Phos - Giovani n. 7

Normalmente siamo preoccupati del presente, di ciò che dobbiamo fare ora. Però dentro di noi c’è sempre anche una tensione verso il “futuro” e quello che facciamo ora è anche in vista di ciò che vorremo essere domani. Questa tensione verso il futuro si chiama “speranza”. Un uomo che non ha questa molla che lo spinge verso il futuro si dice infatti “di-sperato”, cioè senza speranza. La speranza è qualcosa di diverso dalla semplice attesa. Ad esempio: io non ho la speranza che arrivi l’estate, perché essa viene anche se io non faccio niente. Ho invece la speranza di essere promosso, perché so che questo futuro richiede non solo l’attesa ma anche un mio impegno perché accada. La speranza è allora l’attesa di un bene futuro, che potrà arrivare (se invece non è assolutamente possibile allora sarebbe solo un “sogno” e non una speranza), ma che richiede anche il mio impegno nell’oggi. Nell’uomo, il presente è sempre fatto di memoria (passato) e di speranza (futuro). Vivere solo l’“attimo fuggente”, senza queste altre due dimensioni, vuol dire pian piano svuotarsi e condannarsi all’inedia, alla noia.

Che cosa speriamo? Ogni persona spera sempre la felicità, attende e prepara ciò che pensa possa renderlo felice. L’uomo (e solo l’uomo) è anche capace di rinunciare volontariamente ad una felicità oggi per una più grande felicità domani, come dimostra la fatica di ogni progetto (ad esempio: tanti anni di studio per ottenere un diploma o una laurea).

Ognuno si accorge però che ogni meta che si prefigge non è nient’altro che una tappa, che cioè nulla può mai soddisfare totalmente quel bisogno profondo che c’è dentro di noi. Ci accorgiamo che siamo paradossalmente limitati, ma con un desiderio infinito (di felicità, di vita, di amore, di bene, di bellezza, di verità). Siamo cioè fatti per l’infinito. Siamo fatti per Dio, perché Dio è proprio l’infinita verità, bellezza, bontà, felicità, la vita eterna, l’Amore infinito.

Come potrebbe però un essere finito come l’uomo soddisfare il suo bisogno infinito? Sarebbe uno sforzo titanico e comunque sempre fallimentare, tanto più che alla fine c’è sempre la morte, cioè apparentemente la fine di tutte le cose.

Noi abbiamo visto però che questo “bisogno infinito” non è vano, inutile (sarebbe come dire che fondamentalmente è vana e inutile la vita!), ma che anzi Chi ci ha creati ce lo ha messo dentro per poterlo Lui stesso colmare. Siamo stati infatti creati da Dio “a sua immagine e somiglianza” (infatti, pur essendo limitati, superiamo ogni altro animale proprio per questa capacità di pensare, di volere e di amare, che tende all’infinito) e “per Dio” (per godere eternamente di Lui, che è proprio quell’Infinito che il nostro essere desidera, anche se ancora non ce ne rendessimo conto).Tutto ciò però non sarebbe stato possibile se Dio stesso non si fosse calato dentro il nostro finito, se non si fosse cioè fatto uomo. Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, ha assunto in Sé la nostra vita, permettendoci così di diventare partecipi della Su stessa vita. E’ questo il motivo per cui siamo stati creati, per cui esistiamo. E’ questo il motivo per cui Dio è venuto, il motivo per cui solo in Cristo c’è salvezza; e per questo devo essere cristiano cattolico (v.schede precedenti).

C’è dunque un’immensa iniziativa d’amore di Dio, che spiega il perché stesso dell’universo e specialmente del “nostro” esserci. Come ogni speranza, però, questo disegno (progetto) non basta solo attenderlo (non ne avremmo alcun merito), ma richiede un impegno, cioè un nostro pensare e volere in questa direzione. Non si tratta, come in ogni cammino, semplicemente di un “poi” che arriverà, ma del significato (il fine) di ogni passo da fare, cioè la direzione, la modalità con cui vivere. Per questo la domanda più importante della vita è infatti (Mc.10,17):

 Cos’è la vita eterna? Cosa dobbiamo fare per entrarvi?

L’uomo di ogni tempo (ed anche in questo si rivela il suo “spirito”, che lo distingue e lo fa essere superiore ad ogni animale) ha sempre intuito che c’è un’altra vita dopo questa vita. Anche la filosofia ha scoperto, con la sola ragione, che il nostro “io”(anima), non coincidendo totalmente con il corpo, continua a vivere anche dopo la morte del corpo, che cioè c’è un’altra vita dopo questa vita. Ogni religione (ovunque e sempre) porta poi in sé questa speranza ed offre delle indicazioni (leggi morali, come comportarsi, cosa fare) per raggiungerla.

