I cent'anni di don Primo Mazzolari
Nel cuore di tanti preti continua a risuonare la sua voce
I. A Rovigo - Sentirsi poveri, per ritrovarsi fratelli, con la più povera delle mamme, la Madonna
Siate doppiamente benvenuti, cari Bozzolesi, anche perché a me personalmente voi recate un motivo di particolare commozione: siete i parrocchiani di don Primo Mazzolari, che purtroppo non ho mai visto, ma che credo di conoscere abbastanza bene, perché nessuno dei suoi scritti mi manca. E posso assicurarvi che mi è stato maestro e guida; posso e devo attestare, con infinita riconoscenza, che è stato tante volte il mio ispiratore, fin dagli anni roventi della guerra, quando chierico meditavo sul suo Impegno con Cristo.
Don Primo è stato più di una volta a Rovigo e in Polesine e ha visto il Delta che è l'emblema della nostra terra posta tra i due grandi fiumi.
In una sua pubblicazione, edita nel 1931, auspica un pellegrinaggio in Polesine con meta Pomposa per vedere «col cuore (sono sue parole) come si vive tuttora in terra cristiana e come costi, laggiù, la testimonianza cattolica. Questo pellegrinaggio non smorzerebbe gli entusiasmi, ma darebbe ai cattolici quella serietà e quella dignità che sola ci può rendere rispettabili e rispettati dagli stessi avversari».
«La missione della cristianità italiana - suggerisce don Mazzolari - dovrebbe cominciare da Pomposa (l'antica abbazia benedettina). La Madonna del Delta non sopporta più di vedersi guardata come un oggetto da museo e la sua grande casa vuota offende la sua materna carità. Se i benedettini non si sentono di riprendere il loro posto di pionieri accanto ai braccianti del Polesine, altri salgano in cantiere ma con animo così distaccato da ogni riguardo e da ogni considerazione temporale che ci sia luogo nel loro cuore unicamente per la pietà».
Nella agonia dei braccianti del Basso Polesine, «Cristo è in attesa che qualcuno dei molti che dicono di volergli bene, gli renda testimonianza lungo la strada che scende da Pomposa a Chioggia, da Pomposa a Comacchio, come gliela rese un giorno il Samaritano lungo la strada che scende da Gerusalemme a Gerico».
Poiché questa è la consegna che nessuno può cambiare «Va' e fa' anche tu lo stesso!»
Ecco, allora, che la vostra venuta in Polesine, la vostra visita a questo Santuario, che sta al centro della Provincia del Delta, potrebbe essere intravista come un postumo almeno simbolico esaudimento di un grande sogno, di un voto ardente di don Primo.
«I poveri devono volersi bene: tutti devono volersi bene, ma i poveri ancor di più e coprirsi a vicenda. Non abbiamo altra ricchezza: se la perdiamo, ci resta una povertà torbida. E per ritrovarsi fratelli bisogna sentirsi irrimediabilmente poveri».
Oggi, tutti assieme, noi della Bassa, riconosciamo questa uguale indigenza che ci accomuna. «Dovrebbe spartire chi ha molto; ma se egli non lo fa, il povero si metta al suo posto e spartisca il poco che è veramente suo, se vuole avere il diritto di parlare in nome della giustizia, e al Padre in nome della carità».
Oggi, cari amici di Bozzolo, siete voi che spartite con noi.
Nella prossima primavera, se lo gradite, vorremmo essere noi a spartire con voi, nella vostra terra, presso la tomba del vostro parroco.
Non posso e non riesco a nascondervi la mia confusione nel rivolgermi a voi. Ci vorrebbe lui, quest'oggi, al mio posto, con la sua figura, che in tutto l'aspetto, prima ancora che nella parola profetica (direbbe il card. Lercaro), lasciava trasparire l'anima perennemente ansiosa.
Perché don Mazzolari era un ansioso. E d'ansia visse: un'ansia che nasceva dall'amore, che s'ancorava alla certezza di una fede quadrata, che fioriva in speranza.
Vi avrebbe detto forse in questa circostanza, come già vi disse altra volta: «Non siete venuti a trovare una dama, non siete venuti a trovare una regina: siete venuti a trovare un Donna, come le vostre spose, come le vostre mamme, come le vostre figliole.
La più povera delle mamme, la più povera delle donne; ecco la Madonna. Talvolta, noi perdiamo il senso vero della realtà di Maria, e quando la rappresentiamo le mettiamo sempre delle corone sulla testa, delle corone d'oro, quando - povera figliola - non aveva forse neanche un fazzoletto per legarsi le trecce.
