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16 agosto 1855 – 16 agosto 2005:

150 anni dal rinnovo del voto fatto per devozione a San Rocco dalla gente di Scàlzeri, Longhi, Posta e Montepiano.

 

          A Scàlzeri ogni anno il 16 di agosto si festeggia San Rocco. È una delle più belle feste paesane dei dintorni, un tempo era anche la più seguita, la più attesa e, forse, la più importante. Sti-ani questo dì era soprattutto una festa religiosa, una sagra, dal latino “dies sacra”, cioè una giornata sacra da dedicare a Dio.

          Ci si alza presto per procurarsi i “frascari” con cui tappezzare i muri delle case: probabilmente all’inizio si faceva così solo per nascondere alla vista le numerose “pózze de la grassa”, oggi si tratta di una caratteristica che rende inconfondibile questa festa, ed una nutrita squadra di volontari ha già riempito la contrada di bandierine colorate. I preparativi hanno coinvolto per mesi molti scalzaróti che hanno profuso tempo e lavoro. Sul Cortivo ed in Piazzéta si mangia e ci si diverte, ci si incontra con i numerosi emigranti. Il rapporto che lega gli emigranti con la terra di origine è qualcosa di speciale, unico. Dovunque essi vadano portano nel cuore il loro paese. Non si tratta di retorica, basta guardare i loro occhi, oppure leggere le lettere e le poesie che pubblicano sul bollettino parrocchiale. Questa è soprattutto la “loro” festa perché, come si dirà più avanti, furono proprio alcuni emigranti a Genova a raccogliere, negli anni 1864 – 1865, il denaro necessario alla realizzazione dell’attuale cappella votiva.

          Forse oggi non tutti riflettono sul motivo per cui la gente di Scàlzeri era così devota a San Rocco, vediamo allora di ricordare alcuni momenti di storia scalzaròta.

 

“…il terribile minacciato flagello del collera morbij…”

 

          Nel 1817 vi fu un’epidemia di peste, che quasi certamente causò vittime anche a Pedemonte, e purtroppo non si trattava certo di una novità. Ogni qualvolta se ne avvertiva la minaccia, si ricorreva a San Rocco, da tutti riconosciuto quale potente protettore contro il contagio. Nel 1832 fece per la prima volta la comparsa in Italia il colera. In una lettera datata 10 luglio 1841 diretta al Parroco di Brancafóra, il Capo Comune Astegher scriveva: “ … L’Oratorio di S. Rocco fù stato eretto a cura di I.mo Sig. Parroco, mediante questuata elemosina. Nel 1836 mediante editto dal pergamo fù pubblicato a nottizia di ognuno che annualmente detto giorno (16 agosto n.d.a.) abbiasi a festeggiare in qualità di solenne votto e che al Maso Scalzeri nella stabilita Capella verrà cellebrata solennemente la s. Messa, onde poter sospendere il terribile minacciato flagello del collera morbij, da cui fummo anche preservati senza pretenzione di elemosina, quindi ne consegue, che anche in avvenire in tal modo tutto ciò debba essere eseguito” (Lettera 10.07.1843). Il Parroco si era lamentato perché gli scalzaróti non volevano donargli una congrua elemonisa per la solenne cerimonia.

          I titolari della Parrocchia di Brancafóra spesso stentavano a riconoscere ufficialmente l’impegno solennemente preso dagli scalzaròti nei confronti di San Rocco. Nel 1856 Don Antonio Matteotti scrisse una lettera alla Curia di Trento presentando una serie di lamentele, tra cui la seguente: “… La pretesa degli abitanti la villa Scalzari, dove nel 1836 fu eretta una capella a S. Rocco, i quali asseriscono, che nel detto anno fu fatto voto di festeggiare annualmente in perpetuo il giorno di S. Rocco celebrando la messa, ed il vespro in detta capella, e ciò contro tutti gli abitanti delle altre ville, i quali asseriscono, che tale voto riguardava a festeggiare il giorno colle funzioni in parocchia, come anche fece ultimamente Don Eccheli, ciocché non avrebbe fatto se creduto avesse l’esistenza del voto.” (Lettera 03.10.1856).

