Phos - Giovani n. 4

Abbiamo visto che porsi la questione dell’esistenza di Dio non è affatto una domanda inutile, ma è anzi quella più importante e decisiva per l’esistenza (n.1); abbiamo poi scoperto che credere in Dio non significa affatto ignorare le leggi scientifiche, ma anzi proprio la scoperta scientifica della formazione e costituzione dell’universo ci rende ancora più certi della Sua esistenza (n.2).

Abbiamo quindi visto (n.3) che l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, dalla preistoria ad oggi, ha sempre non solo creduto all’esistenza di Dio, ma ha anche cercato un “rapporto” con Lui ed ha sentito questo legame come necessario per la vita; le religioni nascono proprio da questo bisogno profondo dell’uomo e sono l’espressione (nonostante tutte le loro differenze) di questo tentativo d’entrare in rapporto con Dio. Sapere che c’è Dio, sapere Chi è, sapere perché siamo al mondo e che senso ha la nostra vita, sapere cosa c’è dopo questa vita, se c’è quella felicità infinita che cerchiamo tanto in questa vita, e cosa dobbiamo fare per entrarvi: queste sono sempre state le domande di fondo di ogni uomo. L’uomo di oggi è spesso tentato di poter fare a meno di queste domande e di queste risposte, e crede di potersi accontentare di cose “da fare” o “da avere” o di quei pezzetti di felicità che possiamo incontrare in questa vita, ma poi si riscopre vuoto e più infelice che mai e sente - anche se non sempre chiaramente - che quelle domande ritornano fuori dal profondo del cuore, e che a nulla serve cercare di non sentirle e di stordirsi con tanti tipi di “alienazioni” (stordimento della mente per non pensare mai)!

Ma l’uomo può trovare risposta? Non è irraggiungibile? Non è troppo grande il problema?

Anche i più grandi pensatori dell’umanità, che pur si sono talora molto innalzati nelle loro scoperte ed hanno permesso all’umanità di godere di “pezzi di verità” anche molto elevati, hanno talora sentito dentro questa specie di “grido”: come sarebbe bello se Dio stesso ci venisse incontro, ci rivelasse la risposta, desse compimento a questo nostro desiderio!

Ecco: questo è realmente accaduto nella storia! Ed è incredibile riscontrare oggi come la maggior parte degli uomini, anche là dove lo hanno saputo per secoli, ora non lo sanno più!

Dio infatti non è solo cercato dalle religioni (e, in fondo, dal cuore e dalla mente di ogni uomo, anche se si dicesse ateo), ma si “rivelato” Lui stesso! Ha parlato attraverso il popolo ebraico (dal 1.800 a.C. all’anno “0”, cioè a Cristo). E poi è venuto Lui stesso, in carne ed ossa, cioè facendosi uno di noi, per farci partecipi per sempre della Sua vita! Ora vediamo anzitutto se sia vero che Dio stesso si è rivelato agli ebrei. Poi (n.5) vedremo se sia vero che si è fatto uomo.

 

Dio si è davvero rivelato agli ebrei?

 

L’originalità della religione ebraica, rispetto a tutte le altre religioni (tranne il cristianesimo, che ne è il seguito ed il compimento, come vedremo), è che in questo caso non siamo di fronte solo al tentativo umano di legarsi a Dio, come appunto avviene in tutte le religioni, ma abbiamo un intervento di Dio stesso nella storia di un popolo. La consapevolezza originale del popolo ebraico è appunto quella di essere oggetto di una particolare RIVELAZIONE dell’unico vero Dio. Gli ebrei credono cioè non solo che il loro Dio sia quello vero (questo lo credono evidentemente tutte le religioni), ma che Dio stesso (l’unico!) si sia loro rivelato, li abbia scelti, per parlare, attraverso di essi, a tutta l’umanità.

Vediamo se abbiamo delle “prove” per ammettere questo, se esistano cioè degli elementi per dire che effettivamente Dio si sia loro rivelato e non sia invece una loro illusione o presunzione.

Dio si rivela nella storia del popolo ebraico per 18 secoli, da Abramo all’anno 0, ed è quello che noi chiamiamo Antico Testamento (Antica Alleanza), cioè la prima parte della Bibbia. La Bibbia, infatti, più che essere un libro[1], una teoria, è una storia; si chiama infatti “storia della salvezza”[2]. Come Dio si è fatto conoscere? Attraverso fatti e parole.

