Anno C – 6 domenica ordinaria Lc. 6, 17.20-26
Le beatitudini
Liturgia penitenziale
Signore che sei per noi via,verità e vita, spesso abbiamo dimenticato la strada che tu ci hai indicato, per percorrere le strade più facili che il mondo mette davanti a noi. Signore pietà.
Cristo Gesù, tu che hai accettato la condizione di povero per orientarci verso i veri valori dello spirito,vedi come invece noi abbiamo voluto arricchirci di falsi valori: Cristo pietà.
Signore, tu hai annunciato le beatitudini per affidare alla nostra responsabilità il compito di trasformare la terra e renderla migliore, vedi come sia difficile per noi contrastare i nostri istinti: Signore pietà.
Non spaventiamoci delle parole di Gesù:”Guai”, perché noi siamo paurosi, e queste parole ci impressionano.
Dobbiamo invece dire grazie al Signore, perché ci ha detto queste cose.
Qui Gesù è di fronte ad una enorme folla: ci sono i Dodici a cui Gesù ha dato l’incarico di aiutare gli altri a credere, i Discepoli, quelli che credono già, e una gran folla di curiosi, indifferenti, venuti lì per vedere qualche miracolo o se vale la pena di credere a questo giovane rabbi.
A tutti Gesù dà questo solenne avviso, che non è una minaccia.
Certamente qualcuno si sarà scandalizzato, magari arrabbiato perché Gesù sarà sembrato un prepotente, un aggressivo e chissà quanti avranno detto:”Ma chi sei tu per venirci a dire simili cose? Come ti permetti di aggredirci così?”.
Allora è bene che anche noi riflettiamo su chi è Colui che parla e, se siamo veri credenti dobbiamo riconoscere che Gesù è davvero il Figlio di Dio, l’Eterna Verità.
La lettera agli Ebrei ci dice:”La parola di Dio è viva ed efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e sa discernere i sentimenti e i pensieri del cuore”.
- Questo maestro è Colui che conosce bene l’uomo, E’ la Parola di Colui che mi ha creato e nessuna parola è simile ad essa, perché penetra in me e mette in chiaro chi io sono e quali sono le mie esigenze vere. Se sono saggio e furbo, lascio che entri nel mio cuore, perché mi trasformi ed ho tutto da guadagnarci per il mio vero bene.
- Ma non è solo un Dio che mi conosce, è un Dio che mi ama.
E’ quel Gesù che dice a quel malato da 38 anni alla piscina di Siloe:”Vuoi guarire?”.
Che quando vede Lazzaro il suo amico:”Si commosse profondamente, si turbò e domandò: - Dove l’avete posto? – Gli dissero:- Signore, vieni a vedere! – Ed Egli scoppiò in pianto”.
E’ il Dio di cui parlano i profeti: Isaia:”Il tuo sposo è il tuo creatore”.
Osea: Io, Dio, ti farò mia sposa per sempre, Israele, nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore. Ti fidanzerò con me nella felicità”.
Ecco il Dio che ci parla oggi, che sa tutto di noi e ci ama davvero; di qui la nostra riconoscenza nell’ascoltarlo e il nostro impegno a capirlo. Oggi Gesù ci vuol fare un grande regalo, perché interviene in quello che noi potremmo definire il male più grave: la nostra ignoranza, e la nostra ignoranza su quello che più ci sta a cuore che più cerchiamo:la nostra felicità
E sappiamo che per l’umanità questa ignoranza è una vera tragedia quotidiana, perché riguarda il più forte desiderio che abbiamo tutti nel cuore. E Gesù sa benissimo come in questa materia sia tanto facile sbagliarci. Basta aprire i giornali, ascoltare la televisione: ogni giorno guerre, omicidi, suicidi, delitti di ogni genere: sempre per procurarci un po’ di felicità,
Nel salmo 4 troviamo scritto:”Chi ci farà vedere il bene?”
Chi lo sa? Esiste davvero? Lo aspettiamo da tutti, dall’amico, dalla politica, dalla cultura, dai soldi, dal sesso, dal divertimento, dal potere, dalla droga e continuamente siamo ingannati e continuiamo a lasciarci ingannare con tutto quello che ci vuol offrire il progresso e la civiltà di oggi.
Nessuno ci offre il bene: ci offrono dei piccoli beni, ma non il Bene!
E se spesso siamo troppo infelici, insoddisfatti rispetto alla fede che abbiamo e se non sappiamo sollevarci oltre i nostri dolori è proprio perché non cerchiamo il vero e unico Bene.
Gesù dunque risponde a questo desiderio di tutti. E che cosa fa? Dice con estremo vigore e chiarezza – come solo Lui sa parlare – alcune cose che dobbiamo assolutamente evitare.