          Don Antonio probabilmente aveva ragione, perché già nel 1837 il parroco di Brancafóra scriveva: “Gli abitanti di Pedemonte votarono nello scorso anno di erigere una Cappella all’onor di S. Rocco nel caso, in cui preservati fossero stati dal temuto Cholera. Come il Cielo a lor benigno mostrossi accogliendo i lor prieghi, così eglino alla promessa fatta religiosamente adempirono…” (Lettera 28.08.1837).

          L’esistenza di una cappella fin dall’anno 1837 è testimoniata da molti documenti, come ad esempio una lettera del Parroco datata 15 luglio 1843: “Sono 6 anni che nella contrada dei Scalzeri venne eretto un piccolo oratorio dedicato a S. Roco (…) La ristrettezza di questo oratorio che appena ospita mezza dozzina di persone, fà si che tutta la folla del popolo deve starsene per ascoltare la Messa posto nella pubblica strada …” (Lettera 15.07.1843).

          La tenacia degli scalzaròti nel difendere la validità del voto fatto nel 1836 desta ammirazione, anche perché si scontrava spesso contro l’avversione del Parroco di turno. Questo stato di tensione, testimoniato da tante Lettere, durò fino al 1855, quando accadde qualcosa di terribile e tragico, che mise fine a tante sterili polemiche.

          In questo disegno, copia fedele di una vecchia mappa catastale, è visibile anche la cappellina dedicata a San Rocco. La carta originale porta la data del 1856, quando l’Àstico segnava il confine amministrativo tra Tirolo e Regno Lombardo Veneto, all’interno dell’Impero Austroungarico. Prima del 1815 e dopo il 1866 l’Àstico costituiva pure confine di Stato, ma gli abitandi di Scàlzeri, Longhi, Posta e Montepiano vi gettarono sopra ponti fatti di legami di amicizia e solidarietà.

          La croce indica sicuramente il primo luogo di culto di Scàlzeri, che fu eretto in Piazzéta, nel 1836. In realtà la “Piazzéta” divenne tale solo con la demolizione del vecchia cappella, mentre prima era costituita da un semplice incrocio di vie.

 

L’epidemia del 1855

 

          Era una calda estate con poca pioggia e l’Àstico, che qui separava il Tirolo dal Lombardo-Veneto, era quasi asciutto. Queste condizioni climatiche, unite alla generale mancanza di igiene, né qui né altrove infatti c’erano fognature o bagni, furono le premesse ideali per il diffondersi della malattia. Sembra che il morbo fosse stato portato dai reduci della guerra di Crimea. Dopo una breve incubazione, che andava da poche ore a pochi giorni, la malattia si manifestava con vomito, diarrea e crampi muscolari. Seguivano alcuni giorni di atroce tormento ed infine, quasi sempre, la morte per infarto. Chi riusciva a guarire ospitava nel proprio intestino per mesi ed addirittura per anni il vibrione, detto anche bacillo virgola, rimanendo perciò inconsapevolmente un potenziale veicolo di infezione per gli altri.

          Il 12 luglio ci fu la prima vittima: si chiamava Domenica Rossati, aveva 61 anni ed abitava a Montepiano, e tre giorni dopo ci fu la seconda. Il 16 luglio i morti furono due, e tre si ebbero il giorno 19.  Per più di un mese si susseguirono i decessi che seminarono lutti a Pedemonte e Lastebasse. In totale si ebbero 42 morti così suddivisi: 17 a Scàlzeri, 5 a Case Nuove (l’attuale piazza di Lastebasse), 4 a Ciéchi, 4 a Carótte, 3 a Lónghi, 3 a Montepiano, 2 a Posta, 2 a Quadri, 2 a Giacóni – Snìderi. (Pubblicazione 16.08.1955).

