Parrocchia NATIVITA' DI MARIA SANTISSIMA di Redù
(Unità pastorale di Bagazzano - Nonantola - Redù - Rubbiara)
(Diocesi di Modena - Nonantola)
A proposito di S. Macario
Macario la Chiesa ricorda anche: Macario"L'Egiziano" un abate del V secolo, venerato dalla chiesa il 19gennaio e da quella greca il 15 gennaio; un San Macario martire con altri compagni il 28 febbraio; un San Macario Vescovo di Gerusalemme dal 313 al 334festeggiato il 10 marzo; un San Macario di Costantinopoli il 1° aprile; un San Macario vescovo e confessore Etimologia:il nome Macario deriva dal greco Makarios e significa"felice", si festeggia l'onomastico il 2 gennaio in ricordo di San Macario Alessandrino, detto "il giovane", prete e abate che la in Africa il 20 giugno; un San Macario martire in Siria il 12 agosto; due San Macario martiri in Melitaniae in Alessandria festeggiati dalla Chiesa il 5 e 6 settembre; un secondo San Macario sempre martire in Alessandria ricordato il 30 ottobre; infine il 20 dicembre la Chiesa ricorda un Sacerdote ucciso in Arabia.
REDU' FESTA DI SAN MACARIO E BENEDIZIONE DELLE FAVE
(Pagine tratte da: "REDU' DI NONANTOLA" scritte da Paride Candeli - edizione TEIC -Modena 1979) (foto GL. Casalgrandi)
Il culto di San Macario venne introdotto a Redù dai monaci Benedettini che avevano in cura questa zona della Badia nonantolana Tutti gli anni, il 2 gennaio,si celebra questa festa: è la festa del protettore della parrocchia. Al termine della "Messa grande" vengono benedette le fave cotte nell'acqua e condite con olio, pepe, spezie e sale. La preparazione delle fave, nei tempi passati, era affidata a un "massaroaa2, che ogni anno veniva sorteggiato dopo i vespri del giorno di Sant' Antonio abate. In un documento del 1783 troviamo che il rito si svolgeva in questo modo; in un'urna venivano posti i nominativi delle 19"possessioni" e dei 24 "luoghi" esistenti in parrocchia, e dogni anno se ne estraeva uno che poi doveva fare la questua delle fave, cuocerla,cucinarla per bene e il 2 gennaio portarla alla chiesa per la benedizione. Venivano chiamati"possessori" e "luoghi" i poderi: possessioni se superavano le 30 biolche, luoghi quelli al di sotto. Esistevano i nomi, le località e i proprietari di questi fondi. La Badia di Nonantola aveva in Redù cinque possessioni, i signori Candrini due possessioni e due luoghi, i signori Grappi due luoghi, ecc. Al mezzadro spettava il compito di preparare la fava e al proprietario quello di mettere la legna per cuocerla; si trattava di tre mine di fava
(1).Nell'anno
1848 era massaro il dottor. Carlo Candrini, proprietario terriero di Redù. Alla fine del mese di dicembre scriveva al parroco Don Angelo Chiarotti: "Nella qualità e come massaro di San Macario la mattina del 2 gennaio del venturo anno 1849, riceverà dal bovaro Luppi l'occorrente quantità di fava cotta, ben condizionata, la quale da Lei benedetta dopo le preci d'uso si compiacerà di distribuire alli di Lei parrocchiani, e così anche in questo avrò soddisfatto l'obbligo di buon cristiano. Riceverà pure la quìnta moneta d'argento, perchè trovo giusto e ragionevole che Ella faccia i tortellini, li quali ben nutriti e ben cotti in un buon brodo benedetto, verrei seco a Lei a mangiare in buona compagnia, se non fosse una stagione per me troppo rigida".