C'è qualcuno che si vergogna a venire a trovare questa Donna, che non ha niente di straordinario ma che in fondo è la povertà che si glorifica attraverso la beatitudine della carità, del sacrificio, dell'umile vita quotidiana».
Aveva ragione don Mazzolari perché non è tanto nella contemplazione entusiastica delle sue glorie che veniamo incoraggiati nelle angustie della nostra vita di ogni giorno, quanto invece dalla meditazione della sua condizione terrestre.
L'attuale posizione che Maria ha nei cieli è a tutti di sommo conforto, ma lo è anche la conoscenza delle reali difficoltà, limitatezze e contraddizioni che ella ha attraversato prima di ogni altro, sulla terra.
Quello che anche il Concilio ha voluto evitare (e anche qui don Mazzolari è stato profeta e precorritore) è una devozione a Maria avulsa dalla vita. Prima di sentire la gloria, l'uomo sente le asprezze della propria esistenza, prima del cielo sente la terra; per questo anche il nostro incontro con lei è più vivo e più personale quando è riportato su basi comuni, non su ciò che distacca ma su ciò che avvicina e unisce.
«Comunque qualcuno - continua don Mazzolari - si vergogna a venire a salutare una Donna che non ha niente di eccezionale ma che la storia ha esaltato perché le parole che Ella ha detto incominciano ad applicarsi a Lei.
Voi conoscete il Magnificat: è una delle poche parole della Madonna. Pochissime parole lei ha pronunciate, perché la gente che vale parla poco, e quando parla, parla con saggezza e dice delle parole che rimangono, e rimangono anche se noi le dimentichiamo.
Che cosa ha detto Maria nell'incontro con la sua cugina?
Prima di tutto ha esaltato il mistero che in Lei si compiva: il Mistero della Maternità divina e della Redenzione vicina. Poi dice: «Deporrà dai troni i potenti ed esalterà gli umili; i ricchi manderà via a mani vuote, ai poveri le ricolmerà».
Il Magnificat è la più bella preghiera del povero.
Ed è la prima protesta delle disuguaglianze sociali, perché Maria non protesta contro i beni della terra, contro le ricchezze, ma contro chi non le sa amministrare.
Ecco come la Madonna ha sentito il momento più alto dell'uomo che è il momento della giustizia e della fatica.
Qualcuno si è vergognato a venire a vedere le mani della Madonna che non sono impiastricciate, non sono inanellate, ma che sono le mani di una creatura, che nella sua vita ha lavorato, aiutato e benedetto. Qualcuno si vergogna a mettere la sua mano di lavoratore vicino alla mano della Madonna. Ma a chi darete la mano?».
Questo vostro pellegrinaggio si inserisce in un momento speciale della vita della Chiesa.
Siamo nella fase preparatoria dell'anno santo, che come disse il Papa, vuole essere un periodo di rinnovamento spirituale e morale e vuole trovare la sua espressione caratteristica nella riconciliazione, cioè nella ricomposizione dell'ordine di cui Cristo è principio. Dopo aver definito questo momento profetico di maturazione cristiana... «Un passo in salita, un'acquisizione di umanità penetrata dallo Spirito vivificante del regno di Dio», Paolo VI si domandava quale poteva essere l'aiuto che ci abilita ad osare, a sperare le finalità dell'anno santo. E additava la Madonna necessaria, indispensabile accanto a Gesù per un esito rinnovatore dell'anno santo.
E aggiungeva: «Dobbiamo conoscere meglio Maria come modello autentico e ideale dell'umanità redenta. È la Donna vestita di sole nella cui visione si devono abbagliare i nostri occhi, tanto spesso offesi e accecati dalle immagini profanate e profanatrici dell'ambiente pagano e licenzioso da cui siamo circondati e quasi aggrediti. La Madonna è il tipo sublime non solo della creatura salvata dai meriti di Gesù; ma anche il tipo dell'umanità pellegrinante nella fede.
Inoltre dobbiamo aver fiducia nella sua intercessione. Dovremo pregarla, invocarla. Ella è buona e potente, conosce i bisogni e i dolori umani. Dobbiamo rinverdire la nostra devozione verso di Lei, se vogliamo ottenere lo Spirito santo ed essere sinceri seguaci di Gesù».