          Possiamo solo immaginare la disperazione della gente, il suo senso di impotenza di fronte ad un nemico invisibile e spietato. Nessuno poteva dirsi al sicuro, nemmeno il paesano che, secondo quanto si raccontava, era fuggito sul monte. Chi invece rimase al suo posto incurante della propria incolumità furono i parroci. Merita una menzione particolare il Cappellano Don Michele Corradini, che la Curia di Trento aveva invitato a prestare servizio in un’altra parrocchia: era una specie di promozione. Egli rispose chiedendo di restare per condividere le difficoltà del Parroco e del popolo, guadagnandosi il plauso dei superiori e la stima della popolazione: “… scoppiò già dagli 11 corrente il Cholera in questa Parrocchia, il quale fino ad ora infierì fortemente, e non pare che il morbo sia per cessare. Laonde pregherei il P.V. Ordinariato a lasciarmi qui fino a tanto che il Signore ci libererà da questo flagello, non soffrendomi il cuore  d’abbandonare il mio Signor Parroco e la popolazione in queste critiche circostanze” (Lettera 19.07.1855/2).

          Nei secoli passati  la sensazione della morte incombente su ognuno era assai diffusa, come è ben rappresentato anche dagli affreschi medievali raffiguranti il tema della “Danza macabra”. Nella chiesa di San Vigilio a Pinzolo ne troviamo forse il più conosciuto esempio. Qui la Morte segue come un’ombra tutti,  dal Papa all’Imperatore, dal guerriero al mendicante, dalla vecchia al fanciullo; rappresentata da coppie di scheletri invita beffardamente al ballo i vari personaggi e si presenta dicendo: “Io sont la morte che porto corona / sonte signora de ognia persona / et cossi son fiera forte et dura / che trapasso le porte et ultra le mura / et son quela che fa tremar el mondo / revolgendo mia falze atondo atondo”.

          Questo doveva essere lo stato d’animo della nostra gente che, anche nel XIX secolo, di fronte alla caducità della condizione umana si rivolgeva con grande fede a Dio. Nell’archivio parrocchiale di Brancafóra è documentata la presenza di numerose confraternite che testimoniano la sincera devozione dei pedemontani. Oggi se accade qualche calamità si è soliti accusare gli altri: i politici, la speculazione edilizia, l’inquinamento, la deforestazione ecc. Nel Medioevo invece ci si domandava: “Quali peccati abbiamo fatto per meritare un simile castigo?”, e nel 1855 la nostra gente forse era ancora un po’ influenzata da quest’ultimo modo di pensare.

          Nessuno era in grado di svolgere i lavori agricoli, e perciò per i superstiti si prospettava una sicura carestia. Si dice che furono gli abitanti di Montepiano, meno colpiti dalla terribile malattia, a provvedere al lavoro nei prati e nei campi anche per le vicine frazioni più sfortunate. Nel momento di maggiore difficoltà, proprio quando tutto sembrava perduto, entrò in gioco una grande risorsa che ai nostri vecchi, poveri di tutto il resto, non è mai mancata: la solidarietà! Questo bene prezioso ha accompagnato i nostri avi anche nelle successive immancabili avversità, come ad esempio durante la Grande Guerra, quando le comunità e le famiglie furono smembrate e disperse all’interno dell’Impero Austroungarico e sui vari fronti. Anche in quel frangente, con l’ausilio dei sacerdoti che mai abbandonarono il loro gregge, la nostra gente seppe affrontare le difficoltà cementando i legami famigliari e di amicizia. Oggi la logica dominante ci porta ad essere sempre più individualisti ed anche se, come diceva il nostro illustre compaesano Danilo Longhi recentemente scomparso, “in cinquant’anni siamo passati dalla fame alla dieta”, il benessere ci ha portato a dare valore più all’avere che all’essere. Dovremmo al contrario essere fieri del comportamento solidale dei nostri padri che anche nei momenti più bui seppero far emergere l’umana solidarietà.