Le fave di San Macario si mangiano prima del pranzo come atto di devozione, di penitenza, e di difesa contro le malattie. Le fave erano nel passato un alimento molto diffuso, come lo è ancora nel nostro meridione. La benedizione delle fave ha origine poco chiare. il dott. Giambattista Moreali in un suoi studio del 1965
(2), fatto in occasione di un ripresa televisiva della benedizione delle fave, dice che questa celebrazione si ricollega ai Saturnali che i Romani celebravano nel periodo di fine d'anno in onore di Saturno, dio dell'agricoltura. Anche Redù, antica colonia romana, si saranno senz'altro celebrate dai residenti queste feste saturnali, esaltando con banchetti e balli il cibo più comune e più tenuto in considerazione per il suo potere nutritivo cioè le fave. Alla venuta del cristianesimo queste celebrazioni si saranno fuse con la festa patronale di San Macario.
(1) La mina era una misura di capacità per aridi ed equivalente a litri 31.60.
(2) Dott. Giambattista Moreali, Saturno a Redù, "Tutto - Modena",Rivista di attualità. Gennaio 1965, p. 62. *)
Da una ricerca eseguita dalla Comunità Parrocchiale di Redù,- Archeoclub d’Italia, Sede di Nonantola – Coro di Redù
Chi è S. Macario che si festeggia nella frazione di Redù il 2 gennaio con la solenne benedizione e la distribuzione delle fave? Nelle “biblioteca Sanctorum” i “San Macario” sono ben ventidue, vissuti in tempi e luoghi diversi, ma caratterizzati da una somiglianza per quanto riguarda gli avvenimenti della vita: risulta quindi piuttosto difficile identificare fra tutti il “San Macario” della tradizione reduese. Per risolvere questo enigma possiamo fare riferimento ad una interessante chiesa non lontana da Redù, nel Persicetano, sulla strada che collega S. Giovanni in Persicelo con Bologna, nel borgo. In questa chiesa, si trova un altare dedicata a S. Macario, molto probabilmente lo stesso venerato a Redù. Sul paliotto dell’altare un scultura marmorea raffigurante un monaco con una lunga barba, regge un cartiglio con la scritta “ S.T.
MACARIO. ABBAS.”.Ai sui piedi un’altra scritta recita “MACARIUS VOCOR INROMANA CIVITATE NATUS” (Sono chiamato Macario, nato nella città romana). Il S. Macario di cui ci occupiamo non è quindi un santo orientale, bensì di origine romana. Un,altra tessera del mosaico che ci permette di ricostruire la figura di San Macario, c’è data dal sepolcro del santo che si trova nella chiesa abbaziale di S. Sisto a Piacenza.
In questa chiesa, annessa ad un antico monastero di suore benedettine, (ora non più esistente) fondato dalla regina longobarda Angilberta nell’877, e precisamente nella navata sinistra della cripta, riposa il corpo di San Macario, che fu trasportato da Sacerno prima del Mille. Le ricerche condotte sul Santo di Piacenza ci portano ad un S. Macario,che dopo aver trascorso parte dei suoi anni come vice prefetto di Roma, si ritirò a vita monastica, fondando un monastero nel 394 a Le Mose, località oggi difficilmente identificabile, nella provincia di Piacenza.
A queste notizie. Possiamo aggiungere altre che parole del Santo e narrano che egli fosse giunto a Sacerno per predicare e fare penitenza e che lì fosse morto. Pur nell’incertezza dei dati, si può supporre che il S. Macario sepolto a Piacenza e quello venuto a Sacerno siano la stessa persona; resta comunque da spiegare la presenza del culto per questo Santo a Redù. E’ molto,probabile che il corpo del Santo, che nel 966 si trovava sepolto ancora a Sacerno, sia stato reclamato dal monastero di S. Sisto di Piacenza. Durante il viaggio le preziose e prestigiose reliquie, destinate forse ad essere ospitate a Nonantola, giunsero invece a Redù, dove trovatasi una piccola cella del monastero.
