Pagine ingiallite
     

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Cari lettori,

come annunciato nella rubrica “Pagine ingiallite” del n. di Pasqua, proseguiamo con il presente articolo a parlare dei Pastori d’anime che Brancafora ha avuto nel corso della sua lunga storia. Presentiamo quindi ora Don Bartolameo Gubert, Bortolo Giovanni Antonio Donato all’anagrafe, che fu qui parroco dal 1868 al 1884, fino quindi all’arrivo di Don Giuseppe Svaldi, già descritto la volta scorsa. Desideriamo ringraziare fin d’ora il Sig. Floriano Nicolao, sacrestano di Imer che si è prontamente e sapientemente attivato per fornirci molte delle informazioni che qui riportiamo, lodevole esempio di disinteressata e quantomai apprezzata collaborazione. Benché fosse più vecchio di Don Svaldi, che gli subentrò nel 1884, anche di Don Gubert esiste una foto, ma che lo ritrae in età avanzata e quindi molto tempo dopo, nei primi anni venti del secolo scorso e usata per la memoria, che qui a fianco riportiamo. Nato a Fiera di Primiero il 7 agosto del 1831 alle ore 12, figlio di Vito fu Giovanni Antonio e di Tisot Cattarina di Giacom’Antonio, vi morì alla veneranda età di quasi 95 anni il 10 giugno del 1926 alle ore 19 e vi fu sepolto il 13 giugno alle ore 16.

Famiglia, la Gubert,  sicuramente cara al Signore che qui ha scelto a piene mani i suoi servitori e che qui ha trovato sempre una pronta risposta: oltre a Don Bartolameo infatti si contano tra i nipoti e i pronipoti ben tre sacerdoti e quattro suore che, scegliendo di servire Dio e il prossimo, hanno di fatto portato a termine la dinastia; possiamo però ben dire, a missione compiuta.

Ordinato dal Beato Giovanni Nepomuceno Tschiderer nel 1856 spese la sua lunga vita a Canale, Cles, Prade, Brancafora 16 anni, Volano 27 anni, poi ritirato a Fiera fino alla morte nel 1926. Uomo retto, zelante e pio lavoratore, buon consigliere lasciò dappertutto un ottimo duraturo ricordo.” (da “Voci di Primiero” – dicembre 1962).

In quanto allo zelo e all’intraprendenza ne siamo testimoni tutti noi ancora oggi ogni volta che varchiamo la porta della nostra amata chiesa parrocchiale: è stato infatti proprio Don Bartolameo Gubert a farsi instancabile interprete della richiesta della popolazione tutta di dotarsi di una nuova chiesa, dato che quella che trovò al suo arrivo era “… affatto incompatibile pei bisogni delle popolazioni componenti la Parrocchia, perché assai piccola. Che quella Chiesa è indecente, e, senza tema di esagerare, è la più inetta di tutta la Diocesi, mancante di avvolto, che viene sostituito dal tetto della detta Chiesa, e che questo è pericolante, avendo le cavriate guaste in modo, che dev’essere sostenuto con diversi puntelli lateralmente nell’interno della Chiesa stessa. Che le muraglie mancano di solidità, troppo sotili, e guaste per la vetustà, e pella mala costruzione, e che non potrebbero essere utilizzate nel caso si volesse ingrandire la vecchia Chiesa. Ritenuto l’impossibilità del suo ingrandimento, opino, essere necessario di costruirne una nuova.” (dalla lettera del 24.01.1861 da Caldonazzo del perito geometra incaricato Franco Vassudelli – archivio parr.le – Teca 10).

Si rimboccò quindi subito le maniche, coinvolse persone, enti, istituzioni e quant’altro fu in suo potere e così già nell’agosto del 1870 la costruzione era giunta al tetto; al tetto sì, ma certo non finita. Certamente ci vollero altri anni per dotare un po’ alla volta questa nuova chiesa di tutte quelle opere che l’hanno via via impreziosita ed abbellita. Uno su tutti ricordiamo lo splendido pulpito, da poco sapientemente restaurato da esperte mani locali e riposizionato al suo posto, acquistato già vecchio da Don Bartolameo dalla chiesa di Levico per 55 Fiorini, come risulta dalla ricevuta del 3.02.1877 (archivio parr.le – Teca 19) che qui riportiamo.