 

La chiesetta

 

          Il primo luogo di devozione a San Rocco a Scàlzeri si trovava nella “Piazzéta”, addossato alla casa che fu di Ida Sartori “Gala”. Era una piccola costruzione risalente al 1836, la cui copertura possiamo intravedere nella foto seguente. In realtà non è escluso che anche prima di quegli anni in quel luogo esistesse una cappella, come sembra suggerire una lettera dell’Ordinariato di Trento al Decano di Levico, datata 3 agosto 1837: “… la Cappella nuovamente eretta per voto da quei di Pedemonte in onore di S. Rocco …” (lettera 03.08.1837). Si sarebbe quindi forse trattato del rifacimento, o ristrutturazione, di un più antico manufatto. Della cosa, pur plausibilissima, finora tuttavia non è stato possibile trovare conferme più precise.

 

La foto risale al 1916 e mostra dei soldati austriaci a Scàlzeri, mentre trasportano delle macerie. La casa diroccata a sinistra è quella di Gino “Pepe”. Nell’immagine sono visibili anche le tipiche scale esterne in legno: a destra quelle della casa di Giulia “Patróna”, a sinistra in quella di Ida “Gala”: anche se purtroppo finora non ho ancora potuto avere una conferma ufficiale, non è escluso che il 26 giugno 1916 in quest’ultima abitazione, ex Albergo Torre di Londra, abbia passato la notte l’Arciduca Carlo d’Asburgo che pochi mesi dopo, alla morte di Francesco Giuseppe, sarebbe diventato l’ultimo nostro Imperatore Austriaco. Nella sua breve vita si comportò in maniera coerente al Vangelo di Cristo, tanto che l’anno scorso Giovanni Paolo II lo dichiarò Beato.

          Al centro della foto, sotto all’abitazione di Carmela “Pìzzola”, si possono vedere il tetto e la parete nord della cappellina dedicata a San Rocco, in “Piazzéta”. (Per gentile concessione del Sig. Siro Offelli di Arsiero).

 

          In un documento datato 29 luglio 1924, Don Giovanni Albertani descrive questo luogo di culto: “L’oratorio di S. Rocco situato nella Frazione Scalzeri di questa Parrocchia pogiava alla casa di Scalzeri Antonio (gallo) la parete prospiciente la strada principale della quale serviva quale sfondo di detto oratorio. Le pareti laterali di muro solido, la facciata portava un’entrata grande a forma di portone con rotondo chiusa da un cancello di legno, il sofitto era a volto reale, il pavimento di sabbia e calce, era oltre modo umido. L’altare fatto di sassi e calce.

Possedeva gli oggetti quali appariscono dalla domanda per risarcimento di danni in causa della guerra  1914 - 1918  e che si conserva assieme alle carte riguardanti l’oratorio. Possedeva pure il suolo su cui sorge il nuovo oratorio e che era usato dai vicini quale letamaio, suolo che fu comprato nel 1864 – 1865 con offerte raccolte dai lavoratori della frazione a Genova, sulle quali offerte dovrebbero esser sopravvanzati 7 (sette) napoleoni in oro, dei quali però non si sa più dir niente, giacché colui che avrebbe potuto saper qualchecosa, secondo quanto si diceva, certo Domenico Scalzeri di qui, morì improvvisamente nel gennaio 1915. Detto suolo che si diceva inscritto a nome della Frazione Scalzeri, è proprietario la Comunità parrocchiale r. c. della B.V. Maria Assunta di Brancafora, la qual particella però fu comperata per S. Rocco come sopra è detto”.

          Sappiamo quindi che la vecchia cappella era molto piccola, e che godeva della proprietà del terreno sul quale ora sorge la chiesetta, dove fino ad allora c’era solo una “pózza e la grassa”. Al posto della statua del Santo vi era un dipinto, scomparso durante la Grande Guerra. Don Giovanni Albertani prosegue così:

Vi fu chi asserì essersi raccolti a Genova 17 marenghi in oro di cui 13 per compera suolo, ciò che sembrerebbe troppo, e 4 adoperati per la compera della Pala di S. Rocco. Altri asseriva che la Pala costava 8 marenghi, e come tale fu esposta pure pel risarcimento danni guerra. Già allora si pensava alla fabbrica del nuovo Oratorio, si erano anche preparati i sassi, che poi furono infine adoperati per fabbricare o per l’ingrandimento della casa di proprietà dei fratelli Lino e Michele Rocheti (chilon) e che erano stati stimati prev. accon. 70 (settanta) – di quel tempo e di questa vertenza dovrebbe saperne, si dice, certa Giuseppina Rossi n.  Rochetti – maritata a Villa Verde [località non meglio specificata n.d.a.] – Prov. Vicenza.