Attraverso fatti vuol dire che Dio si manifesta appunto attraverso la storia, cioè gli avvenimenti di quel popolo. Il popolo ebraico capisce pian piano, con l’aiuto dei profeti, che ciò che capita non è solo il frutto delle decisioni umane e neppure di un “destino” già fissato[3], ma è l’incontro di due libertà: quella suprema di Dio, che nel suo amore chiama l’uomo ad entrare in comunione (Alleanza) con Lui, e quella, limitata ma reale[4], dell’uomo, chiamato all’obbedienza a Dio, cioè alla verità. Il popolo ebraico capisce cioè pian piano (talvolta anche a proprie spese) quello che ogni uomo sarà poi chiamato a capire: che la storia (personale e sociale) va verso il meglio o verso il peggio non per un caso o per un destino indipendente dalle nostre volontà, ma in base alla nostra obbedienza o disobbedienza a Dio e alla sua parola[5] (“La Legge”=Torah).

Abbiamo delle prove per poter ammettere questo? In effetti, la sola casualità o naturalità dei fenomeni non è sufficiente per spiegare quello che accade in quella “storia”[6].

Attraverso parole significa che alcuni uomini, chiamati “profeti[7], sono “ispirati” da Dio, per spiegare al popolo ciò che Dio è e quale sia la sua volontà (d’amore) nei nostri confronti, cioè quello che vuole per noi e da noi. Il profeta indica quindi il significato della vita e ciò che si debba fare, ma con l’esatta consapevolezza che ciò che dice o scrive non viene da se stesso ma è veramente parola di Dio, espressione della Sua volontà, esplicitazione del Suo disegno d’amore. Abbiamo delle “prove” per dire che quei profeti non siano degli illusi o dei presuntuosi, ma che Dio parli effettivamente attraverso di loro? Sì, ad esempio: umanamente non hanno le capacità per dire quello che dicono quando sono ispirati da Dio (tra l’altro questa ispirazione può anche essere temporanea); ci rimettono a fare i profeti, ma non tacciono quello che devono dire a nome di Dio, anche a costo della morte; si realizza quello che dicono[8].

Cosa indica questo per la nostra vita? Se Dio si è davvero rivelato, allora non è più ammissibile una ignoranza di Lui e della Sua Parola, né vivere come se questo non fosse accaduto.


 

[1] è anche un libro (“Biblia”= i libri; è infatti l’insieme di 73 libri (46 A.T.+27 N.T.), ma originalissimo, anche nella sua formazione, praticamente senza autori umani, scritto in oltre 1.000 anni e con tradizioni orali ancora più antiche;

[2] è la “Rivelazione di Dio” creduta da ebrei, cristiani e musulmani (il che vuol dire, ancora oggi, dalla maggioranza assoluta della popolazione mondiale!). Anche gli ebrei riconoscono però che da 2000 anni Dio tace ed il Messia promesso deve ancora venire. Invece per i musulmani (Islam) quella rivelazione di Dio (Allah, in arabo) è continuata con Gesù di Nazareth (creduto però solo come profeta) e si è conclusa con il profeta Maometto (VI sec.d.C.), con l’ispirazione del nuovo libro sacro, il “Corano”. Noi cristiani sappiamo (e ne abbiamo le prove, come vedremo) che il Dio, unico e vero, che aveva parlato agli ebrei, si è poi fatto uomo ed è Gesù di Nazareth. Nato in quel popolo ebraico, che proprio per questo era stato scelto, è Lui il Messia (=Cristo) atteso, molto di più di un profeta, perché è vero Dio e vero uomo, e proprio perché è Dio-fatto-uomo in Lui si compie la salvezza dell’uomo, di ogni uomo. Per questo non c’è più rivelazione di Dio dopo di Gesù Cristo, perché tutto “si è compiuto” in Lui!

[3] credenza della maggior parte dei popoli dell’antichità (e che sta tornando anche oggi - si pensi all’idea di destino, di fortuna/sfortuna, all’oroscopo, porta bene/male, ecc. - tanto più quanto diminuisce la fede nel Dio biblico);

[4] l’idea che l’uomo sia libero entra nella storia umana proprio per merito della religione ebraico-cristiana, come pure l’idea di storia lineare (invece che circolare), che tende verso un compimento;

[5] la vicenda umana si gioca cioè tutta nella “fedeltà” (parola chiave della Bibbia) o infedeltà a Dio che chiama;

[6] pensiamo ad esempio all’esperienza fondamentale della Pasqua ebraica, cioè alla grande vicenda storica della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, del cammino verso la Terra promessa, e l’Alleanza con Dio sul Sinai;

[7] il nome profeta non vuol dire “indovino”, ma “portavoce di Dio” (anche se, come tale, può dire anche cose future);

[8] notiamo infatti che il popolo ebraico, in quei 18 secoli, pur essendo assai limitato come civiltà e ricchezza rispetto agli altri popoli contemporanei, li superano però infinitamente nella conoscenza di Dio e dell’uomo, tanto è vero che quella sapienza, proprio perché di origine divina, è nella sua sostanza valida anche oggi (sia a riguardo di Dio, che dell’uomo e delle sue leggi morali); come dimostra sempre la diffusione e l’incidenza della Bibbia su gran parte dell’umanità, anche contemporanea