Proprio questo nostro bel pulpito, ceduto negli anni sessanta e tornato fortunatamente tra di noi come ben sappiamo, ci porta a ricordare con amarezza tutto quello che negli anni la nostra chiesa ha via via perduto, vittima di leggerezze e di mode passeggere, di norme che cambiano, di incuria e di altro ancora: basta prendere una foto della nostra chiesa degli anni cinquanta per rendersi conto di quanto più spoglia sia ora, ancorché più sicura e confortevole. Cerchiamo almeno di conservare con amore quello che ancora c’è, memori delle fatiche, delle difficoltà ma insieme della tenacia sostenuta dalla fede di coloro che ci hanno preceduto e che così vollero. Noi crediamo che a fare bello e interessante, familiare, mistico un luogo di culto non sono tanto gli altoparlanti più o meno potenti, i banchi più o meno anatomici, il riscaldamento o l’aria condizionata, per quanto utili o necessari, ma sono le pietre consunte dall’incedere di generazioni di fedeli, il legno tarlato intriso di preghiere e di antiche e nuove armonie, la statua del santo posta sopra la cassettina delle elemosine a ricordarci che possiamo essere noi la provvidenza altrui, la balaustra messa al bando che ha voluto e saputo ostinatamente  rimanere al suo posto (e non è purtroppo il caso nostro) a ricordarci che le cose di Dio sono distinte dalle cose del mondo, il suono amico e senza tempo delle campane, la fiammella tremula delle candele: sono i segni; segni di fede comune vissuta nella tradizione; segni che il tempo carica di significato, di storia, di valore; segni che ci distolgono dal mondo e ci avvicinano a Dio.

Ma torniamo a Don Bartolameo, che dopo 16 operosi anni a Brancafora, dove ha saputo certamente farsi apprezzare e ben volere, nel 1884 si trasferisce in quel di Volano. Anche qui, nel 1886, iniziò una serie di lavori di restauro e di abbellimento della chiesa, sia all’interno, che fece decorare dal pittore Attilio Trentini (1897) e dove fece rinnovare il pavimento con colori alternati bianco e rosso (1895) sia all’esterno, dove fece adornare la facciata dalle statue di San Pietro e di San Vigilio, opere dello scultore accademico Antonio Spagnolli di Isera (1901). Tra le moltissime cose che fece nei 27 anni passati a Volano va inoltre ricordata l’istituzione dell’Asilo per i bambini del paese (1905) e che “con autorizzazione della rev.ma Curia di Trento fondò la Congregazione Mariana femminile detta anche delle Figlie di Maria. Questa sussiste ancora”. (Da “Storia Mariana di Volano” – 30.10.1954).

Non si dimenticò in ogni caso di Pedemonte mentre era a Volano. Vi è infatti una discreta corrispondenza epistolare con il suo successore Don Svaldi che in diverse occasioni, anche a distanza di parecchi anni, ricorse a lui per chiarimenti o altro. Ma che Pedemonte gli restò nel cuore lo testimonia il documento che riportiamo a lato, datato 9.08.1905, ossia ben 21 anni dopo la sua partenza, e che recita testualmente:

 “M. R.do Signor Paroco  -   Sul principio del settantesimo quinto anno di mia età ho pensato di far questo dono a codesta Ven. chiesa sapendo (forse la Sig. V. m. R. avrà provvisto) che ne ha bisogno. Potrebbe ad ogni evento esser usato per tutti i colori, ad ogni modo confido che non vorrà rifiutarlo. Vorrà prima benedirlo, e far una qualche memoria del donatore nell’archivio canonicale non però pubblicare sui giornali, mi farebbe cosa a cui sono del tutto assai contrario, nesciat sinistra quod fecit dextera, se vuol peraltro dirlo ai parochiani raccomandando un Pater per me non sono niente affatto contrario anzi ne La prego. Stia bene, e preghiamo a vicenda.”

 

Non è chiaro in cosa consistesse esattamente il dono, ma è certo singolare e commovente questo atto dopo tanti anni, segno evidente che una parte di lui in fondo non se n’era mai andata e che Brancafora rimaneva ben presente nei suoi pensieri. E noi, a quasi ottant’anni dalla morte, abbiamo voluto qui ricordarlo e ringraziarlo. Così, la prossima volta che entriamo nella nostra bella chiesa, rivolgiamogli un pensiero riconoscente, meglio se accompagnato da una preghiera, magari quel “Pater” richiesto ai parrocchiani e quindi, perché no, proprio a noi.

 

Ettore Baldessari

Mario Longhi (organista)

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