Ce ne suggerisce tre.
Una è la ripetizione di Geremia:1 lettura: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo”.
Non vuol dire che non dobbiamo fidarci degli amici, amare gli altri, ma ci ricorda che mai in nessun uomo o cosa creata possiamo trovare ciò che cerchiamo; fidarci sì dell’uomo per le sue capacità e i suoi studi, come nel medico, nell’ingegnere e in tutti quelli che ci possono dare qualcosa, ma se ti fidi nell’uomo in modo totale, come se lui potesse darti tutto, sbagli e sprofondi nel male . E’ come appoggiarsi ad una canna secca, che si spezza e ti può anche far del male. Per quanto un uomo possa essere saggio non ti potrà mai dare e dire la risposta definitiva di quello che tu cerchi e di cui hai assoluto bisogno.
Il secondo guaio da evitare è quello che non troverai mai la tua soddisfazione completa nel benessere materiale, perché l’uomo è fatto per la felicità spirituale, che va oltre le felicità di carattere umano, estetiche, creative, scientifiche. Solo Dio può darci tale felicità, che è facile ottenere se lo vogliamo. O se tanti giovani ci credessero, mentre sprecano tempo, corpo, intelligenza, soldi per avere poi che cosa? Niente che valga la pena e duri!
E’ sempre Gesù che ci dice: Guai se ti sazi delle cose materiali, perché sei perduto”,
“Ma guai a voi ricchi, perché avete già la vostra ricompensa. Guai a voi che siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete” e con questo ci invita a non aver paura della morte! Tu credi che la morte sia un muro contro cui vai a sbattere e poi tutto finisce, che ti porti via tutto quello che hai e che sei! Invece la morte è una porta che si spalanca verso la vera vita, la vera felicità, quella che hai sempre desiderato!
2 lettura:”Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini”. Gesù infatti è entrato nella morte per uscirne vivo.
Ecco quello che dobbiamo fare noi: Non avere paura! Non dimentichiamoci che il vangelo è mortificazione. E’ il richiamo della Madonna a Lourdes: “Penitenza, penitenza”, non vivere cioè solo di piccole soddisfazioni, di cui crediamo di non poterne fare a meno: superiamoci, lottiamo, entriamo nella morte quotidiana Guardiamo al crocifisso, crediamo in Lui. Vale la pena di patire per superare noi stessi. Se non superiamo il nostro egoismo, amor proprio e tutte le piccole grandi passioni che mi fanno diventare idolo di me stesso, non aspetto che la morte venga, ci vado io dentro, con la penitenza, per uscirne più puro, più forte, più buono soprattutto.
Questa è in fondo la conversione, di cui parleremo nella prossima Quaresima!
Rileggiamo le beatitudini: sono così brevi, così grandi, così consolanti e diciamo al Signore che vogliamo crederci con tutta la nostra vita, perché non solo crediamo alla sua felicità, ma la vogliamo ottenere, a qualsiasi costo, col suo aiuto.
PREGHIERA
Signore Gesù, tu sai quanto sia forte in ciascuno di noi il desiderio di essere felici.
Oggi hai voluto ricordarci che la felicità esiste, ma ci hai fatto anche capire che non è legata al possesso delle cose. Si può avere tutto ed essere infelici; si può essere poveri di tutto, come Francesco e portare dentro un cuore che canta.
E’ una bella notizia che può piacermi, ma anche lasciarmi sempre nel mio peccato.
E’ una verità davanti alla quale resto un po’ impaurito perché mi scopro tanto debole e incapace di affrontare i sacrifici e le morti necessarie per arrivarvi;
Mi sembrano tante belle parole, ma la realtà sembra un’altra, ed io ho paura di non farcela!
“Figlio mio, non aver paura, io sono morto e sono risorto. Vieni con me. Io benedirò i tuoi sforzi, i tuoi sacrifici; io ti guarirò, perché ti voglio sereno in questo mondo, ma ti prego di non fare confusione: la felicità è un’altra. Te ne posso già far sentire un po’ il gusto, se vuoi: devi però sperarla, volerla fortemente e l’avrai, se cercherai di fare sempre la mia volontà”.
VI
Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
Beati
voi...il Paradiso della vita
Anzitutto il mio pensiero
e la mia preghiera vanno a Lourdes, dove quest'anno si celebrano
solennemente i 150 anni dalle Apparizioni. Chi di noi, almeno una
volta, non ha fatto l'esperienza di stare a Lourdes in pellegrinaggio
per qualche giorno? Si ha sempre l'impressione che da quella grotta
la Madonna non si sia mai allontanata, pronta a riceverci e
consolarci, convertirci, mostrarci la bellezza dell'Amore di Dio.