Ci direbbe ancora don Primo: «Cristo ama la Madre in ognuno di noi, che dal suo sacrificio veniamo redenti e adottati come figlioli di Maria».
«Nel giorno dell'incontro sulla strada del Calvario, Cristo avrebbe potuto dire alla Madre: "Vado a morire perché tu abbia tanti figlioli liberi; perché tutte le madri possano guardare i propri figli senza spavento”».
Cari amici di Bozzolo, tornate a casa, dopo questa graditissima visita con la certezza che due occhi di mamma vi seguono, un cuore amoroso batte anche per voi, una mano soccorritrice vi è sempre protesa.
II. A Bozzolo - Il grande amore per la parrocchia di campagna
Per alcuni di voi non siamo sconosciuti; per tutti voi non ci sentiamo degli estranei, qui casualmente arrivati. Siamo amici che vogliono sigillare, attorno all'altare, non solo il vincolo che ci accomuna nella stessa fede ma anche quello che ci unisce nella memoria e nell'affetto verso don Primo Mazzolari. Siamo qui per continuare con alcuni e avviare con tutti un dialogo di comunione nell'ascolto di una voce che in questa chiesa non s’è spenta e che nei vostri cuori ancora risuona, consolatrice e stimolatrice...
Siamo qui per fare unità con voi.
«La carità che conduce all'unità - diceva don Primo - è il ritrovarsi di tante facce in una faccia sola (...). Se noi, in quest'ora di frammentarietà, avessimo la saldezza della carità, la chiesa sarebbe trionfante! Se noi avessimo l'unità, il mondo non sarebbe la povera cosa che è!».
Per questo abbiamo ripercorso la stessa strada che nell'autunno scorso vi ha condotti in 200, pellegrini di Maria, in mezzo a noi, tra la gente del Delta che don Primo ha visto, nel Polesine che tante somiglianze ha con la vostra terra.
Veniamo da Rovigo, piccola città, che don Primo ha conosciuto e dove più volte ha portato la sua irruente parola.
Siamo venuti pellegrini alla tomba di don Mazzolari per fare anche nostro il vostro rimpianto e per attingere presso di lui la forza di vivere «amorevolmente, integralmente, impegnativamente» la nostra povera fede (...).
Siamo qui per una preghiera che si fa canto, si fa alleluia per don Primo vivo nella «grande casa dell'Eterno che non conosce assenti» (dal "Testamento").
Purtroppo non ho mai visto don Mazzolari, anche se son passato per Bozzolo quando era ancora con voi (...).
Tante volte sono stato qui, in questi ultimi 13 anni. E ogni volta ne son partito rasserenato. Quando la sua salma fu tumulata nella sua chiesa, tra la folla, c'ero anch'io.
Il mio incontro con lui, è avvenuto, come per tanti, attraverso i suoi scritti, fin da quando possedere un suo libro era un diventare degli indiziati.
Fatto pure io prete, l'ho guardato sempre con ammirazione come il saggista, il polemista, il segno di contraddizione, il contestatore ubbidiente per tutte le stagioni, ma soprattutto ho cercato in lui un modello e mi son lasciato sedurre da lui, il pastore d'anime, amico della povera gente, parroco dei lontani, il tira-tutti, il testimone che ha pagato, un prete così, Primo Mazzolari sacerdote , come dice l'iscrizione sepolcrale.
Per quasi 20 anni sono stato cappellano e parroco in una grossa borgata che tante affinità aveva con la vostra. La composizione sociale, la situazione economica, le tradizioni e le prevenzioni erano quasi le stesse, il bisogno materiale e spirituale quasi uguali.
Motivi di scoramento, tentazioni di piantare tutto non mancavano. Ho cercato un modello concreto: l'avevo già conosciuto.
Don Primo mi ha tanto aiutato.
E son qui per dirgli il mio grazie.
Ho sentite mie quelle sue parole: «Mi son stancato di tutto, fuorché di fare il parroco. Vuol dire che è il nostro vero mestiere, che la famiglia la ritroviamo con una chiesa sul cuore, che ti schiaccia e ti porta».
E quando, pochi anni fa, sono stato chiamato dal Vescovo all'incarico attuale, ho sentito ancora per me quella pagina che si legge nel suo romanzo autobiografico: Tra l'argine e il bosco (“Mane nobiscum: una lettera al mio parroco”). Prima di decidermi l'ho tante volte riletta. C'è tutto il suo grande amore per la parrocchia di campagna.
«Corre voce che ci vuol lasciare (...).
