Saluto del Parroco
     

La copertina di questo numero di Campane riporta una foto scattata sul Monte Nebo, in Giordania, dove la tradizione biblica (Dt 32,48-52) vuole sia morto Mosè che da lì, comunque, ha potuto vedere la Terra Promessa. Da quel punto, in effetti, si gode uno splendido panorama sulla valle del Giordano e sulla Palestina. La grande croce di ferro che si vede nell’immagine richiama a un episodio del libro dei Numeri (21,4-9), fatto che è collocato nel deserto lungo il cammino dell’Esodo in cui Mosè ha condotto il popolo di Israele.

Dio castiga il popolo che si lamenta colpendolo con i morsi di serpenti velenosi (che non sono una rarità nel deserto). Molti israeliti trovano la morte finchè il popolo si rende conto del proprio peccato. Mosè invoca Dio che dice a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà, resterà in vita

Questo testo viene ripreso anche dall’evangelo di Giovanni (3,14) nel dialogo tra Gesù e Nicodemo ed è facile comprendere come abbia un forte riferimento pasquale. Sul palo non c’è più il serpente di rame ma lo stesso Figlio di Dio, Gesù che muore sulla croce per la nostra salvezza e redenzione. Ce lo ricorda chiaramente il brano di Giovanni appena citato: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”.

La nostra vita è spesso un deserto, inteso come luogo della prova, della tentazione, dell’assenza di parola e in questo luogo di desolazione veniamo morsi dai “serpenti” che infestano il nostro deserto. Serpenti che non sono tanto un castigo di Dio ma le nostre tentazioni, i peccati, il pensare secondo le cose del mondo. Tutti aspetti con cui ognuno di noi deve fare i conti. E come se non bastasse a questi aggiungiamo le sconfitte, le sofferenze, le delusioni che tante volte ci portano a pensare, come Israele nel deserto, che Dio ci abbia abbandonato, si sia dimenticato di noi. Ma non è così.

Anche a noi, qui e adesso, Dio pronuncia quelle stesse parole che ha dato al suo popolo eletto nel deserto. Anche noi, come Israele, siamo chiamati a volgere il nostro sguardo verso di lui perché da lui solo viene la salvezza, lui solo può guarirci dai tanti “veleni” che intossicano la nostra vita. Ma innanzitutto dobbiamo chiederci se vogliamo farci sanare da lui così come succede in tanti episodi evangelici. C’è questa scelta fondamentale che non possiamo delegare a nessuno, solo noi possiamo decidere se volgere il nostro sguardo a lui o tenerlo fisso sulle nostre cose, sulle priorità di questo mondo. Dio ci lascia liberi di scegliere da che parte stare…

Da cosa possiamo o dobbiamo farci guarire? Poco sopra parlavo di “veleni”. Credo, effettivamente, che spesso la nostra vita sia inquinata da tante invide, pretese, rancori, giudizi, dalla paura del futuro, dalle esigenze della moda, da una finta cultura che pone le sue basi sul gossip più che sulla storia e la realtà di un’umanità spesso sofferente e dimenticata.

Volgere il nostro sguardo al Cristo crocifisso significa ricentrare la nostra vita in lui imparando a puntare il nostro sguardo verso la fonte di ogni nostra speranza, come ci ricorda Benedetto XVI nella sua enciclica “Spe Salvi”. Ho l’impressione che spesso siamo cristiani che hanno lo sguardo altrove e rischiano così di perdere quel “contatto visivo” con il mistero redentivo della nostra fede e con la sorgente della vera speranza.

Il tema della speranza è stato al centro degli incontri formativi della Quaresima guidati dalle profonde riflessioni del Papa nella sua seconda enciclica. Scrive Benedetto XVI al termine del documento: “La vita è come un viaggio nel mare della storia, spesso oscuro e in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luce di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicini. E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza?”

Ricordiamola, Maria, sotto la croce con lo sguardo rivolto al Figlio inchiodato per i nostri peccati. Impariamo a riconoscere e ricordare quelle che il papa definisce “luce di speranza”. Oltre a Maria e ai santi ci sono tante persone, anche in mezzo a noi, che danno speranza con la loro generosità, con la loro umiltà, con la loro fede. Sono “indizi” che ci permettono di scoprire la vera e unica speranza, Gesù Cristo morto e risorto per noi, per ognuno di noi.

Che per tutti, soprattutto per chi vive la malattia e la sofferenza, possa essere una Pasqua di serenità e di speranza, nella quale, contemplando il Cristo risorto, troviamo la forza e le energie per rinvigorire la nostra fede nel Signore e per diventare sempre più testimoni della speranza perché abbiamo saputo volgere il nostro sguardo al Cristo innalzato. Ci accompagnino in questo le parole di Pietro: “Rendete ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15) . Buona Pasqua.

Don Giacomo

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