IL MEMORIALE DI S. COLOMBANO
Arrivando o, meglio, approdando a Riva, si rimane colpiti dalla strana
conformazione geografica di questa porzione di terra che s'incunea nell'Emilia,
tra Po e Povecchio fino alla circonvallazione di Luzzara. La terra, piatta, è
come delimitata dal corso del Povecchio e dall'argine Maestro. Di là, pioppeti
fino al Fiume. Di qua, a spaglio, i gruppi delle case. Lungo la strada il
cimitero solitario e, dall'altra parte, la Chiesa, in fondo, dietro la quinte
delle case, classico sfondato di una storia evanescente, appiattita come la
Pianura, che tutto livella e nasconde, quasi a
gelosa custodia di un tesoro
prezioso.
Col concorso dei popoli migranti che sconvolsero l'assetto dell'Impero
romano, con le strade, le città e l'organizzazione capillare del territorio in
centurie, il Fiume errabondo, soprattutto in quest'area, modificò più volte il
paesaggio, insieme al suo corso. I piccoli uomini si adattarono a questo mutare
e, poco a poco, i fiumi divennero le uniche strade e le strade sentieri su cui
si andava riorganizzando la cultura e la vita associata, e coi rinascenti
commerci frequenti conflitti e spesso purtroppo le guerre. Soldati, mercanti e,
sempre più, pellegrini.
Tra
Longobardi e Romani (Ravenna) i rapporti sono mutevoli, spesso ostili, l'antica
Via Emilia, troppe volte interrotta, cede definitivamente i suoi traffici alla
via dell'acqua. Anche ai Pellegrini Romei l'Appennino apre i suoi passi. Monaci
temprati dalla disciplina ne regolano i flussi, dai monti fin giù alle rive. A
Bobbio erano arrivati addirittura dall'Irlanda, con S. Colombano[1],
esperti di Vangelo ma anche di barche con cui sfidare l'oceano, preparati da
scuole d'antica tradizione, e sorretti da Regola severa. I re Longobardi ne
seppero approfittare, riconoscendoli generosamente per il loro servizio. Lo
testimonia il Codice Diplomatico del monastero di Bobbio (anno 862) con le
rendite dei possedimenti sul lago di Garda e le riscossioni di diritti sulle
navi di Venezia e di Comacchio nel Portus de Mantua. Un Portus mantuanus, citato
insieme ai porti del Po (del Bresciano, del Parma e dell'Adda), ritorna anche
nel Codice Diplomatico Longobardo(730), nel concordato tra il re Liutprando e
Comacchio, nel quale si parla sia di tributi, il ripatico, che di addetti, i
Riparii.
Sembra questo il contesto in cui leggere la testimonianza di una presenza
monastica di Bobbio qui a Riva , ancora evidente nel titolo della Cappella di S.
Colombano, l'unico titolo non romano e chiaramente legato ai Longobardi
nell'isola suzzarese. Lo testimonia
il Rescritto ad Alberto, Arciprete
di Suzzara da parte dell'Arcivescovo di Ravenna che tanti anni dopo la caduta
dell'Esarcato vanta ancora giurisdizione sull'Isola (1154 : Archivio capitolare
di Mantova). Forse dei Riparii, collaboratori del Monastero di Bobbio nella
raccolta dei tributi e l'assistenza alla navigazione in questa località
strategica sulla via fluviale ai possedimenti del lago di Garda,
all'incrocio con la strada dei Teutonici( Liber grossus Ant.Com. Regii,
II vol. pag.135 anno 1184), ancora testimoniata dalla Cisa,
proprio loro, potrebbero più tardi
essere quel gruppo di Riva,
diventato tanto potente da diventare emergente nel Comune di Mantova al tempo
dei Bonacolsi insieme con quelli di
Saviola, già compagni nel controllo della navigazione fluviale nel
tratto sempre difficile tra i due paesi.
Erano passati dei secoli e ancora oggi sorprende come il
territorio continui ad esser delimitato e denominato come allora: la Riva di un
fiume e Suzzara di qua e Luzzara di là. Ancor oggi Saviola è sull'altra
sponda, più a valle. Così Riva poteva esser diventato l'avamposto mantovano
sull'isola di Suzzara, prima che essa entrasse definitivamente nell'ambito
Mantovano. La divisione geografica tra le due isole, trovata dagli eserciti
longobardi scesi contro il duca traditore di Brescello , si perpetuava nel nome
che già sa di volgare: "zò 'd Zera" e 'dlò 'd Zera", al tempo
dell'affermarsi di Guastalla, come nuovo Posto di guardia (Wardstall) sul Po,
dopo la distruzione della stessa Brescello. Che il Povecchio, qui, fosse Zara lo
fa capire il giuramento dei Consoli Reggiani e Mantovani del 1184 sopra citato:
" dalla città di Reggio in giù…fino alla riva di Zara o Povecchio,
sulla strada dei Teutonici". Che poi non fosse un fosso di scolo da saltare
a piè pari lo indica il fatto che segnava il confine del feudo del monastero di
S. Sisto di Piacenza( da cui il titolo della Chiesa di Palidano), che si
estendeva da Guastalla a Pegognaga, sull'asse Luzzara -Palidano -Gonzaga(Muratori,
Antiqu. Ital. Med. Aevi T.II. p. 41). Lo Zara, diventato definitivamente
Povecchio, sempre più in
troppa parte sepolto, è ancora
muto testimone di un passato da scoprire e da valorizzare.