Fino a quando Dio non si è fatto uomo, cioè fino a quando Gesù Cristo non ha preso su di Sé la nostra natura umana (“incarnazione”), è morto per riconciliarci col Padre (“redenzione”), è risorto (anche col corpo) per vincere anche la nostra morte e ci ha inviato lo Spirito Santo per renderci partecipi di Sé (santificazione), questa speranza dell’uomo di diventare eterno era fondamentalmente un “sogno”, irrealizzabile. Anzi, la sopravvivenza dell’anima, staccata da Dio, era (ed è, per chi rimane staccato da Cristo) in un’eterna incompiutezza, cioè una infinita insoddisfazione (fatti per Dio senza mai raggiungerLo) che chiamiamo “inferno”: la disperazione infinita ed eterna!

Essendo accaduto (ed è appunto un fatto e non una teoria - v.scheda n.5) che Cristo, unico Dio, è veramente risorto, allora tutti gli uomini (anche quelli che sono vissuti prima, perché la resurrezione esce anche dal tempo ed è contemporanea a tutti i tempi) risorgeranno, secondo la Sua parola e la Sua potenza, alla fine del mondo. La vita eterna è la permanenza nell’essere, e non solo con il nostro spirito, ma anche con il nostro corpo risorto (in una dimensione extra-spazio/temporale). Questo accadrà inevitabilmente per tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi! La resurrezione dei morti e la vita eterna ci sarà sicuramente, per volere di Dio, indipendentemente dalla nostra volontà. Quello invece che dipende da noi (per questo è speranza e non solo attesa), è il come sarà questa vita eterna, se cioè sarà perfettamente felice, in quanto partecipazione alla vita stessa di Dio (paradiso), oppure se sarà la disperazione infinita (inferno) dell’uomo autoesclusosi dalla felicità infinita (che paradossalmente continuerà eternamente a desiderare, essendo fatto per questo, e nello stesso tempo a rifiutare) [S.Agostino, il grande vescovo teologo e filosofo del IV-V secolo, usa ad esempio questa espressione: “Colui che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te”. Cioè il fatto che esistiamo, che siamo fatti così come siamo, che siamo fatto per partecipare in Cristo alla vita stesa di Dio, tutto questo è un “dato” e non dipende da noi, né possiamo cambiarlo; che si attui questo nella nostra singola vita, questo dipende da noi, dalla nostra adesione o dal nostro rifiuto].

Cristo ci ha già salvati, gratuitamente, senza nostro merito, venendo, morendo e risorgendo per noi e donandoci il Suo Spirito. Allora noi cosa dobbiamo fare per essere salvi, cioè perché questo accada realmente nella nostra vita e possiamo poi entrare pienamente in Dio (paradiso)?

Dobbiamo anzitutto accogliere il dono, la “grazia” (gratis!) di Dio, vivere cioè fin d’ora questa unione piena (comunione) con Lui.

Questa comunione (che chiamiamo appunto “grazia di Dio”) si realizza sin dall’inizio della vita con i sacramenti dell’iniziazione cristiana (Battesimo, Cresima, Eucarestia) ed è continuamente alimentata dall’Eucarestia (Com-unione!); e se si perde con il peccato grave (non siamo in tal caso “in grazia di Dio”), è recuperata con la Confessione. Questo è l’anticipo della vita eterna!

Dobbiamo conseguentemente vivere questa novità di vita, lasciandoci guidare dalla Sua Parola, che è verità e quindi il significato autentico di tutte le cose e nostro vero bene, cioè l’indicazione della nostra vera felicità. Tutta la vita allora si illumina di una luce nuova, di un significato nuovo, di una “pace” (gioia) che nessuno potrebbe darci se non Dio solo.

Non è facile, come non sono facili le cose più importanti della vita (ma abbiamo detto sopra che i sacrifici sono intelligenti quando sono per un “di più” di vita), ma è la cosa più bella della vita, il ciò per cui siamo nati. Se abbiamo vissuto questa vita nuova di Cristo e soprattutto se siamo trovati in questa comunione al momento della morte, allora parteciperemo per sempre ed in pienezza a quella vita divina che abbiamo cominciato a vivere già in questa vita.