
Ma Zhu Rongji, che pure detesta essere chiamato il «Gorbaciov
cinese», non può non sapere almeno tre cose: il problema di
una (almeno parziale) democratizzazione del sistema cinese è inevitabile;
andrà affrontato in tempi relativamente brevi.; sono proprio le
sue riforme, gli obiettivi che Zhu indica al Paese, a renderlo inevitabile.
La straordinaria trasformazione della Cina si è retta sul tipico
patto sociale di stampo comunista «daremo a tutti una ciotola di
riso ma non disturbate il manovratore»; patto che giusto un decennio
fa Deng Xiaoping aggiornò in «continuate a non disturbare
e vi lasceremo andare a caccia di un'altra ciotola». Il garante
di questo patto non era tanto il partito comunista ma piuttosto l'esercito,
diffuso in tutto lo sfortunato Paese, coccolato (tra il 1988 e il 1996
il suo bilancio crebbe fino ad assorbire il 20 per cento del Prodotto
interno lordo) e portato a più di 3 milioni di soldati. L'esercito,
come già nell'Unione Sovietica, non era solo un controllore della
società (per questo era usata anche la pena di morte: negli stessi
anni passarono da 21 a 26 i reati per cui era prevista) ma anche un redistributore
del reddito, con le industrie cresciutele accanto. Le aziende militari
cinesi producono il 10 per cento dei medicinali, il 60 delle motociclette,
il 10 delle automobili. E poi formaggio, gelati, mobili, abiti.
Tutto questo, però, è diventato troppo costoso e poco
redditizio, in un Paese in cui il settore pubblico assorbe i quattro quinti
degli investimenti. Zhu Rongii vuole tagliare, ridurre le spese e
rendere più agile il sistema. Si è dato parametri feroci:
tenere alta la crescita (8 per cento sull'anno) e bassa l'inflazione (3
per cento). Altri glieli impone la situazione: non svalutare la moneta
per non danneggiare i Paesi vicini è un obbligo, non una scelta,
visto che la Cina riceve i due terzi degli investimenti esteri da quei
50 milioni di cinesi che controllano il 90 per cento dell’economia dell'lndonesia,
il 75 per cento di quella della Thailandia, il 60 per cento di quella della
Malesia, per non parlare di Taiwan e Singapore.
Nel frattempo la Cina è cambiata: l'industrializzazione ha fatto
nascere 20O nuove città; 100 milioni di contadini si sono inurbati
in cerca di fortuna; nell'ultimo decennio, il Paese ha perso mezzo milione
di ettari di terreno agricolo, quanto basterebbe per nutrire 10 milioni
di persone. Aumentano dunque le importazioni e cresce il debito estero,
arrivato a fine 1997 a 131 miliardi di dollari. L'inurbamento forzato
fa deperire la salute dei cinesi e le spese mediche dello Stato, che nel
1994 erano pari a 8.800 miliardi di lire, nel Duemila toccheranno quota
25 mila miliardi. A partire da maggio saranno aboliti i prezzi politici
per le abitazioni, ma il 66 per cento della popolazione urbana vive -praticamente
gratis - in case dello Stato.
Insomma: Zhu Rongji vuole fare il chirurgo su un corpo febbricitante
a cui sta togliendo la brutale anestesia dell'esercito. Se vuole che il
paziente accetti la cura (e Zhu non promette rose e fiori: fonti governative
stimano che nel 2010 il reddito pro capite in Cina sarà di 730 dollari,
30 dollari più di quanto lo è, secondo la Banca mondiale,
nei Paesi poveri) non potrà obbligarlo, dovrà spiegarsi,
convincerlo, coinvolgerlo. Questo vuoi dire democrazia, più democrazia
nel sistema. Cosa che, nella solita maniera silente degli orientali,
forse sta già avvenendo: la politica dei figlio unico non è
più dogma, tra il 1990 e oggi sono nate 2 mila associazioni non
statali di cittadini, nella sola provincia di Guandong operano almeno mille
gruppi autonomi di lavoratori, che in teoria sarebbero vietati dalla legge.
E’ difficile che Zhu Rongji smetta a 70 anni di essere un tecnocrate comunista
cinese. E possibile, però, che continui anche ad essere Colpo
di Timbro.