Domenica delle Palme (Anno A)


SETTIMANA SANTA: “Benedetto Colui che viene”



Per chi si accosta con fede a questa settimana di Passione, quasi vengono meno le parole, lasciando lo spazio alla riflessione e alla commozione.

È una settimana, a cominciare da oggi, Domenica delle palme, che racconta la totalità e fedeltà dell’amore del Padre, che non si ferma ad una dichiarazione, ma va oltre, donandoci il Figlio e vivendo la ‘Sua passione’. Gesù non guarda solo la nostra immensa povertà di uomini, ‘allo sbando’ senza l’amore del Padre, come in un abisso di solitudine e di sofferenza e, quindi, di errori, che sono il nostro quotidiano ‘inferno’, ma se ne fa carico per riportarci alla pienezza della Vita e della Luce, attraverso la sua morte in croce, unica via per il dono della Pasqua di Resurrezione.

Il Cielo non ha paura di mettersi i nostri panni, di abbassarsi fino a noi!

Gesù, dopo un breve momento di trionfo, che è la proclamazione della sua divinità, fa dono per sempre di Sé, per essere Vita della nostra vita, Carne della nostra carne, nell’istituzione dell’Eucaristia, del Giovedì santo.

Nella mattinata, in tutte le diocesi, il vescovo raduna il clero, come a proclamare che ‘siamo una cosa sola con Lui e in Lui’, e benedice e consacra gli oli santi, a cominciare dal Sacro crisma, con cui si ungono la fronte dei cresimandi, le mani dei sacerdoti, il capo dei vescovi e gli oli per gli infermi. È quindi la festa dei presbiteri, ‘una cosa sola con il vescovo’.

A sera, durante la solenne S. Messa, detta “In Coena Domini”, al Gloria si suonano le campane, che poi taceranno fino alla notte di veglia di Pasqua, come a chiamare tutti al silenzio della passione di Gesù.

Il Venerdì santo, la Chiesa, nel pomeriggio, commemora la Passione di Gesù e, durante la funzione, si è ammessi al bacio del Crocifisso.

Il Sabato santo è la giornata del silenzio e, quindi, dell’ attesa della resurrezione.

Davvero è la Settimana che dovrebbe coinvolgere tutti noi per contemplare, vivere, farsi attrarre dall’amore di Dio, che mostra quello che ha fatto - e fa - qui tra noi, perché ci vuole bene.

Se davvero noi viviamo la fede, la nostra comunione con Gesù, dovremmo mettere in un angolo il tanto chiasso della vita, per entrare nel vivo dei Misteri che si celebrano.

Sarebbe un vero peccato vivere questa Settimana santa come un tempo ‘normale’, ossia guardando astrattamente a ciò che, invece, dovrebbe essere vissuto.

Oggi domenica delle Palme, cerchiamo di contemplare quello che Gesù volle dirci.

Una cavalcata trionfale, in cui Gesù manifesta chi è: una solenne epifania, necessaria, prima delle giornate in cui le folle lo avrebbero visto in condizioni disumane, sotto una croce, salire il calvario, come il più terribile dei delinquenti.

Cosa vedevano mai in Gesù, allora, in quell’uomo, originario di una terra, la Galilea, da cui sembrava impossibile potesse spuntare ‘qualcosa di buono’? Un ‘povero uomo’ che non aveva alcuna potenza umana, come invece amano esibirla tanti del nostro tempo, che si fanno chiamare ‘grandi’? Un uomo che predicava la beatitudine della povertà in spirito ed era davvero povero, la beatitudine della misericordia e davvero accoglieva i peccatori, la beatitudine della fame di giustizia e davvero dava il pane a chi aveva fame, della persecuzione ed ‘aveva molti nemici’?

Com’era possibile riporre la fiducia in Lui? Cosa aveva di ‘grande’? Solo l’amore! Quello sì che era grande, ‘divino’, fino a dare la vita perché gli altri l’avessero ed in abbondanza.

Poteva Lui assicurare quella pace che allora la gente sperava su questa terra tormentata?

La giustizia, che non era facile trovare per le strade di Gerusalemme - allora, come oggi per le strade del mondo - ?

Eppure Gesù aveva sempre affermato: “Io sono il Principe della pace. Io vi do la mia pace”.

È la stessa domanda che, forse, si pone tanta gente, oggi: ‘Gesù merita la nostra fiducia, tutta la nostra fiducia’?.

Ma prima chiediamoci: ‘Di che pace parliamo?’. È forse Lui la pace che cerchiamo, o è ‘altro che venga dagli uomini’? Gesù non si lasciò montare la testa dal trionfo, che gli tributava la povera gente di allora, soprattutto i bambini; aveva davanti agli occhi il prezzo da pagare, per dare la Sua pace: la dolorosa passione e morte in croce sul Calvario.

