ANNO A – 27 DOMENICA ORDINARIAMt. 21, 33 -43

L’avventura del popolo di Dio

Liturgia penitenziale

Signore, il tuo amore è paziente, perdona la nostra incostanza, la facilità con cui condanniamo e giudichiamo:Signore pietà

Signore Gesù, la tua parola ci invita alla conversione, perdona le nostre parole vuote che non portano frutto: Cristo pietà

Signore, tu nel battesimo ci hai dato una vita nuova, perdona il nostro egoismo, la pigrizia nel fare il bene:Signore pietà

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Oggi il Vangelo ci parla di Gesù che si rivolge ai sacerdoti ed agli anziani dei Giudei, suoi contemporanei, per esprimere la delusione di Dio rispetto a ciò che Lui aspettava dal suo popolo.

Poi continua dicendo che ci sarà un popolo che farà fruttificare la vigna che Israele non ha saputo coltivare.

Siamo noi quel popolo, oggi, qui, nella vita di ogni giorno.

Quindi Gesù parla anche di noi, dicendoci che Dio si aspetta un buon frutto da noi. Per quale motivo? Perché Dio sa molto bene che il buon frutto è quello che ci rende felici.

Infatti l’esortazione di s. Paolo nella 1 lettura ci invita a pensare e a mettere in pratica”:Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode”, ci parla di una società serena e, per quanto è possibile, felice.

Dio non cerca frutti per sé, li cerca per noi, desidera che siamo buoni: è venuto per questo.

Il progetto di Dio è avere un popolo così buono da bonificare tutta l’umanità, da fare del bene a tutti. Solo che c’è qualcosa che ostacola questo progetto: i vignaioli, cioè tocca a tutti noi dare buon frutto e bonificare questa palude umana, così piena di miasmi e veleni.

La parabola ce lo spiega chiaramente attraverso tre parole:”Avremo noi l’eredità!”.

Avere è un bisogno per vivere, tutti abbiamo possediamo qualcosa, dalla vita, al corpo, alla casa, al denaro, anzi è anche un diritto, che però può diventare una passione, una tremenda passione che ci avvelena la vita, il rapporto con gli altri attraverso un modo di avere sbagliato, come è l’ingiustizia, l’usurpazione, la violenza verso gli altri. E’ questa la passione che si mette tra Dio e l’uomo, tra uomo e uomo. Quanti regni, quante dinastie sono nate dal rubare beni e terre altrui, dal cosiddetto diritto del più forte. Così i rapporti umani diventano difficili e terribili, ma il disastro maggiore arriva quando applichiamo la stessa regola egoistica nel rapporto con Dio.

I vignaioli che espropriano il legittimo proprietario della vigna sono il simbolo dell’uomo quando si arroga il diritto di decidere quale sia il bene e il male, quale sia il giusto progresso per l'umanità; quando noi devastiamo il mondo e le sue bellezze, i suoi equilibri per affermare la nostra signoria, la nostra autosufficienza che esclude ogni sorta di obbedienza a Dio, sostituito dal nostro orgoglio, scacciato dal nostro egoismo, allora disprezziamo e distruggiamo la creazione, e invece di essere collaboratori del regno di Dio siamo agenti del male, della sofferenza che sgorga dal peccato e che spargiamo a piene mani nell'universo

Quando un adolescente, dopo la cresima dice:”Io sono di me, non sono di nessuno, neanche di Dio!” Quando tante persone dicono:”Il corpo è mio, lo uso e ne faccio quello che voglio: sesso, aborto,vita”. Tanti non vogliono ammettere che siamo di Dio, anche se siamo liberi, ma non possono dire che Dio ha nessun diritto su di noi.

Dio ci ha dato tutto: ma non ci ha abbandonati, ci ama troppo e sa benissimo che, quando cominciamo a considerarci i padroni di noi stessi e anche degli altri, noi diventiamo schiavi di noi e padroni degli altri, cioè siamo creature pessime e perverse.

Se questo ci procurasse gioia sarebbe Lui il primo a dirci:”Fate pure tutto ciò che volete, siete liberi!”. Invece Lui sa che non è così: è Dio l’unica vera nostra gioia, il senso della nostra vita.

Eppure oggi abbiamo tutta una cultura che si è staccata dalla proprietà di Dio su di lei, si è amancipata. E anche noi cristiani ci lasciamo influenzare e facciamo fatica per appartenere a Dio, nei nostri usi, costumi, mentalità, progetti, modi di pensare. Troppe cose e persone ci dicono che non siamo di Dio, dalla Tv, alla stampa, agli esempi che vediamo tutti i giorni, anche in tanti cristiani, mentre invece noi siamo veramente di Dio e vogliamo seguire solo Lui.

E dovremmo dircelo sovente:”Sono di Dio e lo voglio essere sempre”.

