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Fede
risposta dell'uomo al dono di Dio

Si pensa comunemente che la fede consista nel credere un elenco di verità religiose: l'esistenza di Dio, la Trinità, la venuta di Gesù, la vita oltre la morte. La fede è anche questo, senza dubbio, ma è insieme molto di più. E' un atteggiamento complesso, ricco, proprio come ricco e complesso è il dono di Dio. La fede è la risposta dell'uomo - una risposta totale, definitiva, senza pentimenti - alla rivelazione di Dio.

Dio ha deciso di uscire dal suo mistero e inserirsi nella nostra storia e parlarci.

Signore,
quando dico credo, affermo che le cose che mi riveli non sono delle cose qualunque! Sono i segreti della tua vita, e questo, da parte tua, è un gesto di amicizia.

Signore,
con il dono della fede mi hai messo in relazione con te, vuoi stabilire con me un rapporto personale. Credo a Te, da persona a Persona.

Signore,
ancora di più: credo in Te, con tutto lo slancio della mia persona, vengo verso di Te, voglio porre al centro della mia vita il mio rapporto di fiducia e di obbedienza a Te, confido in Te.


ANTICO TESTAMENTO

L'Antico Testamento per indicare l'atteggiamento di fede usa termini ebraici che si rifanno prevalentemente a due radici: amen (da cui l'amen della liturgia) che evoca l'idea di "solidità", e batah che indica "fiducia". Questo secondo termine indica lo slancio della fede, e mostra come la fede non sia qualcosa di passivo: in essa c'è speranza, desiderio e attesa.

Più significativa però è la prima radice: esprime la nozione di solidità, fermezza, cosa "provata", saggiata. Il paragone che ricorre più di frequente è la solidità della roccia (e quindi la solidità di chi è abbracciato alla roccia). Un'altra immagine biblica è quella del bambino fra le braccia del padre, al sicuro.

Aver fede significa dunque "appoggiarsi a Dio" (Roccia e Padre) e - proprio per questo - sentirsi su un terreno solido, al sicuro, tranquilli.

La Bibbia dice spesso che Dio è "verità", che la sua Parola è vera e fedele, che il suo piano è fedele, proprio perché - messo alla prova - resiste, sta saldo, non si sbriciola (come invece avviene delle promesse degli uomini!).

La fedeltà di Dio non è un attributo astratto, ma è manifestata con i fatti, con l'impegno nei confronti del suo popolo.

La Bibbia applica al comportamento di Dio gli stessi termini che usa per indicare la fede dell'uomo: un modo chiaro per dirci che anche Dio è - in un certo senso - un "credente".

Ma che significa ciò di preciso? Dicendo che Dio "crede", la Bibbia non vuole semplicemente indicare che Dio è fedele (cioè mantiene le promesse): vuole invece attirare l'attenzione sul fatto che Dio decide un piano, si assume un impegno, si imbarca in un'avventura, si fida dell'uomo e corre - perché no? - il suo "rischio".

L'uomo deve fidarsi di Dio, appoggiarsi a lui che è Roccia - dice la Bibbia - ma anche Dio si fida dell'uomo.

Questo parallelo fra la fede di Dio e la fede dell'uomo è significativo. Insegna che c' è una somiglianza (certo solo una somiglianza!) fra il comportamento di Dio e il comportamento dell'uomo: in ambedue i comportamenti vi è l'aspetto di decisione totale, di impegno, di legame definitivo.

Anche da parte dell'uomo la fedeltà a Dio non è solo una disposizione interiore, ma deve esprimersi, manifestarsi in concreto, con la vita che si adegua alla volontà di Dio.

E l'uomo è fedele se sta con costanza appoggiato alla Parola di Dio, se attraverso le prove sta saldo, non si frantuma.

Uno studio accurato del vocabolario ebraico dell'Antico Testamento porterebbe a questa conclusione: "la fede esprime la relazione integrale dell'uomo di fronte a Jahvé, che si svela come liberatore del popolo eletto. In questa totalità sono inclusi aspetti parziali: la cognizione e l'esperienza di Dio, della sua potenza salvatrice e dominatrice della storia: la fiducia nelle sue promesse, l'obbedienza ai suoi comandi. Credere è dire 'amen' (cioè adesione e in questa adesione si diventa solidi) alle parole, alle promesse, ai comandi di Dio" (Alfaro).

Credere è     conoscere
ri-conoscere

ricordare la potenza di Jahvé che salva attraverso i suoi prodigi
aver fiducia in lui
obbedire ai suoi comandamenti e alla sua alleanza
 
         
Non credere è     dimenticare i prodigi di Jahvé
dubitare della potenza di Dio, non avere speranza nel suo aiuto
provocare Dio con ribellioni e diffidenza
disobbedire ai comandamenti e trasgredire l'alleanza
 

FEDE IN UN DIO FATTO UOMO

Il vocabolo greco più frequente nel Nuovo Testamento è pistis (fede), nelle sue due accezioni di "credere" e "confidare". Però ve ne sono molti altri: ascoltare, accogliere, conoscere, vedere, rispondere, obbedire...