Ogni volta che si va a Lourdes, con fede, è come diventare
bambini che finalmente incontrano la
Mamma indispensabile, che sa
capire, ascoltare, amare. Ed è veramente bello questo
diventare
bambini, che sentono la nostalgia della Mamma!
E lì,
a Lourdes, la nostalgia si fa certezza di presenza, come quando si
torna a casa e si trova mamma che ci attende. Lourdes lascia sempre
in tutti il segno che noi non siamo orfani, che vaghiamo tristi in
questa valle di tristezze, perché c'è la Mamma, che è
sempre vicina.
Ho avuto l'occasione, anche lo scorso anno, di
tornare a Lourdes insieme all'UNITALSI. Quando a sera l'esplanade si
fa 'fiaccola', luce e speranza, scende tanta dolcezza e nostalgia di
Cielo, che viene
spontaneo cantare, come inno di fiducia: "Andrò
a vederLa un dì".
E il nostro pellegrinaggio qui sulla
terra diventa più sereno, sapendo di non essere soli e di
camminare verso la felicità, che è la realizzazione
della nostra nostalgia del Paradiso.
Non so se avete fatto caso:
passando tra la gente e fissandola in volto, quasi sempre si nota una
profonda tristezza o un vuoto, che la dice lunga su come viviamo
oggi. Sembriamo tutti privi di qualcosa che ci è necessario:
la felicità del cuore. Osserviamo, desideriamo, rincorriamo,
magari, le tante futili attrattive che il mondo ci offre, ma ci
accorgiamo che, appena raggiunte, non saziano la nostra profonda sete
di felicità.
Sorprende, ormai, incontrare chi esprime
serenità sul volto, negli occhi, irradiandola da tutta la
persona, tanto che sorge spontaneo un interrogativo: "Ma questi
che vivono tra noi, con noi, come noi, come possono essere così
sereni e soddisfatti di tutto?". La risposta è nella
nostra stessa natura di figli di Dio. Dio, il Padre, è immenso
Amore e, quindi, Gioia, sempre, anche nei momenti difficili.
Creandoci ci ha fatti "a sua immagine", ossia nati per
amare ed essere amati.
È il peccato che oscura questa
nostra natura. Gesù, Figlio del Padre, venendo tra di noi ha
voluto farci ritrovare la Via della Gioia. All'inizio della sua
predicazione, sul monte, ce l'ha indicata.
Ogni volta mi reco in
Terrasanta, una delle mete che amo tanto è proprio il Monte
delle Beatitudini. Su quella piccola altura, che si affaccia sul lago
di Galilea, in uno splendido scenario della natura,
cornice
davvero adatta, fece il Discorso delle Beatitudini.
"C'era
una gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta
la Giudea, da
Gerusalemme e dal litorale di Tiro e Sidone. Alzati
gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva: Beati voi
poveri, perché vostro è il Regno dei Cieli. Beati voi
che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora
piangete, perché riderete. Beati voi quando gli uomini vi
odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e
respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio
dell'Uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché,
ecco, la vostra ricompensa è grande nei Cieli.
Ma guai a voi ricchi,
perché avete già la vostra ricompensa. Guai a voi che
siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete,
perché sarete afflitti e piangerete. Guai quando tutti diranno
bene di voi. Allo stesso modo facevano i loro padri con i falsi
profeti"
(Lc. 6, 20-26).
In quelle beatitudini
possiamo leggere la vita, qui in terra, di Gesù, di Maria, dei
Santi e dei cristiani
convinti, che vivono in mezzo a noi,
serenamente. La loro vita è stata ed è la professione
di una
meravigliosa libertà, che è il risultato
della "povertà di spirito": una libertà che
non accetta di essere schiava di falsi idoli, come il culto del
denaro o del piacere, dell'apparire, del potere o del successo. Una
meravigliosa libertà da tutto e, in primo luogo da se stessi,
per poter far posto all'amore di Dio e diventare dono ai
fratelli.
Non è la ricchezza in se stessa che si
condanna...anzi, questa, quando si ha, come la ricchezza di una buona
salute può essere "ben spesa".
È il farsene
schiavi, anziché dono, il vero peccato. La "ricchezza"
diviene una schiavitù quando non si dà pane a chi non
ne ha, sorriso a chi è triste, comprensione a chi soffre,
vicinanza a chi è solo, completando ciò che manca alla
passione di Gesù, come direbbe S. Paolo.
La "libertà
da... e per..." è una vera beatitudine ed è il
perché del sorriso e delle mani sempre tese verso tutti che,
per fortuna, notiamo in molti cristiani.
Difficilmente il mondo
la rincorre e così si imbatte in quei terribili "guai",
di cui parla Gesù nel Vangelo.
