L'Abbaglio di una democrazia
      senza diritti umani.
      di Fulvio Scaglione
      da Avvenire
      14 Aprile 1998
      Le battute di Tony Blair e il tè di Elisabetta II, la grinta trattenuta di Jacques Chirac e lo stile più ruspante di Lionel Jospin, i sorrisi e i complimenti di Kohl, Prodi, Santer.  Non si può certo dire che i grandi Palazzi della politica europea si siano negati alla prima uscita internazionale di Zhu Rongji, primo ministro e astro nascente della nuova Cina.  Che ha visibilmente apprezzato, ha fatto la tappa di rigore alla City e alla Borsa e ha colmato l'agenda con i nomi più o meno illustri dei suoi prossimi ospiti: da Massimo D’Alema, in Cina proprio in questi giorni, allo stesso Jospin via via fino a Bill Clinton, atteso a Pechino in giugno.
      Successo pieno, dunque, per il giovane (criteri da Città proibita: ha ormai 70 anni) Zhu Ronpji, l'ingegnere esiliato in campagna negli anni Cinquanta perché «deviazionista di destra», sopravvissuto al Grande Balzo in Avanti e alla Rivoluzione Culturale allevando maiali, riabilitato alla fine degli anni Settanta e nel 1987 nominato sindaco di Shangai.  Colpo di Timbro l'avevano soprannominato allora gli imprenditori occidentali, per la rapidità con cui faceva avanzare pratiche di solito faticose; l'Uomo che Privatizza la Cina l'ha ribattezzato adesso, con evidente entusiasmo, il quotidiano francese più di sinistra.
      Appena eletto primo ministro, un mese fa, Colpo di Timbro spiegò con ferrea cortesia asiatica che la democrazia non è cosa adatta alla Cina e che la repressione di piazza Tienanmen. nel 1989 (in cui lui, che era a Shangai, non era stato coinvolto) era stata una «decisione corretta».  Gli altri Paesi hanno preso atto e girato le spalle.  Forse abbagliati dalle opportunità offerte dal mercato cinese (un miliardo e 200 milioni di potenziali consumatori), forse preoccupati di non sciupare le caute ma inedite aperture del nuovo regime: ispettori Onu ammessi nelle carceri del Tibèt, l'accordo tra l'università di Pechino e quelle americane della Compagnia di Gesù...

      Ma Zhu Rongji, che pure detesta essere chiamato il «Gorbaciov cinese», non può non sapere almeno tre cose: il problema di una (almeno parziale) democratizzazione del sistema cinese è inevitabile; andrà affrontato in tempi relativamente brevi.; sono proprio le sue riforme, gli obiettivi che Zhu indica al Paese, a renderlo inevitabile.  La straordinaria trasformazione della Cina si è retta sul tipico patto sociale di stampo comunista «daremo a tutti una ciotola di riso ma non disturbate il manovratore»; patto che giusto un decennio fa Deng Xiaoping aggiornò in «continuate a non disturbare e vi lasceremo andare a caccia di un'altra ciotola».  Il garante di questo patto non era tanto il partito comunista ma piuttosto l'esercito, diffuso in tutto lo sfortunato Paese, coccolato (tra il 1988 e il 1996 il suo bilancio crebbe fino  ad assorbire il 20 per cento del Prodotto interno lordo) e portato a più di 3 milioni di soldati.  L'esercito, come già nell'Unione Sovietica, non era solo un controllore della società (per questo era usata anche la pena di morte: negli stessi anni passarono da 21 a 26 i reati per cui era prevista) ma anche un redistributore del reddito, con le industrie cresciutele accanto.  Le aziende militari cinesi producono il 10 per cento dei medicinali, il 60 delle motociclette, il 10 delle automobili.  E poi formaggio, gelati, mobili, abiti.
      Tutto questo, però, è diventato troppo costoso e poco redditizio, in un Paese in cui il settore pubblico assorbe i quattro quinti  degli investimenti.  Zhu Rongii vuole tagliare, ridurre le spese e rendere più agile il sistema.  Si è dato parametri feroci: tenere alta la crescita (8 per cento sull'anno) e bassa l'inflazione (3 per cento).  Altri glieli impone la situazione: non svalutare la moneta per non danneggiare i Paesi vicini è un obbligo, non una scelta, visto che la Cina riceve i due terzi degli investimenti esteri da quei 50 milioni di cinesi che controllano il 90 per cento dell’economia dell'lndonesia, il 75 per cento di quella della Thailandia, il 60 per cento di quella della Malesia, per non parlare di Taiwan e Singapore.
       

      Nel frattempo la Cina è cambiata: l'industrializzazione ha fatto nascere 20O nuove città; 100 milioni di contadini si sono inurbati in cerca di fortuna; nell'ultimo decennio, il Paese ha perso mezzo milione di ettari di terreno agricolo, quanto basterebbe per nutrire 10 milioni di persone.  Aumentano dunque le importazioni e cresce il debito estero, arrivato a fine 1997 a 131 miliardi di dollari.  L'inurbamento forzato fa deperire la salute dei cinesi e le spese mediche dello Stato, che nel 1994 erano pari a 8.800 miliardi di lire, nel Duemila toccheranno quota 25 mila miliardi.  A partire da maggio saranno aboliti i prezzi politici per le abitazioni, ma il 66 per cento della popolazione urbana vive -praticamente gratis - in case dello Stato.
      Insomma: Zhu Rongji vuole fare il chirurgo su un corpo febbricitante a cui sta togliendo la brutale anestesia dell'esercito. Se vuole che il paziente accetti la cura (e Zhu non promette rose e fiori: fonti governative stimano che nel 2010 il reddito pro capite in Cina sarà di 730 dollari, 30 dollari più di quanto lo è, secondo la Banca mondiale, nei Paesi poveri) non potrà obbligarlo, dovrà spiegarsi, convincerlo, coinvolgerlo. Questo vuoi dire democrazia, più democrazia nel sistema.  Cosa che, nella solita maniera silente degli orientali, forse sta già avvenendo: la politica dei figlio unico non è più dogma, tra il 1990 e oggi sono nate 2 mila associazioni non statali di cittadini, nella sola provincia di Guandong operano almeno mille gruppi autonomi di lavoratori, che in teoria sarebbero vietati dalla legge. E’ difficile che Zhu Rongji smetta a 70 anni di essere un tecnocrate comunista cinese.  E possibile, però, che continui anche ad essere Colpo di Timbro.
       

      Fulvio Scaglione
       
       
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