresa di Calcutta.
Vogliamo cantare Magnificat, perché sulla terra abbiamo visto le
meraviglie di Dio apparse in una donna. Abbiamo visto una donna inebriata
di Dio, una donna che ha voluto dare felicità a Dio.
«Vorrei che tu, Dio, fossi felice»: è l'inaudita
preghiera nata da da un'anima mistica.
Come si fa a desiderare che Dio sia felice, se egli è la felicità
suprema, se è lui che, alla fine donerà la grande perpetua
felicità?
Eppure, questa donna ha visto che Dio è infelice, che Cristo
è infelice quando l'uomo è infelice, quando il dolore, la
guerra, l'odio, la tortura scavano solchi dentro la carne e dentro lo spirito
di un uomo. Inebriata di Dio, questa donna ha visto l'immedesimazione
di Dio, con il dolore dell'uomo, ha visto Gesù ricrocifísso
continuamente nelle ferite del povero, nelle piaghe dell'ammalato, nel
pianto del derelitto, nelle grandi tristezze della terra. Madre Teresa
ha visto questa infelicità di Dio.
E allora ha voluto che Dio fosse felice. Perché è
possibile rendere felice Dio, quando si scorge il suo volto in una creatura
e se ne ha premura; quando si sente il suo tocco nella carne e nello
spirito, e se ne ha trepidazione. Noi lo sappiamo, noi abbiamo constatato
che essa ha fatto questo. Noi, uomini miseri, noi anime di peccato,
noi diamo testimonianza a Dio e al mondo che essa ha fatto questo.
E noi non cantiamo Requiem oggi. Noi cantiamo Magnificat. Noi sappiamo
che essa è «scivolata» in Dio, ma che ancora la vediamo
da qui. Noi non diciamo addio a Madre Teresa. Non abbiamo detto
addio a san Francesco, non abbiamo detto addio a Papa Giovanni...
Non le diciamo addio, perché non stiamo a guardarla, a contemplare
quel suo volto rugoso, lassù nel cielo di Dio. Noi quasi in
attesa… Perché anche a noi, creature segnate dalla debolezza del
peccato, con la povertà delle nostre anime, è dato aspirare
al cielo.
In fondo, con la fede in Cristo tutti siamo creature che dalla terra
stanno a guardare al cielo. Siamo un po' come gli apostoli e i discepoli
del Signore che stavano incantati con gli occhi in alto, il giorno dell'Ascensione
di Gesù, sul colle fuori Gerusalemme: «Uomini di Galilea,
perché state a guardare al cielo?».
Guardiamo al cielo, perché là è la nostra casa
futura, l'immensa casa che, già colma prima dei secoli della carità
di Dio e di voli di angeli, ha cominciato nel tempo anche a riempirsi di
antichi patriarchi, di martiri e di dottori, di vergini e di spose, di
papi e di vescovi, di bambini e di poveri, ma anche di peccatori e di peccatrici
tirati su dalla grande misericordia di Dio. Lì è arrivato
san Francesco, li è arrivato Papa Giovanni, lì è arrivata
Madre Teresa. Ma lì è arrivata anche mia madre, è
arrivato mio padre, lì sono arrivati tanti amici che, piano piano,
uno a uno, se ne sono andati da questa nostra casa terrena per trasferirsi
in quella di lassù.
E, tuttavia, nella mia debolezza di creatura terrena, forse non ho
questo acuto desiderio di trasferirmi in cielo. Sono uno che ha bisogno
di essere lavato dal perdono di Dio, perché nel mio cammino consueto
di tutti i giorni, continuo di più a guardare la terra. Ma
è proprio dalla misericordia del mio Signore che mi viene questo
sentire per cui, quando passerà «Sorella morte», anch'io,
anche noi, come Madre Teresa, finiremo felicemente per «scivolare
in Dio».
Domenico Dei Rio
In memoria
di madre Teresa
Altri
articoli di Avvenire
© 13.09.97 don Ilario
Rolle e Francesco Appendino