IL MURO DI MATTONI
Il temporale è finito da poco.
E’ arrivato all’improvviso in una giornata piena di sole e, all’improvviso, se ne è andato sgocciolando.
Di fronte a me il vecchio muro di mattoni rossi si va via via asciugando dalla breve pioggia, risvegliando tonalità e colori caldi e vivaci.
Nell’ora di mezzo tutto è silenzio e immobile .
Come in un momento sospeso, quasi magico.
Qua e la, nelle fessure ricoperte di muschio, delle piccole felci si affacciano con le loro foglie dal verde tenero .
Poco più su, in alto, una lucertola sonnecchia pigramente sui mattoni ormai asciutti e tiepidi.
Nella quiete assoluta, mentre lontano si spegne il brontolio del tuono, mi ritrovo a fissare quel lungo muro dell’orto, riandando con la memoria a tempi ormai remoti.
E’ strano.
E’ strano come a volte, nei momenti più impensati, ti capita di essere colpito dalla vista di una cosa semplice, statica, che da anni fa parte del tuo ambiente consueto ma che, all’improvviso, risveglia il tuo interesse, suscitando curiosità, ricordi e oserei dire anche affetto.
Pure tu, amico mio, sarai sorpreso che stiamo qui a parlare di una cosa comune, inanimata, apparentemente senza importanza.
Ma non è così.
In un attimo nell’infinito spazio del tempo, il presente e il passato si fondono assieme e tu stesso diventi elemento e complemento del quadro.
Quanti anni sono trascorsi ?
Trenta, Quaranta, Cinquanta ..... non ha importanza.
E’ come se accadesse oggi, in questo momento.
Io rivedo il muro, mattone dopo mattone, prendere forma dalle mani forti e callose del vecchio Belloni, il muratore che per la sua bravura era chiamato " il maestro " e dietro a lui, mio padre che, poco esperto, faceva il manovale con notevole affanno .
" Mattoni, mattoni, gridava il maestro " , abituato a ben altro ritmo.
I nostri muratori, a quel tempo, erano abilissimi con questi pesanti elementi della costruzione e non avevano certo bisogno del piombo per metterli ritti.
Erano centinaia di mattoni al giorno, e messi su con la calce, manovrando la cazzuola come una sciabola .
Erano i mattoni della Ceramica, duri come l’acciaio, i migliori della nostra zona.
Chi non conosceva i mattoni della Ceramica ?
Tutti noi, in quell’epoca, li abbiamo usati .
Le nostre case, le nostre mura, le nostre vecchie fabbriche, tutte ne portano ancora il segno.
Memorabili erano, tra gli esperti, le sfide a chi ne murava di più nella giornata.
Il vecchio Belloni, il maestro " ed Antonietto il lungo " erano continuamente in gara tra loro.
Che dire poi dei capomastri diventati famosi come Primo Ferrari, Foce, Miglietto e tanti altri che facevano sudare sette camicie ai giovani inesperti manovali.
" Mattoni, mattoni ! "
Il grido rintronava nelle povere orecchie dei boccia come una mazzata.
Erano i tempi antichi nell’arte muraria.
Tempi che facevano parte della storia stessa dei nostri padri.
Una storia che sapeva di lavoro duro e di sacrifici, ma dove il sudore dell’uomo e la sua abilità erano rispettate e valorizzate.
Ora è tardi per il passato.
Il brusco risveglio alla realtà di tutti i giorni convulsa e perversa, ci riconduce inesorabilmente ai " vai avanti " automatico, impersonale e stressante.
Non c’è più tempo per l’umano per le risposte.
Non ci sono più i sogni.
Il vecchio muro di mattoni rossi è la immobile, ultimo testimone di un modo di vivere e di operare in un mondo che non esiste più.
L’ombra del " maestro " è scomparsa.
La voce di mio padre è lontana.
Le nuove ansie dell’oggi e le preoccupazioni del domani spazzano via, ormai inesorabili, gli ultimi cocci dei nostri ricordi e del nostro nostalgico, impossibile desiderio d’antico.