Qui sarebbe rimasto un ricordo del passaggio del Santo Corpo, tanto che a S. Macario venne attribuita la protezione della chiesa e dedicato un culto tramandandosi attraverso i secoli e giunto fino a noi. Se si può ricostruire qualche aspetto della figura di S. Macario, più difficile risulta invece cogliere il significato del rito col quale viene venerato, cioè la benedizione e la distribuzione delle fave. Il giorno 2gennaio, durante la Messa Solenne vengono distribuite ai fedeli le fave che precedentemente sono state cotte nell’acqua e condite con sale, pepe, olio aceto e spezie. In ogni famiglia esse poi vengono consumate prima del pranzo sia per devozione, sia per ottenere protezione contro le malattie. Un tempo la giornata veniva conclusa infine da feste e balli in allegria. Se cerchiamo dispiegare il motivo per cui si pratica questo rito, troviamo diversi indizi, ma nessuna prova sicura del legame fra S. Macario e le fave. Certamente le fave,come altri legumi e i cereali in genere, ebbero una grande importanza per ipopoli e furono presenti negli atti di culto e nei sacrifici propiziatori. Le fave ebbero poi il merito di salvare dalla fame molte generazioni, quindi è probabile che il santo sia stato collegato ai poteri salvifici, ma è anche possibile che attorno a Lui si sia consolidato un rito che affonda le sue radici in antichissime tradizioni presenti anche presso altre realtà e legate a volte al culto dei morti, a volte a feste di inizio d’anno. (Immagine a lato: Deposizione e Santi Macario e Bernardo - Anonimo, sec. XVII - Chiesa di Redù)
(Al merito delle persone che anno svolto questa ricerca; e stampato dalla: Comunità Parrocchiale di Redù, -Archeoclub d’Italia, Sede di Nonantola – Coro di Redù.).
Quanto descritto nella ricerca (*) pare si tratti del San Macario l'Egiziano visitare il sito:
Ulteriori ricerche sul personaggio di San Macario 'Alessandrino' venerato dalla Chiesa Cattolica il 2 gennaio
Il nome Macario era senza dubbio un nome comunemente usato tra i cristiani del vicino oriente (dal greco makarios = beato o felice). Si conoscono eminenti figure della cristianità dei primi secoli chiamate Macario. Si cita Macario Vescovo di Gerusalemme (314-335) che si trova a fianco a Sant'Elena, madre di Costantino, nell'opera di costruzione delle prime basiliche e nell'opera di ritrovamento della croce. Macario Alessandrino (secolo IV) mercante egiziano, all'età di 40 anni si ritirò nel deserto di Celle nel Basso Egitto, presso la località di Wadi el-Natrun esiste uno dei luoghi simbolo del monachesimo cristiano,in genere della chiesa copta. Qui nel 360 d.C. ritiratosi in preghiera diede vita ad movimento spirituale destinato a perpetuarsi nei secoli che seguirono. Fu ordinato sacerdote e divenne guida spirituale dei monaci anacoreti, eremita, maestro di vita spirituale, a cui si attribuisce il " Perì exsodous", pia riflessione biblica in cui l'esperienza eremitica nel deserto diventa il simbolo della vita cristiana che dalla schiavitù della vita materiale tende alla Terra Promessa dell'eterna Beatitudine. La biografia di San Macario "Alessandrino" viene spesso confusa con quella del suo omonimo San Macario "il grande" oppure detto "l'Egiziano" anch'egli monaco di Scete e suo contemporaneo. Ambedue insieme a Isidoro furono inizialmente discepoli di Sant' Antonio abate. Il nostro San Macario, ovviamente, anche per il nome si inserisce nel solco della tradizione monastica orientale perchè quasi l'intero territorio dell'Italia meridionale rimasero possedimenti dell'Impero d'oriente fino alla conquista normanna. In questo contesto il deserto della Giudea e quello della Tebaide in Egitto,furono luoghi ambiti e preferiti delle prime esperienze monastiche cristiane. La grande diffusione bibliografica è dovuta soprattutto all'importanza che rivestì il monastero " Abu Macario" (si dice al quanto suggestiva l'architettura bianca del monastero immerso nel color ocra del deserto) nell'influsso intellettuale e nella storia del monachesimo egiziano. I due monaci, San Macario Alessandrino e San Macario l'Egiziano che fanno parte della comunità monastica di Scete, nel 373-75 vengono esiliati in un'isola del Nilo per ordine di Lucio (vescovo ariano di Alessandria). Citare le numerosi fonti che ci hanno fatto pervenire qualche notizia è assai complesso, si sono perciò sintetizzate notizie essenziali dal lavoro proposto da J.-Cl.Guy in "Les Apophtegmes des Pères du desert, sèrie alphabétique" 1966. Dell'esilio non si sono trovati riferimenti, ma vi sono tracce storiche dal 375 in poi di San Macario l'Egiziano o il Grande nell'Italia d'occidente. Certamente anche il nostro San Macario Alessandrino fu al seguito.