Venuto in Parrocchia lo scrivente si tratnuovamente della fabbrica del nuovo oratorio e si era già d’accordo, quando scoppiata la guerra, la cosa arenò.

Ritornati nel 1919 in paese, il piano regolatore di Pedemonte, vedi partecipazione del Comune di Pedemonte al parroco, in fatti, prevedeva la demolizione dell’oratorio di S. Rocco. Partecipata la cosa alla R.ma Curia di Trento rispondeva opportuno avere garanzie di ricostruzione acconsentendo la demolizione a patto sia assicurata la ricostruzione e questa possibilmente prima di quella e nella stessa frazione.

In seguito a ciò si convocarono i capifamiglia di Scalzeri e (…) si deliberò anche sul luogo della fabbrica (…).

Passando per di qui il M. R. Don Vicenzo Casagrande fu mostrato allo stesso il luogo scelto che fu dichiarato non atto allo scopo.

Allora convocata una seconda adunanza di capi famiglia alla quale furono pure invitati quelli di Longhi, stimando opportuno che l’oratorio sorgendosi su suolo della Frazione Scalzeri fosse pure a

portata comoda anche per Longhi, si decise di fabbricarlo sul Pra del molino. Vedi atto dei13 giugno 1920”.

          Si tratta del prato, ormai incolto e pieno di rovi, che si trova poco a monte della casa che fu di Mario Rocchetti “Chilon” e Massimina, dove un tempo sorgeva il “Molin dei Panzi” che sfruttava l’acqua del “Górgo santo”. Il documento continua così:

 

Causa non mantenuta parola sul prezzo del suolo da parte d’uno degli interessati ebbe il sopravvento la parte che era rimasta malcontenta per la scelta del luogo “Pra del molino”

che veniva dichiarata mal sicura per parte di macigni che potevano staccarsi dal monte sovrastante, e molto umida per lo scolo delle acque. Aggiungasi che un disegno approntato dal cantiere di Lavarone avrebbe aggravata la frazione di un debito assai grande, cosicché tutto sommato, anche la scelta del secondo luogo cadde e senz’altro si stabilì venga eretto sul suolo comperato già da anni per lo scopo. Così fu fatto. Si approntò il disegno dell’oratorio quale è il presente fu apprezzato e tosto dato mano alla costruzione del nuovo oratorio, nel 1921 nel febbraio, la prima pietra fu benedetta dallo scrivente ponendovi una pia memoria.

L’oratorio fu fabbricato dalla Cooperativa di lavoro di Pedemonte, l’altare fu fatto da Giovanni Munari fu Antonio pure di Pedemonte. L’oratorio fu benedetto solennemente dallo scrivente Don Giov. Albertani parroco di Brancafora,  (…) ai 16 agosto 1921, coll’assistenza anche del M. R. Parroco di Luserna D. Augusto Gentilini e del Curato di Posta di Lastebasse D. Luigi Zotti. Fu una bella festa. In parrocchia fu benedetta la statua di S. Rocco – posta in luogo della Pala – portata processionalmente a Scalzeri – e dopo il Vespro fu fatta la processione delle stessa per la frazione. La statua fu portata da giovani di Scalzeri e Longhi che fecero delle offerte per la festa.

La statua fu fatta a S. Uldarico di Gardena da Francesco Martiner e costò L. 300 (trecento) posta a Trento”.

 

          La statua è un’opera pregevole ed il citato scultore, che si definiva “Fornitore di S. Santità P. P. X, Fornitore della Corte Ducale”, la spedì il 19 luglio 1921 da Ortisei / Sankt Ulrich: “Spero che detta Statua arrivera bene impacata e che sara a sua sodisfazione”(Fattura 20.07.1921).

