Parrocchia di Lizzanella  

 

Sergio Martini di 

è l’unico dilettante "puro" che ha scalato 

tutti i 14 “ottomila”

 

Everest (parete sud-ovest) - alt. m. 8.872 

(soggetto a sensibili ed irregolari sollevamenti tettonici). 

 

                        

Sergio Martini, nato nel 1949 a Lizzanella, dove risiede, è l'ottavo alpinista a raggiungere il traguardo, dopo Reinhold Messner, Jerzy Kukuczka, Erarh Loretan, Carlos Carsolio, Krzystof Welicky, Fausto De Stefani e Uanito Ojarzabal. Ma, a differenza di coloro che l’hanno preceduto nell’impresa, è l'unico ad essere un dilettante puro.

Tra aprile e maggio 2000 era impegnato con una troupe della Rai di Trento, per girare un film in Himalaya, sulle pendici dell'Everest e del Lhotse. Al termine del lavoro con il regista Giorgio Balducci ed il cameraman Sandro Tamanini, entrambe ottimi alpinisti, Sergio è rimasto al campo base, per ripetere una montagna che aveva salito con il brutto tempo e che desiderava gustare in una dimensione diversa. E' così ritornato sul Lhotse che, con i suoi 8511 metri, è il quarto ottomila della terra.  

 

Sergio Martini racconta le sue conquiste

Una serata di quelle che difficilmente si dimenticano, tra suggestive istantanee di cime himalayane, musica tibetana, brani letterari sul tema del viaggio, e, soprattutto la testimonianza di un alpinista che non ha bisogno di presentazioni: con Sergio Martini la manifestazione primaverile «S. Marco, magia in fiore» è entrata nel vivo, e ha suggellato il successo della proposta degli organizzatori .
Oltre duecento persone erano assiepate tra la sala del caminetto e l´atrio del palazzo dove hanno seguito le immagini delle cime dell´Everest e del Cho Oyu, il racconto di viaggio con le sue difficoltà e gioie straordinarie, le melodie sacre e profane del Tibet, introdotte dall´etnomusicologo Ignazio Macchiarella, e la recitazione di brani da David Neel a Marco Polo. La montagna, ma soprattutto la presenza di un testimone eccezionale, ha attratto tanti, che non sono rimasti delusi.
Al termine della serata abbiamo incontrato Martini, per fare il bilancio della sua carriera, ma anche per sondare il terreno dei suoi progetti e per cercare di svelare qualcosa della sua personalità.
Martini, un migliaio di scalate, il completamento della conquista degli Ottomila. Quale bilancio di questa straordinaria attività?
Fare bilanci significherebbe aver concluso, aver posto fine ai progetti e ai sogni. La voglia di intraprendere esperienze nuove, di affrontare nuove sfide c´è sempre, illimitata, nessun bilancio quindi finchè non si mette il punto.
Il recente completamento dei 14 Ottomila che sensazione le ha arrecato? Vittoria, successo?
No, niente di tutto questo. A dire la verità si tratta di 16 Ottomila (sorride). Ciò che resta è la soddisfazione di aver raggiunto un traguardo, di riuscire a portare a termine ciò che si era prefissato, passo dopo passo, senza pensare a quello che si potrà fare dopo ancora. La soddisfazione di aver concretizzato un´aspirazione, aver verificato le proprie capacità, seguendo regole che tu ti dai, in un clima di libertà.
Qualche progetto in cantiere ?
Certo, ma preferisco non rivelare niente. Non amo farmi pubblicità, sbandierare prima le mete. Se tutto va bene, se realizzerò qualcosa di buono, allora ve lo racconterò. E´ una questione anche di tranquillità personale: se taccio rendo conto solo a me stesso, e dato che le spedizioni richiedono un impegno psicologico notevole, la tranquillità è per me importante.
A proposito: che ha da dirci sulla preparazione psico-fisica a imprese sulle cime più alte del mondo?
Ciò che conta non è tanto la preparazione fisica, l´allenamento, la tecnica, ma proprio la condizione psicologica, lo spirito di adattamento e di resistenza, la capacità di partire verso mondi lontani e diversi, impegnativi, lasciando le comodità quotidiane. E´ uno spirito che si ha, come dire: è portato per…