CURIOSITA'
Già Dante cita questo personaggio San Macario nel capolavoro della "Divina divina commedia" ma è difficile capire se il poeta alluda a San Macario l'Egiziono,vissuto per sessanta anni in astinenza e solitudine nel deserto di Sceti, nel corso del IV sec., oppure a San Macario l'Alessandrino, che visse in penitenza nel deserto alle porte di Alessandria d'Egitto, anch'egli nel IV secolo. Entrambi, come già detto seguaci di Sant' Antonio abate che, ritiratosi nel deserto della Tebaide, diede origine al monachesimo di tipo orientale, i due "Macario" furono spesso confusi se non addirittura considerati un'unica persona. Qualunque sia l'identificazione di questo personaggio, tuttavia, è chiara l'intenzione del poeta di affiancare ad un eremita occidentale, San Romualdo degli Onesti un eremita orientale.
tratto dal canto XXII - paradiso
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Poi dentro a lei udì': "Se tu vedessi
com'io la carità che tra noi arde,
li tuoi concetti sarebbero espressi. 33
Ma perchè tu, aspettando, non tarde
al'alto fine, io ti farò risposta
pur al pensier, da che sì ti riguarde. 36
Quel monte a cui Cassino è ne la costa
fu frequentato già in su la cima
da la gente ingannata e mal disposta; 39
e quel son io che sù vi portai prima
lo nome di colui che 'n terra addusse
la verità che tanto ci soblima; 42
e tanta grazia sopra me relusse,
ch'io ritrassi le ville circunstanti
dal'empio còlto che 'l mondo sedusse. 45
Questi altri fuochi tutti contemplati
uomini fuoro, accesi di quel caldo
che fa nascere i fiori e' frutti santi. 48
Qui è Maccario, qui è Romoaldo,
qui son li frati miei che dentro ai chiostri
fermar li piedi e tennero il cor saldo". 51
E io a lui: "..........................
