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Il cimitero di Brancafóra

 

          È noto che nei tempi antichi era costume diffuso seppellire i morti attorno alle chiese, e questo succedeva anche a Brancafóra. La nostra chiesa era molto più piccola di quella attuale, ed aveva l'entrata ad ovest, all'incirca dove oggi vediamo l'altare maggiore. I fedeli, ed anche il celebrante, si inginocchiavano rivolgendo lo sguardo ad est, verso Gerusalemme e verso il sorgere del sole, simbolo della risurrezione di Cristo. Attorno all'edificio, dove oggi c'è la pavimentazione esterna in cemento, esisteva il cimitero. Ne abbiamo avuto una conferma anche l'estate scorsa, durante i lavori di ristrutturazione della chiesa, quando sono emerse chiare tracce delle antiche sepolture. Lì riposarono in pace non solo i Pedemontani ma anche i Lusernati fino al 1745, i Casottani fino al 1760 ed i Lastarolli fino al 1767. C'era anche una piccola cappella con altare e pitture: probabilmente è la costruzione che vediamo nella foto seguente.

 

La fotografia risale certamente agli anni compresi tra il 1884 ed il 1892, quando a Brancafóra era Parroco Don Giuseppe Svaldi, il sacerdote nato a Piazze di Pinè, morto nel 1895 a soli 48 anni. A quel tempo il cimitero era già stato spostato dove si trova tuttora.

 

          Mons. Alberto Carotta ci dice che una prima croce del primitivo cimitero venne posta nel 1633, sostituita nel 1699 da un'altra di ferro, infissa  in una colonna di pietra (A. Carótta, pag. 62). All'inizio del XIX secolo Napoleone conquistò la penisola italiana e, tra tante norme ferocemente anticlericali, ne emanò una che aveva solo carattere di pubblica salute: i luoghi di sepoltura dovevano essere lontani dalle chiese. A Brancafóra questo avvenne nel 1878, quindi otto anni dopo l'erezione dell'attuale chiesa. Toccò a Don Bartolomeo Gubert, il Parroco originario di Primiero, morto nel 1926 all'età di 95 anni, rimasto sempre molto legato alla nostra comunità, il privilegio di benedire il nuovo cimitero (Lettera 24.10.1878). Nel vecchio camposanto fu risparmiata una sola lapide: quella di Don Luigi Hueber "paroco zelante di Brancafóra morto nel 1867 il 22 ottobre" originario di Folgaria, che venne murata all'esterno del lato ovest della chiesa.

          Nel 1888 il Parroco Don Giuseppe Svaldi volle ampliare di un terzo la superficie del cimitero, che risultava insufficiente. L' Imperial Regio Capitanato Distrettuale intervenne ordinando così al  Capo Comune: "… Inoltre si dovrà venire eretta una camera mortuaria con tavola per deporvi o sezionarvi i cadaveri, e con una stuffa da riscaldare nei tempi freddi" (Lettera 27.08.1888). Nel chiedere alla Curia di Trento l'autorizzazione a benedire solennemente l'opera, l'Arciprete scrisse anche: "Nella parte nuova vorrei assegnare il posto pei non battezzati e ciò per la ragione che si dubita ove sia questa, nel vecchio" (Lettera 08.09.1888), e tre giorni dopo, assieme al permesso', riceveva anche l'incarico di benedire il nuovo cimitero di Luserna.

          Nel 1905 il cimitero purtroppo dovette di nuovo essere ingrandito, e la parte aggiunta fu benedetta "… da Sua Altezza Illustrissima e Reverendissima il Principe Vescovo Celestino Endrici nell' occasione della sua prima Visita pastorale in questa Parrocchia" (Questionario 1914 - 1928).