Lasciare le comodità quotidiane per affondare rischi non da poco, come ha detto prima, raccontando e mostrando la salita all´Everest, incontrando sulla strada anche morti, sepolti dalla neve e dal ghiaccio. Cosa l´ha attratto della montagna e le fa superare le paure ?
Il fatto di abitare in Trentino, qui, a Lizzanella, vicino ad una palestra di roccia, mi ha spontaneamente spinto verso la montagna, più vicina e poi più lontana. Mi ha spinto credo la curiosità di uscire dal solito ambiente quotidiano e di essere finalmente protagonista di ciò che faccio. La curiosità di conoscere, l´amore per il movimento, l´emozione di guardare anche cose banali come una roccia animate dalla fantasia, da una luce particolare.
In tanti anni di esperienze, un trentennio dalla Patagonia, cosa è più cambiato della montagna?
Direi che purtroppo sia qui che sul Tibet è cambiato l´aspetto economico, vale a dire che se qui si costruisce troppo, cancellando valli e paesaggi suggestivi e importanti, là si assiste ad uno sfruttamento turistico impressionante, sui campi base e sulle cime tantissima gente da tutto il mondo.
Quale impresa rifarebbe e quale no? Soprattutto: perché?
Non rifarei quelle più rischiose o legate a fatti tragici. Parto con la speranza di vivere momenti belli e arricchenti. Consapevole che se si arriva in cima è soprattutto per fortuna. La montagna che più mi ha affascinato è il K2, ma quella che mi ha entusiasmato maggiormente il Makalù: siamo partiti in 4 dall´Italia, e siamo arrivati tutti in cima. E´ il gruppo, il rapporto umano, uno degli aspetti più importanti di una scalata.

da l'Adige,    a cura di NICOLETTA REDOLFI

Intervista a Sergio Martini (fatta da Pierangelo Giovanetti, direttore de L'Adige dal novembre del 2006) in occasione del Filmfestival della montagna dell'aprile 2003 e pubblicata il 26.04.2003: 

Di PIERANGELO GIOVANETTI

Martini, trenta-quarant´anni fa le Dolomiti e le Alpi facevano notizia per le leggendarie imprese degli alpinisti che ne raggiungevano le vette. Oggi le nuove frontiere dell´alpinismo si sono spostate altrove. Per l´alpinismo Alpi e Dolomiti sono ormai definitivamente sorpassate?
«È inutile nascondersi: cercare di realizzare qualcosa di nuovo nelle nostre montagne è impossibile. Tutte le cime, tutte le vette, tutti i record possibili sono stati raggiunti. È evidente quindi che l´alpinismo vada in giro per il mondo in contesti extraeuropei alla ricerca di ciò che le nostre montagne non possono più dare. Io non credo però che l´alpinismo sia morto sulle nostre montagne. Si ripercorrerà il già fatto, cercando di trovare qualcosa di nuovo: o arrampicandosi in solitaria, o facendo il free climbing, cimentandosi in arrampicata libera. È evidente, però, che bisognerà muoversi sul già vissuto. Si inventeranno cose nuove che oggi sono impensabili come ai miei tempi erano impensabili cose che oggi si fanno comunemente».
Come l´arrampicata in fondovalle nelle palestre di roccia?
«Esattamente. Chi avrebbe mai pensato che oggi la «massa» degli alpinisti avrebbe preferito le falesie di fondovalle, dove l´ambiente e lo scenario alpino sono tenuti in minor conto rispetto al gesto atletico, al divertimento, senza le implicazioni psicologiche che ha invece l´arrampicata sulla vetta. Questo per dire che l´alpinismo è in continua trasformazione. Ci sarà sempre qualcuno che affronta la stessa vetta con qualcosa di nuovo, o in maniera diversa».
Secondo lei la crisi della montagna, delle nostre montagne, è dovuta anche al fatto che i grossi nomi dell´alpinismo non le frequentano più?
«No, non credo. Poi farei una precisazione. È vero che le grosse imprese di alpinismo si sono spostate in altre parti del mondo. Questo anche per la maggiore facilità di viaggiare e i minori costi economici. Ma ci sono ancora alpinisti di livello che si cimentano in imprese ragguardevoli sulle nostre montagne. Solo che non fanno più notizia, non richiamano più l´attenzione che avrebbero avuto un tempo. Comunque non mi pare che ci sia un collegamento sul fatto che la gente non va più in montagna come un tempo e il fatto che non vi sono più imprese di spicco sulle Dolomiti».
E allora, da cosa è dovuto secondo lei questa disaffezione alla montagna, questa vera e propria crisi che sta vivendo il turismo montano?
«Il fatto è che la montagna è cambiata, non ha più le magie di un tempo. Pensiamo all´inverno, quando chi veniva sulle Alpi trovava la neve, un paesaggio, un´ atmosfera alpini. La neve artificiale rimedierà qualcosa sulle piste, ma manca l´atmosfera complessiva di un tempo. E poi c´è il discorso economico. Oggigiorno trascorrere una giornata sugli sci con la famiglia costa un occhio della testa. Non tutti se lo possono permettere. Il mare costa meno. Senza dimenticare che il mare ti dà la garanzia di fare quindici giorni al sole. La montagna no. E questo cambio climatico inevitabilmente comporta un cambio di gusti. Comunque io non parlerei di crisi della montagna...».
Non è crisi della montagna?
«Parlerei piuttosto di cambiamento di tendenze. I flussi della massa vanno dietro le tendenze. Oggi le mode spingono altrove. Io non mi spaventerei più di tanto. Uno deve andare in montagna perché gli piace, non perché è una moda. E io continuerò ad andarci».