Anche per il Nuovo Testamento la fede è un atteggiamento fondamentale, ricchissimo: questa ricchezza spiega appunto la varietà del vocabolario. La fede esprime l'atteggiamento completo dell'uomo di fronte a Dio che si rivela salvatore.

Mentre però nell'Antico Testamento era prevalente l'aspetto di fiducia nelle promesse (e quindi l'attesa), nel Nuovo Testamento la fede è maggiormente "ricordo", cioè adesione a fatti avvenuti. Ciò è logico: il Nuovo Testamento significa appunto che il tempo è compiuto e la salvezza in Cristo è arrivata.

  • Gesù è la realizzazione del piano di salvezza, il compimento delle attese: Gesù è la dimostrazione che Dio è fedele, che la sua Parola è roccia.
  • Gesù vive in sé la realtà divina, cioè il compimento delle promesse, la lascia trasparire e la garantisce per noi. Così Cristo diviene roccia per noi, punto di appoggio della nostra fede, verifica.
  • Gesù dice sì (amen) alla volontà di Dio, ubbidisce al Padre, si appoggia alla Parola di Dio e crede in essa respingendo ogni tentazione di percorrere strade di sapienza umana (ricordiamo il racconto delle tentazioni nel deserto).

La fede del discepolo di Cristo si deve modellare su quello che Cristo è, "autore e perfezionatore della fede" :

  • Il cristiano dice amen a Dio, cioè un sì gioioso alle parole, alle promesse, agli ordini di Dio.
  • Il cristiano prende parte al piano di Dio, affronta la stessa avventura di Cristo respingendo le tentazioni della sapienza umana.
  • Il cristiano si sforza di essere un realizzatore della Parola di Dio, vuol farla crescere dentro di sé e farla trasparire; vuole essere un testimone, cioè farsi "segno" e "prova" che la parola di Dio è vera.

Il cieco di Gerico
(Mc 10,46-52)

E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: "Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!". Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!". Allora Gesù si fermò e disse: "Chiamatelo!". E chiamarono il cieco dicendogli: "Coraggio! Alzati, ti chiama!". Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: "Che vuoi che io ti faccia?". E il cieco a lui: "Rabbuni, che io riabbia la vista!". E Gesù gli disse: "Va', la tua fede ti ha salvato". E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.

Vediamo descritta e simboleggiata dalla vicenda del cieco guarito l'avventura della fede in Cristo datore della luce.

Osserviamo che il cieco non si dà per vinto, anche quando lo rimproverano, grida senza ritegno. E Gesù gli dà la luce. Gli evangelisti ci dicono, osserviamolo bene, che una volta guarito, quel cieco segue Gesù per la strada. Quel cieco, avuta la luce per i suoi occhi, vede un panorama nuovo, vede tante cose, vede ogni cosa, ma non si perde nel nuovo: segue Gesù, pianta il suo sguardo in Gesù che lo ha guarito.

Così è per la fede: la fede ci illumina su tutto, ma al centro di tutto vi è Gesù, la fonte di quella luce che ci permette di guardare in modo giusto. Occorre tenere gli occhi su di lui, per poter vedere ogni cosa e valutarla in modo giusto. Cristo non ci dà la luce perché noi guardiamo altrove: ci dà la luce innanzitutto perché guardiamo lui, e perché seguiamo lui per la sua strada.


E noi?

Per seguire Gesù dobbiamo superare gli ostacoli delle nostre incredulità.

C'è per esempio, l'attaccamento alle cose terrene, e questa è la prima forma di incredulità, la più grossolana se si vuole. Chi non ricorda la parabola di Cristo? Ho preso moglie, ho comperato un podere, ho acquistato dei buoi: non posso venire.

C'è anche un'incredulità profonda, ed è l'attaccamento alle proprie idee, alla propria visione del mondo, a se stessi: oggi, è l'incapacità di rifiutare l'illusione della propria autonomia e di accettare la dipendenza da Dio, e di vedere questa dipendenza come costruttiva e non come qualcosa di mortificante.

C'è, infine (ed è l'ultima forma di incredulità, ma è la più sottile, la più aristocratica, la più "religiosa"), l'attaccamento al proprio modo di interpretare Cristo e il suo messaggio. Così si comporta l'uomo sicuro di sé, in grado e in dovere (così egli pensa) di giudicare e discutere con il proprio metro Cristo e il suo messaggio, invece di aprirsi a lui e lasciarsi da lui modificare.