La Parrocchia nel 3° Millennio

Sempre col grembiule: in casa e … fuori

 

 

In un mondo che si caratterizza ormai come “villaggio globale” le nostre comunità devono respirare l’universalità per vivere in pienezza la propria missione.

Non per nulla Gesù ha detto: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura(Mc. 16,15).

E’ una missione che riguarda tutti: non solo S. Francesco Saverio che lascia tutto e parte,  ma anche S. Teresa di Gesù Bambino che tocca gli estremi confini della terra rimanendo nel “chiuso” del proprio monastero; non solo il sacerdote “fidei donum”, ma anche la casalinga che calca le vie del mondo pur rimanendo davanti ai fornelli della propria casa.

Questa visione senza paletti di confini fa si che le comunità non siano più dei massi erratici, ma diventano comunione di comunità che camminano insieme senza nulla rinnegare della propria identità, come avviene nella vita intima della Trinità dove l’unità esalta la diversità.

Ma se la Trinità è l’icona della comunione delle nostre comunità, il Verbo Incarnato deve diventare sempre più l’icona della nostra presenza nel solco della storia.

Questo secondo aspetto della comunità parrocchiale del terzo millennio è come la punta di diamante: essere nella storia per ascoltare il mondo e imparare a servirlo come si conviene.

Come Cristo, venendo nel mondo, non si è accontentato di indossare solo la camicia dell’uomo, ma ne ha preso la pelle con tutti i suoi limiti, eccetto il peccato, così la comunità cristiana deve essere sempre più immersa nel mondo umano per condividerne gioie e dolori, speranze e delusioni, amarezze ed entusiasmi. Non si può aprire il cuore a Cristo senza tendere la mano ai fratelli.

E questo perché il mondo è “il partner di Dio” (don Tonino Bello).

Il Cristo, infatti, non si è attardato più di tanto nella sinagoga del suo tempo, ma si è attardato più di tanto nella sinagoga del suo tempo, ma si è fatto di strada per incontrare Dio nell’uomo.

Lungo la strada chiama il cieco di Gerico che, da emarginato, balza in piedi, butta il mantello e si mette alla sequela di Cristo.

Lungo la strada incontra lo sguardo di Zaccheo, appollaiato sul sicomoro, e lo riporta in casa dove scoppia la condivisione dell’amore.

Lungo la strada lascia cadere il suo sguardo sui pescatori di Galilea e ne fa dei pescatori di uomini.

Dalla strada Gesù passa anche all’intimità della casa per farne luogo di rivelazione, di salvezza.

In casa di Simone il lebbroso, Maria di Magdala si butta ai piedi del maestro, rompe il vaso di alabastro e rende saturo di profumo tutto l’ambiente.

Ed è sempre la casa dell’uomo che Cristo sceglie per aprire il cuore dei discepoli alla comprensione profonda dalle parabole del regno.

Ma dalla casa Gesù ritorna sulla strada e, spesso, anche in terra pagana dove l’emorroissa tocca il lembo estremo della sua tunica e ne resta guarita all’istante; dove i greci dicono il loro desiderio di vedere il Maestro e questi esulta perché è arrivata la salvezza anche per i pagani.

Ed è in queste periferie geografiche e spirituali dell’uomo che, sull’esempio di Cristo, la comunità deve attardarsi per rendere visibile e palpabile la presenza di Dio “che ha tanto amato il mondo da mandare il Suo Figlio Unigenito(Gv 3,16) .

E questo essere nel mondo deve tradursi in ascolto e l’ascolto deve suggerire le linee portanti di un servizio gioioso e fedele, di una pastorale aperta e dinamica.

Dall’ascolto si passa necessariamente al servizio. Nasce così la “Chiesa del grembiule”, non secondo le circostanze, ma come segno distintivo e perenne.

Seguendo l’esempio di Cristo che, una volta indossatolo, non l’ha più abbandonato.

Un servizio da offrire a tutti con una caratteristica ineludibile: quella della reciprocità.

Il servizio infatti non è prerogativa dei singoli che ognuno può gestire secondo la propria generosità o inventiva. Il servizio riguarda l’insieme dei gruppi parrocchiali i quali, prima di catapultarsi sulle strade del mondo, devono rispondere all’invito categorico di Gesù: “Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni agli altri(Gv 13,14) .

E’ un particolare che ha una rilevanza notevole perché dona fecondità a tutto il lavoro pastorale.

E don Tonino in maniera lapidaria: “Chi non vive per servire, non serve per vivere”.

Come Gesù sempre in ginocchio nell’atteggiamento del servo anche davanti a Pietro che lo rinnega o a Giuda che lo tradisce o agli altri che fuggono.

Con questo gesto Gesù ha elevato i suoi alla dignità di “signori”. E “signori” si è nella misura in cui si è “servi”.

Per Gesù è il “servizio” che dona dignità all’uomo elevandolo al rango di “signore” e l’uomo, divenuto “signore”, trova la sua pienezza nel continuare a lavare i piedi, “prosaiche estremità dell’uomo” che incontra sul suo cammino.

Comunione di comunità, ascolto attento e costante di un mondo che cambia, servizio generoso e fedele verso tutti possono essere le caratteristiche di una comunità parrocchiale che si affaccia al terzo millennio, senza rinnegare il passato, ma aperta la futuro che Dio stesso indica attraverso i segni inequivocabili della sua presenza.

 

Don Ottorino




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