          Dato che si erano verificati dei disservizi per quanto riguarda la realizzazione delle fosse, già vent'anni prima si era pensato di delegare ad una persona competente e fidata tutto ciò che riguardava il cimitero; leggiamo infatti: "… Viene quindi col presente decreto aperto il concorso per chi volesse applicarsi a quest'ufficio" (Lettera 25.10.1885). L'incaricato, dietro un piccolo compenso, avrebbe dovuto garantire un servizio uguale per tutti indistintamente, compilando tra l'altro un registro di tutti i morti. Non sappiamo se qualcuno rispose all'appello, quello che è certo è che trent'anni dopo si era al punto daccapo. In un documento del 25 febbraio 1915 Don Giovanni Albertani stabiliva, in accordo con il Comune, di cercare una persona con i medesimi compiti. Gli uomini validi del nostro paese erano già in guerra sui fronti orientali, e si voleva evidentemente qualcuno "… che resti in paese, ne abbia ad emigrare". Si pensò quindi di offrire anche un piccolo stipendio di 20 corone annue, pagate in parti uguali dal Comune e dalla Confraternita del Santissimo, oltre ad un compenso di 3 corone per ogni fossa grande e 2 per quelle piccole (Documento 25.02.1915). Il foglio preso in esame elenca una serie di norme molto rigide e tuttavia, nonostante il carattere burocratico del documento, traspare il grande rispetto e la delicatezza che si avevano nei riguardi dei resti dei nostri defunti: "Se nello scavare delle fosse venissero scavate delle ossa, [l'incaricato n.d.a.] dovrà tenerle coperte e deporle subito prima della copertura della fossa fatta".

          Secondo quanto emerge dai documenti d'archivio, il cimitero era poco curato: "… È circondato di muri, il cancello di ferro chiuso a chiave, i muri però sono tutti scrostati. È tenuto male, non v'è un fossore [cioè un becchino n.d.a.] stabile, ogni famiglia pensa pei suoi morti e il parroco ha da sapere dove deve farsi la fossa! Stante la cosa così non v'è nemmeno chi sia tenuto a tagliar l'erba ed abbruciarla. Solo ai Santi ogni frazione si curava di regolare un quarto dello stesso per ognuna" (Questionario 1914 - 1928).

          Dopo pochi mesi, con l'entrata in guerra dell'Italia, i Pedemontani purtroppo furono costretti ad affrontare problemi ben più gravi ed urgenti, dovendo partire come profughi verso l'interno del grande Impero Asburgico. Durante la Grande Guerra, a Brancafóra furono sepolti alcuni militari austroungarici, evidentemente deceduti in zona. Nel 1919 Don Giovanni Albertani documentò l'esistenza di una sezione militare con "… sepolture di soldati morti durante la guerra europea", indicandone la dislocazione e tutte le notizie ricavate dalle croci. Tra il 21 luglio 1916 ed il 9 ottobre 1918 vennero qui sepolti 30 uomini, tra i quali anche alcuni prigionieri russi, di cui conosciamo le generalità e la data di decesso, mentre tre tombe rimasero senza nome (Documento 19.07.1919).

 

Ecco la mappa realizzata nel 1919 da Don Giovanni Albertani, con l'esatta dislocazione delle fosse della "sezione militare" del cimitero di Pedemonte (Arch. Parrocchiale Brancafóra, Teca 14).

 

          Le salme di questi militari certamente furono in seguito trasportate in un Ossario, probabilmente in quello di Asiago. Pedemonte pagò un altissimo tributo di sangue a quella che il Papa dell'epoca definì "un'inutile strage", ma anche con l'arrivo della pace la situazione rimaneva preoccupante per la mancanza di lavoro e per la scarsità di cibo. Aumentavano i decessi, tanto che il Comune si vide costretto ad ingrandire ancora una volta il cimitero, ed il Parroco scriveva: "… La necessità di detto ingrandimento dal ritorno in paese dopo l'armistizio in poi fu continuamente reclamata dallo scrivente al quale si rivolgono ogni qualvolta è bisogno di aprire una fossa ed oggi non si sa più dove aprirne" (Lettera 18.09.1923).

          Negli anni 1923 - 1924 si realizzò l'opera, benedetta da Don Giovanni Albertani il 27 luglio 1924. Questa volta l'aggiunta fu fatta verso il lato a nord, dove c'è l'entrata, e fu necessario spostare di qualche metro la strada. Il Parroco scrisse un'annotazione interessante: "…La parte non benedetta si trova nella nuova aggiunta a sinistra di chi entra - misura 2 m. in lunghezza dal cantone del muro verso (la nuova) viale di entrata e m. 1,20 in larghezza. È segnata da 3 sassi di cui 1 al muro di sett. 1 al muro di oriente, 1 segna l'angolo" (Lettera 01.08.1924). Quello era il luogo destinato a chi non moriva in Grazia di Dio come ad esempio i suicidi, gli eretici e gli scomunicati, oppure i non battezzati. Mentre infatti secondo la legge civile tutti dovevano essere sepolti all'interno del cimitero che era di proprietà del Comune, secondo le regole della Chiesa non tutti potevano riposare in terra benedetta.