Se ciò si avverasse, il mio dispiacere non riguarderebbe quello che ella potrebbe raggiungere di più tranquillo, di più soddisfacente nel ministero, ma quello che noi perdiamo (...).
Benché l'uomo non sia elemento essenziale in un ministero di grazia, tuttavia, per chi ha una fede comune, il valore umano del sacerdote non è trascurabile.
Ecco perché ci si affeziona a lui più per quello che è che per quello che rappresenta, rovesciando quasi consapevolmente i termini, senza aver la forza di fare diversamente (...).
Mi perdoni se le scrivo che per fare il parroco di campagna ci vuole non un funzionario ma un apostolo doppiato di poeta (...). Io credo che bisogna nascere poeti e sapersi serbar tali per non disdegnare la cura d'anime in campagna. Senza poesia non c’è fede; senza poesia l'apostolo muore; senza poesia un parroco diventa un seppellitore; senza questa poesia di fede non si può tenere un posto di combattimento che ha solo rischi non veduti né contati dagli altri e comodità e silenzi che possono diventare una tomba (...).
Poveri cari preti di campagna!
Mi par di sentire fin dove essi sentono e più in là... seguo le loro ripulse e le trovo ragionevoli e tremo per l'amarezza che accumulano, per le disillusioni che mietono, per la poesia che si perde nel tedio assolato dell'estate o durante le nebbiose interminabili sere d'inverno (...).
Poveri cari preti, seguo tremando il loro fatale incedere verso l'anima di funzionario, di salariato.
Così parecchi se ne vanno verso la città, ove conta più la carta che l'anima (...).
Se il superiore la chiama, ella andrà, deve andare. Non saremo noi che glielo impediremo. Ci chiuderemo la pena nel cuore e la saluteremo sorridendo, pregando il Signore che laggiù, tra le pratiche d'ufficio e il clamore delle radunate festive, ove c'è l'eguale vanità delle riviste militari e un eguale inganno, la nostalgia della nostra chiesa così povera, ma cosi affezionata, non le punga il cuore come un peccato di diserzione».
Non me ne vogliano i miei nuovi figli della Commenda di Rovigo se anche per loro faccio questa confessione. Quel peccato di diserzione mi punge ancora nel cuore. Capiranno che ho voluto restare il parroco di trapiantato in città, con la nostalgia di un'esperienza ricchissima.
Nel testamento, don Mazzolari scrive: «Il tornare a Bozzolo fu sempre come tornare a casa e il rimanervi una gioia così affettuosa e ilare che l'andarmene per sempre l'avverto già come il pedaggio più costoso».
Era la prima domenica di Pasqua quando don Primo fu colpito dal malore che doveva, dopo pochi giorni, riportarlo alla Casa del Padre. Come oggi! La Passione e la Pasqua erano gli eventi più vicini all'animo suo, quelli che soffriva di più e maggiormente trasfondeva nelle sue liturgie anticipatrici, nelle sue feconde riflessioni.
Ha scritto il vostro Sindaco: «Passione e Pasqua sono stati i suoi temi più congeniali. Con la Pasqua ha desiderato, ha ricercato, ha avuto appuntamenti decisivi in funzione della sua pastoralità. E la Provvidenza gli ha concesso di celebrare e di vivere più intensamente delle precedenti la sua ultima Passione e la sua ultima Pasqua terrena».
Nel contesto della liturgia pasquale c'è ancora un rapporto con lui. Nella parola di Dio oggi rivoltaci, trovo ancora una rispondenza e una risonanza che senza far torto alla sacralità del contenuto oso parafrasare e a lui dedicare.
Seconda lettura: «Io, Primo, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, mi trovavo nell'isola chiamata Bozzolo, a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù. Rapito in estasi, nel giorno del Signore, udii dietro di me una voce potente, come di tromba (tromba dello Spirito Santo nella bassa mantovana - pare abbia detto di lui papa Giovanni) che diceva: “Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alla sette chiese...”. Ora, come mi voltai per vedere chi fosse colui che mi parlava, vidi sette candelabri d'oro e in mezzo c'era uno simile a un figlio di uomo. Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la destra, mi disse: “Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo, e il Vivente! Scrivi le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo”» (cf Ap 1, 1-19).
Ne La più bella avventura, don Primo ha scritto: «Io non posso negare di averlo visto, anche se non riesco a farvelo vedere».
Ora, don Primo vede il Figlio dell'uomo, a faccia a faccia.
don Armando Ottoboni |