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Quaresima 2002

 

ALLA PARROCCHIA DI SUZZARA IMMACOLATA CONCEZIONE

MESSAGGIO PER LA QUARESIMA

 

Carissimi,

giunga con questo mio scritto il più affettuoso saluto a tutti voi e un clamoroso abbraccio a ciascuno.

Il tempo liturgico della Quaresima mi offre ora l’opportunità di condividere con voi alcune riflessioni proprio agli inizi del mio ministero pastorale come parroco.

La Quaresima è il sentiero verso la Pasqua segnato dal rinnovato e ripetuto invito alla conversione. Sentiremo più volte in questi quaranta giorni l’imperativo “convertitevi”! E proprio da questo secolare e permanente comando biblico si origina la mia riflessione.

 

“Convertitevi” ha il duplice significato di “cambiare mentalità” e andare “oltre la mente”.

 

“Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rom 12,2). Per la logica dell’Incarnazione e per la natura stessa della nostra umanità, la fede ci porta a condividere angosce e speranze, gioie e tristezze del mondo. Essa ci richiama, altresì, a non dimenticare, anzi a testimoniare, l’altra polarità della nostra cittadinanza: la patria celeste, quel “regno” che è in virtù dell’incarnazione e della Resurrezione, è già e non ancora, quel Dio che per sempre si è svelato nel volto di Gesù Cristo affidando a noi – in quanto partecipi della Chiesa – il Vangelo liberante della salvezza, la missione stessa del Figlio suo e Fratello nostro.

Consapevolmente immersi nella realtà della nostra città terrena, rendiamoci compagni dei nostri contemporanei verso i quali ci spinge il monito evangelico (fatto proprio dal nostro Vescovo “Prendere il largo sulla Sua Parola”). Uomini con e fra gli uomini, e perciò a pieno titolo cittadini e non soltanto “passanti” della nostra città, noi scadremmo comunque nella non significanza se chiudessimo nel cassetto la nostra fede e alloggiassimo il Vangelo nella nostra libreria. Potremmo, così facendo, correre il rischio di “confonderci” fino al “conformismo” con la “mentalità di questo secolo”, senza nulla di nuovo e di vitale da dire e da dare.

 

Se non riusciamo a scrivere , con la nostra gioiosa, serene a umana testimonianza, “Gesù Cristo” nelle pagine di ogni giorno, finiremmo col tradire la nostra fede e il senso del nostro “partecipare” alla vita parrocchiale.

Nello sforzo di aderire all’imperativo della conversione, del cambiare coraggiosamente mentalità, approfondiamo il senso di tale partecipazione, come “passione per la Verità” cercata e offerta, come testimonianza di fede senza reticenze e complessi di emarginazione, come condivisione di problemi dai quali accettare di farsi toccare e non solo sfiorare, indifferenti.

La parrocchia non è principalmente struttura, territorio, edificio, è piuttosto “la famiglia di Dio, come fraternità animata dallo spirito d’unità”, è “una casa di famiglie, fraterna e accogliente”, è comunità di fedeli.

La parrocchia è, sostanzialmente, una comunità eucaristica. Ciò che significa che essa è una comunità idonea a celebrare l’ Eucaristia, nella quale stanno la radice viva del suo edificarsi e il vincolo sacramentale del suo essere in piena comunione con tutta la Chiesa (cfr. Christifideles laici n26). È un luogo che prepara all’incontro personale con Cristo attraverso la preghiera, la meditazione assidua della Parola, la celebrazione del sacramento della Riconciliazione e dell’Eucaristia.

La parrocchia è scuola di formazione alla fede pensata, alla coscienza critica, al discernimento della storia, attraverso il confronto e l’ascolto, per uno stile attivo di coinvolgimento, nella Chiesa, come nella propria città.

 

Non si tratta di fare cose “in grande” ma cose grandi, se “abitare” la parrocchia diviene per ciascuno di noi, appunto, stile di vita, in grado di segnare le intelligenze e i cuori, provvisti di capacità di ascolto della Parola di Dio, di evangelica franchezza nel “dire Dio” oggi. Un simile atteggiamento non si comunica con grandi proclami, ma si trasmette per “contagio”, per una sua intrinseca “fascinosa attrazione”, ponendo e suscitando interrogativi più che rassicurando con risposte scontate.

 

 Ma ritengo altrettanto ineludibile mettere cuore nelle cose che facciamo e diciamo. “Oltre la mente” significa usare la ragione, riconoscendone i limiti. Dio non va solo amato ma va anche pensato: “con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente”. La fede è una chiamata e una risposta, un appello e un compito. Essa esige totalità, radicalità, fantasia, entusiasmo.

La parrocchia “vive” e fa “vivente” chi vi partecipa se ogni parrocchiano la nutre con il suo contributo di generosa testimonianza, di responsabilità attiva, di contemplazione agente.

 

 Ci sostenga in questa antica e rinnovata fatica il Crocifisso Risorto. Se vogliamo sapere chi è Dio, dobbiamo inginocchiarci ai piedi della Croce. E, insieme, dobbiamo aprirci all’impossibile possibilità che è stata dischiusa a Pasqua.

 

Don Egidio Faglioni