L'ECLISSI DEGLI STATI PARALIZZA I "GRANDI" E ARMA LE BANDE
      di Vittorio E. Parsi .
      da Avvenire 6 agosto 1998
       

      Si fanno sempre più disperanti le notizie della gigantesca mattanza in corso in Africa, dal Guinea alla  Ruanda,dalla Sierra Leone al Sudan. Persone letteralmente fatte a pezzi, migliaia e migliaia di bambini lasciati liberamente morire di fame, donne oltraggiate e massacrate. L'Africa assomiglia sempre più a un girone dantesco, dove gli uomini completano con raccapricciante impegno l'opera di distruzione che carestie cicliche ed epidemie vecchie e "nuove" (tra il 3O e il 4O% dell'intera popolazione africana è sieropositiva) vanno compiendo.
      Accanto alle migliaia di esseri umani vittime di una follia bestiale, tra i tanti sogni che muoiono all'alba di questo nuovo millennio, ce n'è uno che è sopravvissuto stentatamente per poco più di qualche decennio, quello del riscatto e dell'emancipazione politica e civile delle genti africane attraverso il processo di decolonizzazione dall'inizio degli anni Sessanta,da quando in progressione estremamente rapida l' "uomo bianco"si è liberato del suo ignobile "fardello", della sua pretesa "missione civilizzatrice", e ha reso l'indipendenza all'Africa,i massacri si sono succeduti a ritmo incessante in un crescendo di orrore vertiginoso.
      Alle antiche e anche asperrime rivalità tribali, agli atavici odii tra etnie e clan, si sono sovrapposti nuovi conflitti, alimentari o addirittura creati dagli ex dominatori in "ritirata". Improbabili classi dirigenti locali, tragiche e allucinate figure di generali e marescialli di sedicenti "eserciti" si sono ritrovare per raccogliere il potere, in nome di un "nazionalismo" che altro non era se non la via maestra attraverso la quale le ex presenze coloniali si rendevano finalmente le mani libere di predare ancora meglio un continente ricco di risorse economiche ma poverissimo di risorse politiche e lasciato completamente e colpevolmente solo nella difficilissima opera di ricostruzione dello Stato.
      Una situazione talmente disperata, quella africana, che la fine della Guerra Fredda, ha -se possibile- ancora totalmente peggiorato, tanto da far sempre più apertamente ipotizzare da parte di diversi esperti di politica internazionale di alcune regioni del continente - sostanzialmente una riedizione edulcorata e meno formalizzata della politica dei "mandati" - come unica via di uscita dal caos. Ed è una politica che, di fatto, viene attivata ogni qual volta, dalla Somalia al Ruanda, all'insostenibilità di una situazione si associa la possibilità di trovare qualcuno che sia disposto a farsene carico.
      In realtà, è il concetto stesso di sovranità dello Stato a essere sfidato e messo in dubbio nella sua validità assoluta dalle reiterate crisi africane. Dal punto di vista giuridico, innanzitutto, ma anche da un punto di vista squisitamente politico, l'azione dalla comunità internazionale è ostacolata, quando non completamente bloccata, da quel principio di non intervento (ovvero di non ingerenza della politica interna di un singolo stato), che è la pietra angolare su cui si fonda l'intera costruzione della società internazionale.
      Oggi esso appare lo scudo dell'ignavia e dell'egoismo delle potenze (europee, in particolare); ma va ricordato che - storicamente - il principio del non intervento venne invocato e progressivamente applicato proprio per consentire alle forze nazionali degli stati in via di formazione (si pensi all'Italia tra il 1820 e il 1860) di realizzare il proprio destino, liberi da condizionamento diretto (e normalmente realizzato con la forza militare) di qualche potenza egemone. Il principio di non intervento era - e resta, concettuale - la manifestazione di quell'idea di sovranità dui ogni singolo stato e consente di rimettere alla libera volontà di un popolo sovrano le decisioni riguardanti la propria organizzazione politica.
      Proprio qui sta il punto, allora. Che, nella maggior parte dei casi, in Africa, non ci troviamo - se non nel senso di un puro artificio formale - di fronte a stati veri e propri. Ci troviamo bensì davanti a bande armate che controllano un territorio per fini propri, che nulla hanno a che fare con quelli tipici dello stato e, men che meno, con la realizzazione della sovrana volontà popolare. Ma da qui deriva anche la difficoltà di esercitare una qualsiasi pressione su quei "governi" attraverso i classici strumenti diplomatici, giuridici, economici, restando, purtroppo, il linguaggio delle armi l'unico che i diversi capobanda mostrano di poter capire.

                                  Vittorio E. Parsi
       
       
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