Il primo Natale del Quartiere Ostiense
 
La luce del giorno era solita posarsi sugli arnesi sparsi nella sua baracca di legno. Il profumo di un caffè consumato come sempre di fretta, si mescolava all’odore del carbone che i carri cominciavano a trasportare dal fiume al deposito già dalle prime ore del giorno. Lentamente si risvegliava la vita, una vita confusa, fatta di fatica e sudore, di solidarietà ed amicizie strette sulla scena angusta del cantiere, gomito contro gomito. Un fiato di parole grosse scaldava l’aria fredda di quell’inverno: tra qualche giorno sarebbe stato Natale. Vincenzo lavorava li già da qualche mese; gli amici e gli altri operai lo chiamavano ‘Neno’, e cosi pure gli addetti Tedeschi che dirigevano la costruzione del primo impianto a Gas della città, preferivano rivolgersi a lui con questo nomignolo, visto che riusciva loro più facile. Il gigante di metallo si innalzava sulla sua testa come un incubo perenne, che regolava i pensieri ed i gesti della sua vita e di quella dei suoi compagni di lavoro, giorno dopo giorno. Odiato e opprimente, ma allo stesso tempo grandioso e imponente, era nella sua mente semplice come un ponte verso il cielo, come la sfida ad un futuro straordinario ed incomprensibile, che forse
non sarebbe mai arrivato a vedere. Neno sentiva che questo domani impossibile e radioso gli sfuggiva continuamente di mano, ma era tangibile nei suoi pensieri allo stesso modo di come il gigante di acciaio dominava la Riva Ostiense ed era già visibile da lontano, da Monteverde o dai punti più lontani della città. Si lavorava duramente, quasi senza soste, tranne quella per il pasto consumato tra un turno e l’ altro, e mai tutti assieme. La sera cominciavano i turni di guardia ma Neno non prestava questo servizio. Egli non aveva la pistola come gli operai della Società del Gas, che la portavano di notte per difendersi dai banditi che venivano a nascondersi o a regolare i loro conti, nei prati attorno la zona di lavoro. Quando alla fine della giornata saliva sul tram che lo riportava verso casa il sole era già calato, ed egli incontrava l’umanità brulicante di quei primi anni del secolo. Quella sera del 23 Dicembre, al termine del suo turno di lavoro, Neno cadde preda della stanchezza e senza rendersene conto, si addormentò in una delle baracche di legno costruite a ridosso del fiume come riparo per gli operai. Fu svegliato da un senso di freddo nelle ossa e provò un brivido. I rumori
dall’esterno gli giungevano lontani ed ovattati, presto si accorse di un insolito silenzio: i martelli avevano smesso di battere, le grida dei compagni che si chiamavano da terra al traliccio sembravano cessate, ed una insolita melodia di flauti, violini e chitarre ne aveva preso il posto. Si alzò di scatto, e quando si affacciò alla porta, la sera era già calata e tutto giaceva intorno a lui in una immobilità generale. Un  chiarore di candele natalizie accese, che lottavano col vento sferzante di quella sera, faceva da cornice ad una colonna di gente che stava traversando il ponte di ferro, e si dirigeva verso il campo di lavoro proveniente dalla parte di Trastevere. Vide donne, uomini, Magi, bambini e pastori come fossero usciti da un presepe; intonavano canti,
ed i loro passi affondavano sulla neve che era cominciata a cadere. Alla loro testa una donna teneva tra le braccia un bambino in fasce, al suo fianco c’era un uomo alto con la barba, un asino e un bue.  Neno era sorpreso, vedeva i compagni dell’ultimo turno di lavoro fermi ai propri posti; alcuni con un martello o una chiave in mano guardavano la scena incuriositi. Poi qualcuno di loro cominciò a togliersi il cappello da lavoro in segno di rispetto e di saluto. Incuranti delle esortazioni di alcuni capisquadra che li richiamavano al lavoro, fecero posto a quella gente nell’atrio del capannone più grande. Tutti si accomodarono e venne sistemato il bambino in una culla al centro del locale, nel punto più caldo e asciutto. Neno ebbe la sensazione di stare ad assistere a qualcosa di eccezionale, ma in modo spontaneo e naturale andò ad unirsi a quel gruppo di persone senza porsi troppe domande, col cuore ebbro di gioia.  Ormai nessuno parlava più, vi era come un tacito accordo tra tutti. Le parole erano superflue, tutto procedeva come in un rito antico e familiare, scandito da gesti lenti e colmi di gratitudine. Furono distribuiti fogli con parole di canti e di preghiere, il capannone era sufficientemente grande da accogliere tutti i presenti che si erano seduti in circolo. Fuori aveva smesso di nevicare, venne acceso un falò e servite bruschette, dolci, arance e cioccolato caldo. Quella piccola comunità rimase li insieme quasi fino al mattino, cantando e conversando, mentre la luce del fuoco proiettava lunghe ombre sulle pareti del vecchio mulino sito ai margini del Tevere. Le campane delle chiese di Testaccio e San Paolo cominciarono a suonare come per incanto, ed il loro suono cristallino si diffuse al di là del centro abitato, elevandosi al cielo oltre il campo degli operai, verso una dimensione ideale di vita e di lavoro, oltre i loro cuori di gente comune che pulsavano di una vita semplice e schietta. Il vento della città portò il loro canto fino al mare. Per quella notte non vennero organizzati gli incontri di pugilato che si tenevano clandestinamente nelle cantine vicino Porta Portese, ed i banditi si tennero alla larga dal posto. Quando arrivarono gli operai del turno successivo alle prime ore dell’alba, la folla si stava già diradando, e Neno sorrise delle loro facce incredule che facevano domande e battute. Poi stanco, felice ed insonne indossò la tuta blu e si apprestò a ricominciare una nuova giornata di lavoro assieme a loro, in quella mattina della vigilia di Natale. Tutto questo sarebbe rimasto per
sempre dentro di sé: la gente che si recava nel campo degli operai, la ferrovia con i suoi sentieri bianchi di neve che portavano in nessun luogo, il calore del fuoco, i volti accesi delle persone attorno a lui. Per una volta egli ed i suoi i compagni di lavoro non ebbero la sensazione di essere parte degli ingranaggi di quella spietata logica di produzione, di quelle macchine che loro stessi manovravano durante i primi anni della ormai lontana Epoca Industriale. Quella notte insegnò a Neno a non trascurare mai le cose dello spirito. Egli divenne parte dei suoi pensieri e dei suoi sogni senza mai arrivare ad esserne consapevole, abituato com’era a vivere e ad amare in maniera cosi diretta e spontanea.
 