Dall'altra
parte dell'Argine, il fiume ha continuato a vagare, seppellendo le tracce di un
antico paese e della sua quasi millenaria chiesetta. Gli uomini, troppe volte
distratti, non ne hanno saputo difendere le sepolte testimonianze[2].
Insieme all'Archivio Parrocchiale di Riva (anno 1702)d un altro vagare funesto
di eserciti ne ha paradossalmente e
sorprendentemente conservato il ricordo anche visivo, pubblicato
ne "Le campagne del Principe Eugenio" che, dopo la battaglia
del 1702, nella corte vicina alla Chiesa antica di Riva
soggiornò per un paio di mesi , scrivendo le relazioni all'Imperatore
che datò "dai pressi di Luzzara". Se il Principe confuse il nome del
paese con le sponde del
Po, il suo cartografo ne ha conservato i dettagli
in primo piano e dal vero. Basti confrontare l'abside del Convento degli
Agostiniani, dove oggi ha sede il Museo Nazionale naive.
Lo studio e le ricerche per il restauro della nuova Chiesa hanno sospinto
l'interesse alla riscoperta dell'antica e poi dalla Chiesa al suo Patrono! Sulle sue tracce dall'Italia all'Irlanda, sua patria
d'origine. Intanto si avvicinava il Giubileo del 2000. Quasi a ruota il 2002 del
III Centenario della Battaglia. Perché non cantare nei luoghi della memoria, le
speranze di pace di una Europa più vera, più fedele alle sue radici e ai
valori della sua storia? Ecco l'idea del Memoriale, luogo di incontro nello spirito del grande precursore, di
un Europa nella quale" Franchi, Britanni, Irlandesi o di qualsiasi razza,
siamo un solo corpo" (lettera di
Colombano ai Vescovi della Gallia).
Paradossalmente
le cave che hanno cancellato le tracce (una verifica sarà necessaria in un
cumulo di terra mai asportata) dell'antica Chiesa hanno stimolato una nuova
attenzione ambientale, fino a portare alla nascita del "Parco San
Colombano". La storia diventa cronaca di un progetto ricco di suggestioni,
simboli e significati: il Memoriale.
Il
Cerchio di sassi è uno "stones circle", come tanti dell'Irlanda più antica, preceltica, migliaia di anni a.C.
Lo stesso cerchio di
sassi richiama gli Ebrei al passaggio del Giordano alla prima Pasqua nella Terra
Promessa, quando Giosuè fece collocare da 12 uomini
12 sassi del Giordano, uno per ogni tribù d'Israele (Gs 4,4),in evidente
richiamo a Genesi quando Mosè collocò dodici stele attorno
all'altre del sacrificio. Il rimando del numero 12 si dilata senza confini di
tempo e di spazio, dal sistema duodecimale degli astronomi della patria di
origine di Abramo, al suo utilizzo nella misura del tempo negli orologi moderni.
Il tempo nella prospettiva biblica trova la sua pienezza in Gesù, dalla cui
nascita si divide tra il prima e il dopo Cristo. Lui stesso scelse dodici
Apostoli e sul suo modello dall'Irlanda partiva un Abate con dodici compagni
lasciando la riva di Bangor per le nostre rive, traversando l'Europa seminando
cultura e vangelo, direttamente e attraverso le fondazioni monastiche da lui
derivate. Così l'Europa fa suo il Memoriale di S. Colombano, là dove si è
scontrata in fratricida battaglia e, nelle
12 grandi stele di pietra può riconoscere le stelle della sua Bandiera. Sono le
stelle della donna dell'Apocalisse. Di nuovo la simbologia si espande
Dalle
stelle alle costellazioni, nel volger
dei dodici mesi dell'anno. Il
calcolo della luce del sole porta ancor oggi, dentro il tumulo della sepoltura
regale, un raggio di luce nel solstizio invernale a Newgrange. Sarà poi la data
simbolica del Natale di quella Luce vera che illumina ogni uomo (Gv.1,9). Il suo
venire nel mondo porterà l'antico calendario del cristianesimo celtico a
celebrare il capodanno il 25 marzo, festa dell'Annunciazione, nove mesi prima
del solstizio d'inverno diventato il Natale. [3]
Al
sorger della luce del sole rimarrà legato nei paesi anglosassoni il nome della
Pasqua (Easter e Ostern), nella ricorrenza annuale, come nel suo ritorno
settimanale, col Giorno del Sole (Sunday e
Sonntag), dentro un anno che sarà
tutto del Signore : Anno Domini.