Sergio Martini nominato socio onorario del Cai.

È stato lo stesso presidente del sodalizio alpinistico, Franco Giacomoni, a prendere la decisione nel corso dell'assemblea nazionale del Cai tenutasi a Varese. Martini va a far compagnia ai precedentemente nominati Cesare Maestri e Franco De Stefani. «È la Sat, Sezione del Cai, con la mia presenza, - ha detto Giacomoni alla cerimonia - che vuole sottolineare sino in fondo quanto questa proposta di nomina appartenga a tutto il Trentino della montagna e, di conseguenza, a tutto il Club Alpino Italiano. Ecco allora la consapevolezza di vivere un momento alto, che impegna e onora, assieme al timore di non essere atti ad illustrare la figura di Sergio rischiando, nel contempo, di smarrirsi nel prevedibile. Sarebbe infatti scontato sottolineare la caratteristica che lo contraddistingue, la riservatezza, l'assenza di fragore e posa, in ultima analisi, il silenzio. Il suo riserbo e soprattutto il suo assoluto e inconsueto disinteresse, per qualsiasi forma di celebrità, ne fanno uno degli alpinisti "romantici" nel circo himalaiano. Il suo è un alpinismo fatto di curiosità ed equilibrio, rispetto e contemplazione: mai clamore e ostentazione, secondo il più puro spirito accademico. Solo conoscendo il suo curriculum e il suo formarsi alpinistico potremo sperare di entrare, ancorché con discrezione e semplicità, nel mondo silenzioso e riservato di Sergio Martini: accademico del Cai, istruttore nazionale di alpinismo e scialpinismo, membro del Gruppo di Alta montagna francese. È nel 1966 la sua prima rilevante esperienza dolomitica quando, all'età di 17 anni, con Graziano Maffei salirà lo spigolo Nord dell'Agner e realizzerà il suo primo bivacco notturno. A 19 anni, con Marino Stenico salirà in Marmolada il pilastro Micheluzzi. In quell'occasione sarà lui a guidare la cordata. Una salita ardita, che servirà da trampolino di lancio a tutte le successive realizzazioni giovanili; tra queste, a 22 anni, la prima invernale del diedro Aste al Crozzon di Brenta con Mariano Frizzera e Donato Ferrari. Seguiranno l'apertura di nuove vie in Marmolada, Civetta e su altre splendide pareti dolomitiche. Tra il 1971 e 1972 giunge la sua prima esperienza extraeuropea. Martini partecipa infatti alla Spedizione Città di Rovereto al Fitz Roy in Patagonia. L'incontro fatale con le montagne più alte della terra avverrà alcuni anni più tardi, nel 1976, in occasione della spedizione delle Aquile di S. Martino, le Guide Alpine di S. Martino di Castrozza. Sarà un incontro che lo segnerà per tutta la vita, profondo, vero, a partire dal quale l'Himalaya diverrà la seconda dimora dell'alpinista roveretano. Dal 1983 iniziano i pieni successi. In quell'anno Martini raggiungerà la vetta della Montagna degli Italiani, lo spietato K2, 8611 metri, lungo lo spigolo Nord. In cordata con lui anche Fausto De Stefani, suo compagno di tanti altri Ottomila. Nel 1985 farà parte della cordata che realizzerà la prima italiana al Makalù salito per la parete Nord Ovest. Il Nanga Parbat 8125 metri lungo la via Kinshofer e l'Annapurna 8091 m. sono saliti da Sergio nel 1986. Il 1987 sarà l'anno del Gasherbrum II° mentre l'anno successivo, a distanza di 12 giorni l'una dall'altra, Martini inanellerà Shisha Pangma 8046 metri e Cho Oyo 8201. Nel 1989 chiuderà il conto con il Dhaulagiri. Quattro anni più tardi completerà il suo nono Ottomila, il Broad Peak 8047 m. Con l'Everest, raggiunto dal versante nepalese nel 1999, Martini concluderà tutti e quattordici gli Ottomila e sarà così il terzo italiano ad aver raggiunto questo record. Il mondo dell'alpinismo e della montagna è attualmente chiuso dentro mura costruite in piccola parte dalla nostra inadeguatezza a comunicarne i valori, ma in gran parte dalla ignoranza e dimenticanza dei mondi della cultura, dell'informazione, della politica contro le quali dobbiamo reagire. L'assenza di fragore, l'ostinazione nel prefiggersi e raggiungere il risultato nell'operare di Sergio Martini diventa quindi per noi un doppio invito e insegnamento: la necessità di non rinunciare a difendere i nostri valori, senza incertezze, con pazienza, con umiltà ma anche con caparbietà e senza timidezze; la consapevolezza che il nostro troppo parlare senza operare rischia di produrre echi che finiranno per confonderci».

