Chiesa "San Lorenzo Martire" Cattedrale della Diocesi di Trapani

INNO IN ONORE DELLA PASSIONE DI S. LORENZO, DIACONO E MARTIRE

di sacre porte a capo 
della casa celeste,
le fide chiavi aveva,
dispensando le offerte.

Il prefetto di Roma 
ha fame di denaro, 
servo d'un folle capo, 
d'oro e sangue esattore.

Vuol con forza strappare
il denaro nascosto:
nei luoghi sacri immagina
talenti e mucchi d'oro.

Fa arrestare Lorenzo, 
cerca la cassa piena
di ricchi mucchi e i monti 
di monete nascoste.

Dice: "Vi lamentate 
che troppo atroci siamo, 
se i corpi dei cristiani
nel sangue laceriamo.

Non giustizia severa 
voglio con atti atroci; 
dolce e calmo ti interrogo,
tu dovresti parlare.

E' nei vostri misteri 
costume e usanza - dicono -, 
che per il patto i presuli 
libino in coppe d'oro.

Fuma in vasi d'argento
- dicono - il sacro sangue; 
e nelle veglie i ceri 
sono infissi nell'oro,

E devono i fratelli
- voci e fama la attestano -
vendere i campi e offrire
migliaia di sesterzi.

I poderi degli avi, 
venduti a turpi patti,
rimpiange il figlio erede:
non santi ha i genitori!

Si occulta il frutto in angoli
nascosti delle chiese,
e gran pietà si crede 
spogliare i dolci figli.

Tira fuori i tesori,
che con chiacchiere e imbrogli
tu conservi ammucchiati
e chiudi in antri bui.

Lo chiede il bene pubblico
ed il fisco e l'erario,
può col denaro il principe
stipendiare i soldati.

So che avete un precetto:
'rendi a ciascuno il suo'.
Riconosce, ecco, Cesare 
sui soldi la sua immagine.

Ciò che tu sai di Cesare
rendi a Cesare: è giusto! 
Se non sbaglio, il tuo Dio
non segna soldo alcuno.

Venendo non portò 
con sé Filippi d'oro, 
ma parole e precetti, 
e con la borsa vuota.
 

Fate fede al messaggio, 
vostro vanto nel mondo: 
date i soldi con gioia, 
siate ricchi in parole!".

Per nulla aspro Lorenzo
o irato a ciò risponde, 
ma ottemperante annuisce, 
come pronto a obbedire.

"E ricca, non lo nego
- dice - e ha la nostra Chiesa
molte ricchezze e oro,
né c'è più ricco al mondo.

Tanti scrigni d'argento non 
ha neanche l'Augusto,
signore dell'impero,
su ogni moneta inciso.

Ma non sdegno tradire 
del ricco Dio la cassa;
parlerò e mostrerò 
quali tesori ha Cristo.

Solo questo ti chiedo,
un po' di dilazione,
per adempiere meglio
al dono che ho promesso,

finché tutti per ordine
scriva i beni di Cristo;
va cantata la somma,
e annotato il totale."
C'era chi aveva gli arti
d'ulcere putrefatte,
e chi arida la mano e il
braccio rattrappito.

Cerca in tutte le piazze
quelli cui provvedeva la
chiesa madre, noti
a lui, il dispensiere.

Registra uno per uno
e ne trascrive i nomi;
li invita a sistemarsi
davanti al tempio in ordine.

Venne il giorno prescritto;
fremeva avido il giudice,
era in ansia e chiedeva
di scioglier la promessa.

Ed il martire: "Vieni,
e i beni vedrai esposti,
che il nostro ricco Dio
ha nei suoi luoghi santi.

Il grande atrio vedrai
splender di vasi d'oro,
e nei portici aperti
ben schierati i talenti".

Spudorato lo segue.
Giunti alla sacra porta,
caterve, ecco, di poveri,
schiere turpi a vedersi.
 
Avvelena ogni gloria:
perché lo stimi tanto?
Cerca un oro più vero:
oro è la Luce, gli uomini.

E' "figlio della Luce" chi ha
il corpo infermo e debole:
la salute del corpo gonfia
d'orgoglio l'animo.

Sloga il morbo le membra,
ma forza e vita ha l'animo;
invece in membra sane
è ferita la mente.

Se il sangue arde al peccato,
meno forze fornisce,
e un fervore fiaccato
è un veleno che snerva.

Se mai potessi scegliere,
vorrei grande dolore
nella membra patire,
ma dentro essere sano.

Metti insieme le pesti
e continui contagi:
e della carne un'ulcera
più turpe che dell'animo?

Questi, negli arti infermi,
dentro son sani e belli;
sono puri nei sensi
senza alcuna fatica.

I vostri corpi sani
hanno dentro una lebbra;
la colpa vi fa zoppi
e la frode vi acceca.

Chi tu vuoi dei tuoi nobili,
splendenti in volto e in vesti
dimostrerò più debole
di ognuno dei miei poveri.

Questi, in seta superbo,
tutto tronfio sul cocchio,
dentro ha un'idropisia
che la fa gonfio e pallido.

Questo avaro ha contratte
le mani curve e piega
nel palmo le unghie adunche,
e i nervi più non stende.

Questi il piacere fetido tra
meretrici pubbliche
di fango e fogna inquina,
e sozzi stupri cerca.

E quell'altro che si agita
e bolle e brama onori,
è in preda a febbre ed ansima:
ha il fuoco nelle vene.

Quello non sa tacere,
brama tradir segreti:
freme e si rode il fegato
e ha la scabbia nell'animo.

E non dirò le ghiandole
gonfie degli invidiosi?
le piaghe dei maligni
livide e purulente?

E tu, che Roma reggi
e Dio eterno disprezzi,
se adori i sozzi demoni,
hai il male regale.
 

Martirio di San Lorenzo (Cattedrale di Trapani,
transetto a destra, Giuseppe Felice, XVII sec.)


Lieto e gonfio di gioia
è il prefetto, e assapora
l'ora d'avere l'oro,
come se già l'avesse.

Tre giorni stabilirono;
con lodi è rilasciato
Lorenzo, e garantisce
per sé e per il tesoro.

Tre giorni la Città
percorre, e di malati
schiere e di mendicanti
raduna e mette insieme.

C'era chi cieco aveva
gli occhi entrambi cavati
e al bastone affidava
il passo vacillante.

C'era chi andava zoppo
per il ginocchio rotto
o la gamba troncata
o per piede più corto.
 

Si alza un grido di suppliche:
s'atterrisce il prefetto,
e rivolto a Lorenzo
lo guarda minaccioso.

E quello: "Perché fremi
e minacci scontento?
sozza, vile e spregevole
ritieni questa gente?

L'oro che ardente brami
nasce in scavati ruderi,
e da miniere buie
col lavoro forzato.

Torrenti e fiumi torbidi
misto a sabbia lo portano;
pieno di terra e sporco,
va messo nel crogiolo.

E l'oro che corrompe
l'onestà ed il pudore,
che uccide pace e fede,
anche la legge uccide.