Le fave:
Le fave, appartengono alla famiglia delle leguminose, con il nome di vicia faba minor (o favetta) come pianta foraggiera, vicia faba maior pianta da orto annuale dal fusto eretto senza nodi e che produce fiori bianchi maculati in nero, dove sviluppa baccelli di lunghezza variabile grossi e lunghi, raggiungono anche i 30 cm, contenenti grandi semi verdi appiattiti. La coltivazione è tipica delle regioni del centro e del sud, molto coltivata i Sardegna. Sono legumi ricchi di proteine, fibra, vitamine (A, B,C, E, PP) e sali minerali,risultano essere le meno caloriche; per la mancanza di un certo enzima possono far insorgere una rara malattia, il favismo, che a persone predisposte può provocare anemie. Possono essere consumate crude con olio e formaggi o cotte verdi (fresche), o secche. La sua storia:il seme della pianta della fava (antecedente alla scoperta dell'America(*)), fu un alimento essenziale per tutta l'area mediterranea, era conosciuta già nell'età del bronzo. Nonostante che questo legume fosse l'alimento più emblematico la letteratura antica ne fa spesso menzione intrecciando pregiudizi e superstizioni a riti propiziatori sia dagli antichi Egizi, passando dalla storia antica Greca sino al mondo romanico, le fave sono sempre presenti nel trapasso tra "vita e morte", venivano usate sia per riti funebri che per segni di buon auspicio. La gente dell'antica Roma presumeva che dai semi delle fave si ritrovassero le lacrime dei trapassati. In occasione della festa della dea Flora (protettrice del risveglio della natura) i semi di fave venivano gettati sulla folla in segno di buon augurio; paradossalmente con gesti scaramantici se li gettavano dietro le spalle per scacciare malefici; venivano persino usate per implorare la pace dei defunti nei cortei funebri. Nell'antica Grecia, le fave venivano offerte a Bacco e a Mercurio per le anime dei defunti, si narra che persino
Pitagora, matematico e filosofo greco VI sec.a.C., riteneva che i baccelli contenessero le anime dei morti. In epoca cristiana la fava fu un alimento importante largamente usate soprattutto dalle classi più povere, consumate crude oppure secche in stufati, ma doveva essere consuetudine che su tutte le mense fosse presente nella ricorrenza dei Santi e dei Morti. Contrariamente al pisello considerato simbolo di fortuna e prosperità, la fava era considerata una pianta funesta, si riteneva che racchiudesse lo spirito dei defunti, la ragione che ha portato ai pregiudizi e alle superstizioni del tempo, possano essere ricercate nel suo fiore. Il fiore della fava infatti è un fiori bianco maculato in nero colore raro nel mondo vegetale, il colore nero è sempre stato considerato "mistero" inoltre la macchia nera lascia interpretare la forma di "tau" greca prima lettera della parola "tanatos" che tradotta significa morte. Il consumo delle fave, sia per tradizioni che ritualità devozionali è stata tramandate fantasiticamente sino ai giorni nostri lasciando intravedere molti aspetti mitici che si riallacciano ad antichi rituali pagani. In diversi paesi d'Italia come ad esempio ad Aquino, in Ciociaria, il 2 di novembre si svolge una manifestazione di tradizione popolare in seguito ad un atto di generosità verso i poveri del paese da parte del signorotto del paese del tempo Pelagelli; stessa tradizione ad Oristano dove questa manifestazione si svolge per San Giuseppe. A Pollutri (Chieti) il 6dicembre festa di San Nicola in piazza della cittadina dopo le funzioni religiosi, con un'esemplare preparazione avviene la cottura delle fave, cottura che avviene in sei caldaie in gara fra i quartieri, una volta cottevengono consumate per devozione da tutti pollutresi e non. A Sassari è consuetudine preparare le fave in occasione del carnevale. (*) Dopo la scoperta dell'America il consumo della fava gradualmente ha perso la sua essenzialità, soppiantato dall'importazione del fagiolo. Alcuni proverbi o detti sulle fave:Nella tradizione contadina le fave sono sempre buone in compagnia. Sono buone anche secche, anzi riempiono la pancia e scaldano il cuore nelle fredde sere d'inverno soprattutto se sono in una zuppa in compagnia di lardo e cotica.
· Di tutti i legumi la fava è regina, cotta la sera, scaldata la mattina
· Chi fa le fave senza concio, le raccoglie senza baccelli.
· Chi semina fave, pispola grano.
· Erba cruda, fave cotte, si sta mal tutta la notte.
· Le fave nel motaccio, e il gran nel polveraccio.
· Oggi fave, domani fame.
· Quando le fave sono in fiore, ogni pazzo è in vigore