 (dal quotidiano L'Adige del 23 maggio 2006)

Compie i  65 anni il 29 luglio 2014. 

L'Everest che ha raggiunto il 21 maggio 2009, dal

 versante Sud, fu il grande sogno che inseguiva da anni...

 

 L'alpinista Sergio Martini ha dato la bella notizia mentre scendeva dalla cima, ad una quota di circa 8.000 metri, quando ha incontrato Gnaro Mondinelli, che lavora alla stazione meteorologica di Share Everest. «Sergio ha fatto la cima - ha detto Mondinelli - È salito questa mattina. Adesso è in tenda che si riposa, è emozionato, è felice, si è commosso. È una grande notizia». La cima di ieri ha un significato particolare per Sergio Martini, l'alpinista di Lizzanella che ha «scoperto» l'Himalaya a 27 anni e da allora se ne è innamorato. In un'intervista di qualche anno fa proprio al nostro giornale raccontava: «Erano i miei anni ruggenti. Non mi rendevo conto che là c'è l'altitudine. Andai con entusiasmo, pensando di fare una camminata. Ero caricato nei confronti delle difficoltà ed avevo voglia di fare cose tecnicamente significative. Invece di tecnicamente significativo non c'è nulla. Invece c'è il clima, l'ambiente, l'ossigeno. Un mese ai piedi della montagna in una tendina». Per anni Martini ha esplorato le cime più alte del mondo: «Sul Dhaulagiri - raccontava ancora Martini - capii i problemi dell'Himalaya. Non giunsi in cima, ma la raggiunsero altri due della spedizione. Passarono alcuni anni ed alcune spedizioni prima di vincere un ottomila. Ebbi un approccio all'Everest e in quella occasione la cima sfumò per meno di cento metri, a causa del fortissimo vento. Il primo ottomila vinto fu il K2, nel 1983. E da allora, sistematicamente, ogni anno sono stato in Himalaya o nel Karakorum». La spedizione conclusa felicemente ieri mattina comprendeva uno spagnolo e una peruviana che però affrontavano la montagna in modo indipendente. Nessuna pubblicità né telefono satellitare con cui comunicare le imprese al mondo, la sobrietà di chi vive la montagna per se stessa: Sergio Martini è rimasto negli anni fedele a se stesso, felice di potersi muovere e godere del «gesto atletico» del salire e decisamente lontano da chi vuole a tutti i costi trasformare le conquiste in un circo mediatico. In fondo, non ha dimenticato che arrampicare significa tenere «le man su per i cròzi per zugo», come quando a dieci anni si divertiva con le bande a salire le collinette attorno a Rovereto...

Caro Sergio, adesso hai diritto ad un meritato riposo, a meno che...