Il crocifisso, che da qualche mese è offerto alla venerazione dei fedeli nella nostra bellissima chiesa, è una autentica novità. Lo abbiamo inaugurato ufficialmente negli Esercizi spirituali del dicembre di qualche anno fa, durante un suggestivo momento di preghiera guidato dal nostro Vescovo ausiliare e animato dal Coro diocesano dei giovani.La croce policroma venerata nella Parrocchia dei SS. Gioacchino e Anna di Roma

Nato per una pieve della campagna toscana, dopo alterne e penose vicissitudini, finalmente ha ritrovato il suo giusto collocamento nella casa di Dio.


Il dipinto si rifà ad uno stile e ad un’iconografia importati dall’oriente, e precisamente da Bisanzio. Uno dei massimo esponenti ne fu, sul finire del XIII sec., Coppo di Marcovaldo che interpretò fedelmente i prototipi che gli offriva la scuola bizantina, preparando la strada ai grandi maestri toscani, che svolsero, secondo un gusto e una sensibilità più tipicamente italiana, i paradigmi iconografici offerti dalla pittura orientale. 

Coppo di Marcovaldo era uomo di fede e d’azione: la sua fede è dimostrata dall’intensità emotiva che è riuscito a trasmettere alle sue pitture; l’azione ci viene testimoniata da alcune note della sua biografia: partecipò alle lotte comunali tra Firenze e Siena e fu fatto prigioniero nella battaglia di Montaperti. 

L’intensità e il pathos che si osservano nel volto dei personaggi dipinti da Coppo di Marcovaldo, come nelle opere che sono a lui direttamente attribuite e che si possono ammirare nel Duomo di Pistoia e nel Museo Civico di S. Gimignano, testimoniano quell’equilibrio di fede e azione, a cui Coppo sembra sia giunto molto vicino.

 

Ispirata a questi modelli, l’opera posta nella nostra chiesa coniuga elementi tradizionali dell’iconografia cristiana con elementi originali. La figura del Cristo esprime bene la compostezza del dolore nel momento del supremo sacrificio sulla croce; essa è accompagnata dalle figure, tradizionalmente presenti sotto la croce, di Maria e del discepolo prediletto, l’evangelista Giovanni. 

 

Del tutto originale è la presenza, all’estremità dei bracci della croce, di Mosè ed Elia, i personaggi che i Vangeli ci descrivono presenti nel momento della Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor. 

 

Essi stanno ad indicare molto opportunamente la forza trasfigurante dell’Amore di Cristo che si compie nel momento della sua Risurrezione: è questo Amore che fa passare Gesù da morte a vita! Ed è questo stesso amore che trasfigura la vita del cristiano, come avvenne anche per san Francesco: ...il  verace amore di Cristo aveva trasformato l’amante nell’immagine stessa dell’amato (san Bonaventura).


Non è stato il semplice gusto di cambiamento che ci ha spinto ad esporre quest’immagine alla devozione dei fedeli. L’attuale sistemazione di questa immagine bella e ricca di significato, acquisita grazie ad un autentico tocco della Provvidenza e che si inserisce magnificamente nella struttura architettonica della nostra Chiesa, di una severità quasi «romanica», deve essere compresa come il desiderio, nel riavvicinarsi alle antiche sorgenti della fede, di aiutare tutti a riscoprire nella preghiera un rapporto sempre più autentico ed affettuoso con il nostro Redentore.