Cedo la parola di commento
delle Beatitudini a Paolo VI:
"Beati noi se, poveri nello
spirito, sappiamo liberarci dalla fallace fiducia nei beni economici
e collocare i nostri primi desideri nei beni spirituali e religiosi e
così abbiamo per i poveri riverenza ed amore, come fratelli ed
immagine vivente di Cristo. Beati noi se, educati alla dolcezza dei
forti, sappiamo rinunciare alla funesta potenza dell'odio e della
vendetta ed abbiamo la sapienza di preferire al timore che incutono
le armi, la generosità del perdono, l'accordo nella libertà
e nel lavoro, la conquista della pace. Beati noi se non facciamo
dell'egoismo il criterio direttivo della vita, e del piacere il suo
scopo, ma sappiamo invece scoprire nella temperanza una fonte di
energia, nel dolore uno strumento di redenzione e nel sacrificio la
più alta grandezza. Beati noi se preferiamo essere oppressi
che oppressori, e se abbiamo sempre fame di giustizia in continuo
progresso. Beati noi se, per il Regno di Dio, sappiamo nel tempo e
oltre il tempo, perdonare e lottare, operare e servire, soffrire e
amare. Non saremo delusi in eterno" (1 Novembre
1960).
Quanti esempi viventi di queste beatitudini abbiamo nella
storia della Chiesa: da San Francesco, che
preferì sorella
povertà alla ricchezza della propria famiglia, ai santi del
nostro tempo.
Il Cottolengo che assisteva quelli che la società
riteneva sgraditi, affidandosi totalmente alla
Provvidenza, fino
al punto di chiedere ai suoi confratelli di dare ai poveri quanto
avanzava e "tenere
nessun soldo in cassa, la sera". I
santi Orione e Calabria e, se volete, il mio fondatore, Antonio
Rosmini, che era molto ricco a Rovereto e lasciò tutto,
scegliendo come abitazione una cella di estrema povertà, che
si può ancora visitare, oggi, al Sacro Monte Calvario di
Domodossola.
Una cella che ogni volta
mi mette meravigliosamente in crisi. Rosmini volle che la povertà
in spirito fosse custodita gelosamente, perché affermava con
convinzione che "la povertà è il muro di sostegno
della Chiesa".
Quanta gente meravigliosa ho avuto modo di
incontrare che, nelle beatitudini, a cominciare dalla
povertà,
ha trovato il segreto della felicità già qui in terra,
perché la felicità è l'aspirazione di ogni uomo
per vivere, ma per raggiungerla occorre il coraggio di fare terra
bruciata di altro, che gioia non è.Come quella anziana
meravigliosa che un giorno, in sacrestia, volle darmi tutti i "suoi
risparmi", perché affermava che "erano un ingombro
alla presenza della felicità di Gesù che, quando venne
sulla terra, era nudo e lo fu fino alla croce".
Come quel
signore che, scrivendomi ed inviandomi per i poveri un assegno, mi
disse: "Non mi lodi, la cifra sembra grande, ma è solo un
graffio al mio egoismo e lentamente voglio levarmi tutta la pelle
dell'egoismo che copre il volto della vita e non mi fa gustare la
beatitudine vera".
Quando mi si chiede quali furono gli anni
più belli della mia vita pastorale dico sempre: i tempi dopo
il terremoto nel Belice, quando avevo perso tutto e mi era stata
donata una tenda tra le tende, prima, e una baracca tra le baracche,
poi: condividevo tutto con tutti.
Solo la Beatitudine della
povertà di spirito può essere la via per cancellare le
tante povertà del nostro desolato mondo e renderci beati.
Come
dovremmo desiderare che in ognuno di noi nasca il desiderio di vivere
"il codice di vita" di Gesù, con il coraggio di
voltare le spalle al culto dell'egoismo, che spegne il sorriso nostro
e di chi ci sta vicino.
Non sia mai che a qualcuno il profeta
Geremia debba dire: "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo,
che pone nella carne il suo sostegno e il cui cuore si allontana dal
Signore. Egli sarà come un tamerisco nella steppa, quando
viene il bene non lo vede. Dimorerà in luoghi aridi nel
deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere"
(Ger 17, 5-8).
Permettetemi, miei cari amici, che desideri che
splenda sempre il sorriso sul vostro volto, perché,
liberi
da tutto, siate tutto per tutti. E' la grande felicità che
prego per voi.
Se il nostro mondo salisse sul Monte delle
Beatitudini e ne accogliesse l'invito, facendolo proprio,
scomparirebbero fame, violenze, guerre, sfruttamento, e tutto
quello che toglie la voglia di vivere. Siate beati, cari
amici.
Antonio Riboldi - Vescovo -
Internet:
www.vescovoriboldi.it
E-mail:
riboldi@tin.it
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