Suor Gina Carotta
     

In occasione dei suoi 90 anni, festeggiati con i parenti.

 

Sono entrata nell’istituto nel 1934. Ancora giovane professa sono stata inviata in missione a Tunisi. Lì, dopo due anni, ho offerto tutta la mia vita al Signore con i Voti Perpetui. A Tunisi ho svolto l’apostolato come infermiera nell’ospedale civile. Giornate intense, ritmate da un lavoro abbastanza impegnativo, presso ammalati per la maggior parte poveri. Eravamo un buon gruppo di suore quasi tutte giovani e di diverse nazionalità. Non c’erano molte ore di riposo, ma tanta unione tra di noi, alimentata anche dal buonumore: ricordo ancora le ricreazioni della domenica sera, con scenette divertenti.

Ringrazio il Signore che mi ha dato la gioia di accompagnare alcuni ammalati del mio reparto nel cammino di conversione: ricordo un poliziotto musulmano che volle morire in ospedale, invece di essere accompagnato in famiglia; così, poco prima di spirare, guardando il Crocifisso, ha potuto liberamente dire: “Signore, soffro molto, ma tu hai sofferto di più. Abbi misericordia di me!”. L’ho visto morire sereno.

Rammento una giovane signora protestante, che durante la sua malattia forse ci osservava e rifletteva. Guarita, ha chiesto di essere aiutata nel cammino di fede e di essere accolta nella Chiesa cattolica. Quanta consolazione ho provato quando l’ho accompagnata alla S. Comunione durante la S. Messa.

La nostra fondatrice, Beata Maria della Passione ci ripete che il vero missionario è Gesù Eucaristia. Per noi Francescano Missionarie di Maria l’adorazione eucaristica è il momento più importante della giornata.

Nel 1945, al termine della seconda guerra mondiale, insieme ad altre venti suore italiane ho dovuto abbandonare la Tunisia, perché la Francia ci considerava fasciste. Con una camionetta, che portava la scritta “LA LOI”, siamo state trasferite al porto di Tunisi, scortate da gendarmi armati. È facile immaginare con quale sentimenti lasciavo quella gente che amavo…

Dopo un’avventurosa traversata, abbiamo pernottato a Palermo e al mattino ci siamo ritrovare senza più una valigia!

Al nostro arrivo a Roma ci ha accolte la nostra Madre Generale con queste parole di affetto e di conforto: “Siete vere figlie di san Francesco: cacciate e derubate!”.

Dopo una ventina d’anni trascorsi in Italia come missionaria, l’obbedienza mi ha inviata di nuovo nella missione “ad extra” in Libia, presso i lebbrosi.

Le condizioni igenico-sanitarie del lebbrosario erano assai precarie; i malati quasi in uno stato di abbandono. Ci siamo date subito da fare, prendendo a cuore la situazione. Così abbiamo sollecitato il Governo a mettere a disposizione attrezzature adeguate e tutto il materiale necessario. Senza misurare tempo ed energie, abbiamo cercato di far sentire ai malati che valeva la pena dedicarsi a loro nel miglior modo possibile. Ed era davvero per noi una consolazione capire che i malati si sentivano amati, apprezzati. Alcuni di loro, curati bene nella fase iniziale, sono poi guariti e hanno potuto reintegrarsi nella società.

Non esagero se dico che gli anni più belli della mia vita li ho trascorsi con i fratelli lebbrosi.

Nostro obiettivo era anche quello di formare professionalmente infermieri locali, così da renderli autosufficienti.

Forse può interessare anche un’altra esperienza, quella presso i carcerati italiani a Tripoli. La maggior parte di loro era in carcere perché sorpresi in possesso di droga, anche in quantità minima: la Libia adotta pene severissime al riguardo. Avevo anche contatti, come intermediaria, con il giudice del tribunale.

Il Signore mi ha offerto l’occasione di parlare direttamente con l’onorevole Giulio Andreotti, a quel tempo Ministro degli Esteri, durante una sua visita ufficiale in Libia.

Alla mia richiesta di un possibile intervento a favore dei detenuti italiani condannati per droga, mi ha risposto: “Posso solo proporre al governo libico uno scambio tra prigionieri italiani in Libia e prigionieri libici in Italia”.

Questo desiderio è stato esaudito, con nostra gioiosa sorpresa, l’anno successivo.

E ora giungo alla conclusione: anche se ho già compiuto novant’anni, mi sento ancora missionaria a pieno titolo. Soprattutto durante l’adorazione eucaristica “porto” al Signore i miei fratelli… e mentre lo ringrazio del grande dono della vocazione religiosa, gli dico confidenzialmente: “Io ora sono anziana… Tu Gesù, puoi invitare altri giovani a far conoscere il tuo amore nel mondo. Così avranno la gioia di risponderti: “Eccomi volentieri!”

 
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