Ecco perché Gesù si preoccupa che il suo popolo – che siamo noi ora – continui ad accettare di appartenere profondamente a Colui che ci ha messi al mondo, che è nostro Padre, e ci ha preparato la sua eredità nell’altra vita.

Questa è la dignità dell’uomo che Dio e i suoi rappresentanti, quali, Papa Giovanni Paolo II ed ora l’attuale Papa Benedetto, hanno sempre proclamato al mondo intero: che non siamo schiavi di nessuno, siamo liberi perché ogni persona appartiene a Dio

I Santi ce lo insegnano continuamente che noi non apparteniamo alle cose ed alle persone, perché

hanno realizzato ciò che Dio ci dice:”Tu sei mio, le cose sono tue, ma tu le userai a modo mio, non a modo tuo, altrimenti la passione dell’avere rovinerà te e molti altri”. Pensiamo alle guerre, all’usura, a quanti rubano, non pagano il dovuto, a tutte le ingiustizie umane.

C’è una frase terribile di Dio rivolge al popolo eletto:” A voi sarà tolto il Regno di Dio, e sarà dato ad un popolo che ne produca i frutti”, come a dire:”Mi hai deluso, vigna mia, io però non rinuncio al tuo frutto, allora mi troverò un altro popolo!”.

Noi potremmo dire con un po’ di orgoglio:”Siamo noi questo popolo: quelli hanno detto no, noi abbiamo detto si!”

Ma siamo sicuri di essere veramente il popolo da cui Dio ottiene il frutto che si aspetta? Chiediamocelo con serietà. Se non crediamo davvero che il nostro dovere di cristiani è fare la volontà di Dio, è la nostra santificazione, non stiamo dando il frutto maturo, ci accontentiamo anche noi dell’uva acerba, e questo non va bene, non piace al Signore ed è negativo per noi.

La renderò un deserto”, dice il Signore. Nella nostra società non si nasce quasi più, e questo non è un deserto umano? “ Non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni!”. Abbiamo nella diocesi di Torino un numero di seminaristi così esiguo da far piangere. Dove sono gli altri? Non staremo forse diventando un deserto nel campo morale e religioso? Dobbiamo pensarci bene per reagire e trovare le soluzioni giuste, perché troppe diocesi, troppe parrocchie, troppe città cristiane nel corso degli anni sono scomparse, lasciando il vuoto dietro di sé.

Diciamo allora al Signore:”Siamo il tuo popolo e vogliamo dare frutto e anche se non sempre saremo fedeli, ci sforzeremo. Ci vogliamo riprendere, convertirci sul serio, ci pentiamo della nostra pigrizia passata, preghiamo di più, vogliamo fare di più e meglio, non accettiamo di vivere mediocremente, non rinunciamo ad essere il tuo frutto perché questo mondo ha bisogno di frutti buoni e i frutti buoni dobbiamo essere noi, la tua Chiesa come l’hai voluta tu”.

C’è un romanzo dal titolo”E le stelle ci stanno a guardare”. Dio invece no, non è uno che sta a guardare:è Uno che prende parte e chiede, quasi supplica paternamente di essere buoni, di essere la vigna che dà frutto, perché il mondo è già un deserto e ci spaventa.

Ma non perdiamoci di coraggio e cogliamo questo richiamo ad essere veramente i figli buoni che Dio si aspetta. Diciamogli che può contare su di noi:”Signore, siamo fragili, siamo peccatori, ti chiederemo ancora perdono tante volte, ma una cosa è certa: non vogliamo più deluderti!”.


PREGHIERA

Signore Gesù, è bella la vigna che ci è stata affidata. E’ la natura che palpita di tante energie segrete; è la famiglia umana intessuti di molteplici relazioni, è il mondo dei nostri affetti che dovrebbe essere aperto, come dice l’Apostolo Paolo, a tutto ciò che è vero,nobile, giusto, puro, amabile e onorato.

Ma quando sei venuto in mezzo a noi, a ricordarci che la terra è di tutti, che i beni vanno condivisi, che la vita scaturisce dall’amore e deve essere continuamente ricondotta all’amore, ti abbiamo trattato come una presenza scomoda e fastidiosa, come una pietra che si butta via., perché non serve. E’ l’errore che ripetiamo quando con orgoglioso distacco trattiamo come pietre scartate i poveri, i miti, gli umili, i semplici che rinnovano nel mondo la tua presenza profetica e il tuo appello alla fraterna solidarietà.

Signore Gesù, fa’ che la nostra comunità sia un segno sempre più luminoso del tuo vangelo, riempi i nostri cuori di stupore riconoscente per tutti i doni che ci dai, sostieni il nostro cammino con il tuo incoraggiamento.

Se i costruttori di questo mondo ti hanno rifiutato e si ostinano a rifiutarti, noi vogliamo dirti oggi la nostra gioia perché tu sei con noi e sorreggi i nostri sogni più grandi e le nostre più alte speranze. Amen