          Oggi queste cose ci fanno sorridere, ma un tempo non era così. La proibizione a seppellire cristianamente il padre contribuì grandemente alla decisione del sacerdote Giovanni Calvino di abbandonare la nostra Chiesa, per fondarne un'altra. La gente era spesso disposta a chiedere un miracolo pur di poter dare una degna sepoltura ai propri cari, e nella veneranda chiesa di Brancafóra, secondo quanto testimoniano i documenti, qualche volta ciò avveniva veramente! Da tutta l'attuale provincia di Vicenza venivano portati bambini nati morti e si mettevano ai piedi della statua della Beata Vergine. Quindi si pregava, assieme ai religiosi, con grande fede nell'onnipotenza di Dio. Se il bambino riprendeva vita, anche solo per qualche istante, immediatamente veniva battezzato. Il corpicino poteva quindi essere sepolto con rito cristiano nella sezione infantile del nostro cimitero.

          Proviamo per un attimo ad immaginare  come doveva essere profonda la fede di quei poveri cristiani che a volte partivano da lontano, perfino da Vicenza, da Costabissara e da Monte di Malo, portandosi appresso un figlioletto morto; nonostante l'immenso dolore non erano animati dalla speranza in una risurrezione corporea del piccolo, quanto dal desiderio di aiutarlo ad entrare in Paradiso. Citiamo ad esempio la traduzione di quello che nel 1717 scrisse il Cappellano Cristiano Rossatto, in latino:

"Nota Bene: Miracolo - Mercoledì 28 luglio 1717.  Oggi pomeriggio da Fara nel Distretto di Vicenza giunse un bambino morto, portato alla presenza della statua della Beatissima Vergine di Brancafora che fu posta davanti a lui, ed implorata la grazia della Divina Madre recitando il Santissimo Rosario diede segno di vita, soffiò con la guancia sinistra, e chiuse la bocca che era aperta, mutò di colore, presenti il Reverendissimo Signor Arciprete Tamanini, che date le circostanze gli amministrò il Battesimo, e me sottoscritto,  ed anche l'Illustrissimo Don Andrea Guglielmi da Pergine ed il suo corpicino fu sepolto sottoterra nella parte posta ad ovest (nel solito luogo riservato ai bambini).

il Cappellano Cristiano Rossatto

Il Defunctorum Liber conservato nell’archivio parrocchiale di Brancafóra costituisce una interessante fonte di informazioni sul passato di Pedemonte. Don Cristiano Rossatto testimonia che il giorno 28 luglio 1717 nella nostra chiesa avvenne un fatto definito miracoloso, alla presenza di altri autorevoli testimoni, e non si trattava di un caso isolato. La Chiesa di Brancafóra era molto conosciuta ed era meta di molti pellegrinaggi: in realtà era considerata un vero Santuario Mariano dove rivolgersi per ottenere una Grazia. Nel caso specifico si trattava di una Grazia Spirituale.

 

          Negli anni 60 del secolo scorso, durante i lavori tesi a realizzare alcune migliorie, venne malauguratamente tolta la bella e storica croce che da ben tre secoli vegliava sul riposo dei nostri morti. Essa fu demolita e gettata, assieme ad alcune lapidi, lungo il pendio che allora separava la strada, ed oggi il parcheggio, dalla Val del Rotòrto. Io ricordo bene quella croce, ed ogni volta che entro nel cimitero ne avverto la mancanza. È la stessa che, come detto poco sopra, venne eretta nel primitivo luogo di sepoltura nel 1699. Rappresenta un pezzo di storia pedemontana, e… chissà se un giorno qualche volenteroso saprà farla riemergere dai detriti per rimetterla dov'era!

          In tempi più recenti abbiamo assistito ad un ennesimo ingrandimento del cimitero la cui superficie ha incorporato i bei cipressi che lo attorniavano, oltre alla creazione di numerose Cappelle private sul lato occidentale.

          Oggi esso è, assieme alla chiesa, il luogo dove la comunità di Pedemonte si stringe nei momenti più significativi, e non sono rari i casi di emigranti ed anche persone nate e vissute altrove, che lo hanno scelto quale ultima dimora. La cura con la quale vengono tenute le tombe è un inequivocabile segno dell'affetto che lo circonda ed esso ricambia la cortesia facendo sorgere, per qualche attimo, nella mente di tutti coloro che ne calpestano il suolo, tanti salutari pensieri riguardanti quella che San Francesco chiamava nostra sorella morte e, con le parole di un altro grande Santo, sembra dirci: "comportati sempre come se stessi vivendo il tuo ultimo giorno".

Alberto Baldessari

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