La cerimonia di inaugurazione della nuova Cappella coinvolse l’intera popolazione di Scàlzeri, Pòsta, Lónghi e Montepiano, e si concluse nel migliore dei modi:

 

Vi fu un piccolo pranzo al quale presero parte oltre i sacerdoti sunnominati anche il Commiss. Regio Longhi Enrico, il maestro Longhi Leonardo, il direttore del Reparto Cantiere Lavarone in Val d’Astico Sign. Arturo  (…)” (Memorie 29.07.1924).

 

          Nel 1955 Mons. Daniele Longhi fece dono di una reliquia: “… sacras particulas ex ossibus Sancti Rochi (Autorizzazione 01.07.1955). La chiesetta così come oggi la vediamo è il frutto di un ampliamento avvenuto qualche decennio fa, ed è stata inoltre arricchita da alcune pitture del nostro compaesano Carlo Scienza. Nel corso degli anni gli scalzaròti hanno mantenuto con cura questo luogo di culto ed hanno tenuto fede al voto espresso nel 1836 e rinnovato nel 1855.

Oggi la sagra di San Rocco è un momento di festa ed allegria per tutti. Quando andiamo sul “Cortivo” ad ascoltare la musica, quando  entriamo nella “Cantina scalzaròta”, quando facciamo il tifo per i fanciulli che gareggiano come probabilmente fecero i loro padri per un secolo e mezzo, spendiamo almeno un pensiero per i morti del 1855, per la profonda fede dei nostri progenitori e per la solidarietà che sempre li contraddistinse nelle avversità. Facciamo in modo che dell’antica devozione verso San Rocco non rimangano solo le bandierine.

 

Alberto Baldessari

 Fonti

 

Archivio Parrocchiale di Brancafóra, Teca 14, Cappella S. Rocco, Lettera 3 agosto 1837  (Lettera 03.08.1837)

Archivio Arcivescovile di Trento  Teca Parrocchia di Brancafóra, Lettera del Parroco di Brancafóra alla Curia 28 agosto 1837 (Lettera 28.08.1837)

Archivio Parrocchiale di Brancafóra, Teca 14, Cappella S. Rocco, Lettera 10 luglio 1843  (Lettera 10.07.1843)

Archivio Parrocchiale di Brancafóra, Teca 14, Cappella S. Rocco, Lettera 15 luglio 1843 (Lettera 15.07.1843)

Archivio Arcivescovile di Trento  Teca Parrocchia di Brancafóra,  Lettera di Don Antonio Matteotti alla Curia 19 luglio 1855  (Lettera 19.07.1855/1)

Archivio Arcivescovile di Trento Teca Parrocchia di Brancafóra, Lettera di Don Michele Corradini alla Curia 19 luglio 1855  (Lettera 19.07.1855/2)

Archivio Arcivescovile di Trento  Teca Parrocchia di Brancafóra, Lettera della Curia di Trento a Don Antonio Matteotti 24 luglio 1855 (Lettera 24.07.1855)

Archivio Arcivescovile di Trento Teca Parrocchia di Brancafóra, / 49 / 1C / 1852 Lettera di Don Antonio Matteotti alla Curia 3 ottobre 1856  (Lettera 03.10.1856)

Archivio Parrocchiale di Brancafóra, Teca 14, Eredità S. Rocco, Fattura di Francesco Martiner Scultore e costruttore di Altari, 20 luglio 1921  (Fattura 20.07.1921)

 

Memorie riguardanti l’Oratorio di S. Rocco agli Scalzeri di Pedemonte dal 1914 in poi

Archivio Parrocchiale di Brancafóra, Teca 14, 29.07.1924  (Memorie 29.07.1924)

Archivio Parrocchiale di Brancafóra, Teca 24, Proposte di Cambiamento ed Autorizzazioni, Autentica della reliquia di San Rocco 01.07.1955  (Autorizzazione 01.07.1955)

Pubblicazione “A ricordo del primo centenario della erezione della Cappella di S. Rocco 1855 1955”, 16 agosto 1955 (Pubblicazione 16.08.1955)

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