                                                            Carlo Tombesi.
 
Quello fu il primo Natale che venne celebrato in questa parte della città.  La storia narra che la costruzione del Gazometro e della Chiesa Parrocchiale di San Benedetto venne ultimata di lì a poco.  Dopo qualche anno scoppiò la guerra,e Neno dovette  partire soldato a combattere al fronte.  Poi di lui non si seppe più nulla.  Oggi lo vogliamo ricordare così, quasi come un pioniere assieme a molti altri protagonisti anonimi che dal niente edificarono il nostro quartiere; spesso con sudore ed in operoso silenzio.
 
(Riferimenti temporali, a persone e a fatti sono di pura fantasia).
 
 
NOTA DELL’ AUTORE:  Quando nei primi anni ottanta venni ad abitare in questa zona il Gazometro era ancora funzionante, ed era attiva la Capitaneria di Porto.  Mi capitava spesso di passeggiare e fermarmi
ad osservare le locomotive sui binari morti, il silenzio che di notte era rotto dal fruscio del vento tra le canne sull’argine del fiume, ed immaginare come doveva essere stato tutto questo in un tempo non molto lontano.  Da lì era passata la storia, e mi sembrava ancora di udire le voci di quegli uomini e quelle donne che erano vissuti prima di me, e che erano appartenute a quel mondo operaio di cui io stesso ho fatto parte per diversi anni.  In quegli anni in cui venni ad abitare ad Ostiense c’era meno traffico, si respirava  un po’ meglio e si percepiva ancora un po’ di quell’aria piena di ‘romanità’ antica ed ironica, semplice ma in fondo sana. Ricordo più solidarietà tra le persone. Poi tutto è cominciato a  mutare così velocemente: un anno sembra quasi un secolo, e molte cose sono andate perdute, molta gente non abita più qui (me compreso).    Forse qualcosa è rimasto, non tutto in fondo è perduto.  Tuttavia, ancora oggi credo che la parrocchia sia un punto fondamentale di incontro, spiritualità, di ritrovo e di crescita. Quindi invito tutti gli abitanti a rivalutarla, sostenerla  e  frequentarla come sempre.  Spero che questo sito Web possa contribuire a questa finalità e colgo l’occasione per salutare tutti coloro che lo stanno visitando.  (Carlo Tombesi)
  


Nota del web master:  io invece ho conosciuto il quartiere a partire dal 1990 e quindi non ricordo il gazometro funzionante e la realta' poetica che descrive cosi' bene Carlo. Purtroppo ho trovato un quartiere occupato da discoteche ed invaso quotidianamente da persone poco civili, sommerso dalle automobili ed ignorato dalle autorita', cittadine e di quartiere, che dovrebbero garantirne la vivibilita'. Spero un giorno di poter rivivere quella serenita', quindi mi unisco all'invito di Carlo e sollecito tutti a fare il possibile perche' si ripristini nel nostro quartiere la vivibilità che ci hanno sottratto. Per favore, non rassegnamoci e facciamo sentire la nostra voce ogni volta in cui è possibile farlo. (Fulvio Napoli)
 
 

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