Il Memoriale di
Colombano ricorderà così il Giubileo A. D. 2000, con il Natale nel tumulo
diventato grotta di luce e, sopra di esso, la Croce col simbolo delle 5 colombe
dei 5 Continenti del logo giubilare, invito
alla riconciliazione in rapporti di giustizia e di pace, così attuale
per l'Europa e il Mondo, collocato proprio nel luogo della antica Chiesa
che fu teatro di guerra perché sia monito per noi
e per le generazioni future, quasi luogo celebrativo del
convenire nel III Centenario, il 15 di agosto 2002, a rinnovare impegni e
progetti di unità che S. Colombano aveva felicemente intuito e per i quali
indefessamente operò, durante il suo vagare per il vangelo sul continente
europeo.
[1] "… nacque un'altra concezione dell'unità, quella dell'Europa. Colombano alla fine del VI secolo è il primo a dare a questa parola un senso non geografico ma culturale. Per lui l'Europa è l'insieme dei popoli cristiani unificati da questa lingua comune che veicola l'eredità romana e la rivelazione cristiana,il latino…" Michel Rouche in Storia dell'Alto Medioevo, pag.54)
[2] Appena giunto a Riva nel 1978, il Consorzio di difesa golenale si opponeva inutilmente al prosieguo della escavazione che produsse le attuali cave per ottenerne argilla. Appena venuto a conoscenza dell'esistenza di una antica Chiesa con una ricerca al Catasto teresiano, già nel 1979 ne avevo identificato l'area, purtroppo già escavata. Sarebbe tuttora da verificare in un cumulo di terra l'eventuale giacenza di resti delle fondazioni della Chiesa e di materiali dell'antico cimitero, prima di qualsiasi intervento alle cave, per le quali del resto non si deve procedere ad ulteriore abbassamento per il pericolo non solo per l' arginello consorziale, ma credo anche per non avvicinare, accentuandone ulteriormente il gioco, le correnti sotterranee il fluttuare della falda, già così influente la stabilità della nuova Chiesa.
La "naturalizzazione" delle cave potrebbe essere perseguita più utilmente e sempre controllabile attraverso un possibile utilizzo concordato concordato col Consorzio, con opportuni interventi di adattamento.
[3]Al Convegno "Una giorno sul Po".organizzqato dal Comune di Suzzara ebbi modo di presentare il modello cristiano-celtico del rapporto con la natura, evidenziandone l'interconnessione per cui i boschi diventano santi come i monaci che li abitavano (per tutti la cuttadina di Holywood , il bosco santo vicino a Bangor ,il grande monastero da dove partì s. Colombano). Sempre ai Vescovi della Gallia , il grande Irlandesescriveva "Permetteteci di vivere nella pace dei vostri boschi". E' indubbio che sia stato il monachesimo benedettino innestato in Europa sul ceppo colombaniano a far prevalere l'atteggiamento derivato dal mondo romano del bosco come bene economico da sfruttare. La stessa leggenda dell'orso aggiogato al giovenco della tradizione bobbiese risente di questo nuovo clima di riorganizzazione delle colture,tipico della presenza benedettina da noi evidente nel ruolo di S. Benedetto in Polirone. Si coniuga facilmente con il messianismo di Isaia 11,7 come la più antica tradizione dell'orso di S. Colombano e poi anche del suo discepolo S. Gallo, ma in senso più produttivistico, mentre l'orso che cede la sua grotta al Santo ( Colombano) o lo aiuta a portare il legname per costruirsi l'eremo nel bosco (S. Gallo) allude chiaramente alla situazione paradisiaca che la presenza dei monaci determina nel bosco in una convivenza riconciliata tra gli uomini e gli animali, per cui il bambino metterà la mano nella tana della vipera, senza correre nessun pericolo. Mai il recupero del rapporto con la natura è stato sentito come oggi. La scommessa non sarà vinta sottraendo e recintando spazi alla presenza antropica, ma su una presenza compatibile per la quale il Parco dovrebbe essere provocazione educativa. In questa logica il Memoriale corona e ribadisce le esperienze di presenza di scoperta, di preghiera e di gioco, vissute soprattutto con i bambini e i ragazzi già dal 1979, con la ricerca con le scuole elementari che portò alla riscoperta del territorio, e poi nei grest e nelle ricorrenze culminate quest'anno nella celebrazione del Capomillennio cristiano-celta il 25 marzo.