Sapeva solo che l’Amore divino è un dono gratuito, fino all’ultima goccia di sangue e, non solo, è anche l’unica via per sconfiggere il male, ereditato da Adamo, e vincerlo non per una sola volta, per un solo periodo della storia, ma per me, per tutti gli uomini, per sempre.

Così Paolo, scrivendo ai Filippesi, descrive ‘questo’ Amore: “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 6-11).

Ho sentito troppe volte una frase, che rivela la nostra sensazione di sconfitta di fronte al male, che serpeggia tra noi in mille forme, sempre nuove e terribili: “Crede lei nell’amore? Crede che la via dell’amore, della misericordia, della non-violenza, possa sconfiggere la violenza piccola o grande che sia, individuale o organizzata?”.

Pensando al grave livello a cui è giunta la violenza nelle guerre del mondo, o nelle organizzazioni criminali, o dentro le nostre stesse case, molti sono tentati di affidarsi ‘all’unica possibile soluzione’: la guerra preventiva, la repressione dura, l’eliminazione dell’avversario, la violenza come difesa personale.

Ed invece no. L’amore è la sola forma di pace, che si possa offrire all’uomo. Sempre.

Forse l’amore, può, come in Gesù, dover diventare sacrificio, martirio, ma è sempre un dare vita, che fa germogliare vita.

Oggi noi siamo vivi della resurrezione di Gesù.

Forse è difficile accettare di vivere un amore, come quello di Gesù, così descritto dal profeta Isaia: Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, la guancia a quelli che mi strappavano la barba, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi(Is 50,4-7).

Per noi, che tante volte ci misuriamo con l’amore, nell’affrontare la superbia, la cattiveria o la malvagità, è difficile anche solo affermare che si deve ‘porgere la faccia agli sputi’, molto più facile farsi prendere la mano dal nostro amor proprio ed affidarsi ad una risposta di uguale o più grande violenza.

Non è facile seguire Gesù nell’amore. Anche Lui ha provato tanta resistenza.

Pensiamo all’agonia nel Getsemani, dove, per l’angoscia di ciò che l’attende, suda sangue e chiede al Padre di “allontanare” da Lui “quel calice”, però per amor nostro: si faccia la Tua volontà”.

È bello, oggi, fare compagnia a Gesù nel suo viaggio sull’asina, nella discesa della collina dell’orto degli olivi, tra la folla che applaude e agita le palme, esultando.

Ammiriamo la dolcezza, la grandissima, irraggiungibile umiltà del Figlio di Dio, che accetta un labile trionfo da gente innocente, mentre nei suoi occhi e nel cuore già sono presenti i giorni della passione. Forse non sente neppure le grida, gli osanna, perché nel suo cuore già echeggiano le urla, i ‘crucifige’, gli insulti che lo attendono.

In quel giorno, per tutti di festa, il suo è stato un martirio celato, nascosto, interiore, ma profondamente doloroso.

Un martirio che forse prova anche oggi, di fronte a tanti di noi che fanno festa con le palme, ma non ‘conoscono’, non credono, non vivono il Suo Amore.

Per chi crede, il Figlio di Dio, che si lascia applaudire, cavalcando un’asina, è davvero il trionfo dell’umiltà, che sarà dolore e umiliazione domani, per poi trasformarsi in gloria della resurrezione: una gloria che offre a noi se siamo disposti a seguirlo nel duro cammino della croce.

È tanta la mia ammirazione e gioia nel contemplare e vivere, in questa Settimana, tutto questo Mistero di amore e di dolore, che non trovo parole e dunque le esprimo con le parole di Juan Arias:

E’ difficile e bello il mio Dio abbandonato da Dio.

Il mio Dio che deve morire per trionfare.

Il mio Dio che fa di un ladro e criminale il primo santo della Chiesa.

Il mio Dio giovane che muore con l’accusa di agitatore politico.

Il mio Dio sacerdote e profeta che subisce la morte come lo prima vergogna di tutte le inquisizioni della storia.

Il mio Dio che suda sangue prima di accettare la volontà del Padre.

È difficile questo mio Dio, questo mio Dio fragile, per chi pensa di trionfare soltanto vincendo, per chi si difende soltanto uccidendo, per chi salvezza vuol dire regalo e non sacrificio.

Il mio Dio gettato nel solco, schiacciato sotto terra, tradito, abbandonato, incompreso, che continua ad amare.

Per questo il mio Dio vinse lo morte e comparve con un frutto nuovo tra le mani: la Resurrezione.

Per questo noi, ora, tutti, siamo sulla via della Resurrezione, uomini e cose”.


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