Saluto del Parroco
     

Chissà cos’avranno pensato l’asino e il bue in quella fredda notte di Betlemme guardando quel frugoletto appena nato, avvolto in fasce e riposto in una mangiatoia, come ci ricorda il vangelo di Luca (2,7).

Se sfogliamo i testi biblici non troveremo nessun riferimento a questi due “personaggi” del presepe aggiunti nella iconografia della natività da Origene, nel terzo secolo. Ciò non toglie che sia stimolante mettersi nei loro panni. Forse avranno avuto un pensiero di tenerezza davanti al fiorire della vita, fors’anche di tristezza nel vedere attorno a quel bimbo tanta miseria. Magari si sono resi conto di essere protagonisti di un evento epocale e in cuor loro sapevano che da quel momento sarebbero passati alla storia. E chissà cosa hanno pensato quando hanno visto arrivare quegli strani uomini da oriente: i Magi con le loro lunghe vesti e i doni per il bambino Gesù.

È una ridda di domande, di interrogativi anche curiosi che però, ahimè, navigano nel mare grande della fantasia, delle sensazioni e delle emozioni.

Nella realtà è molto più importante e concreto chiederci cosa penseremo e proveremo noi dentro la grotta di Betlemme, guardando quel bambino avvolto in fasce e riposto in una mangiatoia. È fondamentale chiederci: chi è per noi quel bambino?

Il rischio che ognuno di noi corre nel vivere questa solennità è quello di perdersi nei meandri del sentimentalismo, dell’emozione fugace che quando scompare ci lascia l’amaro in bocca, ci lascia più poveri di prima.

Come credenti non possiamo accontentarci di questo, non possiamo farci bastare il restare fuori dalla grotta; vi dobbiamo entrare per vivere fino in fondo il mistero del Dio con noi, di Dio che si fa storia ed entra nel mondo nella condizione più indifesa immaginabile: quella di un bambino e per lo più povero.

Dobbiamo allora, contemplando il mistero dell’Incarnazione, mettere un po’ da parte sentimentalismi e buonismi vari per lasciarci provocare da questa presenza salvifica che entra nella nostra vita.

In questa “operazione” di lifting del cuore ci può aiutare un brano biblico dei più classici: quello della visita dei Magi, raccontato con dovizia di particolari dall’evangelista Matteo (2,1-12)

Possiamo partire proprio dalla motivazione che li ha messi in viaggio: “abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo” (2,2).

Il loro mettersi in moto è frutto di una ricerca ben precisa, è frutto di una scelta che trova le sue radici nel desiderio di scoprire, di conoscere, di imparare. Questo li fa partire da luoghi misteriosi che l’evangelista omette forse per farci capire che da ogni angolo della terra può partire qualcuno che desidera conoscere il Signore.

Davanti a questo “movimento” dei Magi, che può riportare alla memoria tanti altri movimenti biblici che segnano la storia della salvezza a partire da Abramo, il primo a mettersi in moto, fino a quello dei pastori nella notte santa, dobbiamo chiederci dove siamo noi. Dobbiamo domandarci se desideriamo conoscere il Signore e se davvero ci siamo messi anche noi in movimento.

In un mondo che correr all’impazzata (a volte si ha l’impressione che corra verso l’autodistruzione) spesso nella fede siamo fermi, immobili, come delle belle statue marmoree che adornano piazze o palazzi.

Lo stesso Origene che ha messo nel presepio l’asino e il bue richiamandosi alle profezie di Ababuc e Isaia, invitava le sue comunità a “diventare cristiani”. Credo che mai appello si sia rivelato più urgente. Siamo diventati , o stiamo diventando, spettatori passivi e spesso indifferenti davanti a quella stella che non manca mai di brillare nella nostra storia, nella nostra vita di tutti i giorni. I Magi non si sono accontentati, nemmeno delle parole di Erode e dei sommi sacerdoti, sono andati avanti nella loro ricerca. Anche noi se davvero vogliamo incontrare il Signore, se vogliamo vivere da cristiani non possiamo accontentarci delle briciole di una fede vissuta a “bocconcini” quando capita capita.

È tempo di scrollarci da quel torpore che ci annulla rendendoci spettatori passivi della vita che scorre, inesorabilmente. Non possiamo accontentarci di piccole e brevi emozioni natalizie per por ripiombare nella penombra di una vita senza Dio.

Matteo ci narra che i Magi “al vedere la stella essi provarono una grandissima gioia” (2,10). Non è semplicemente una annotazione a margine di quanto questi uomini stanno vivendo. È piuttosto la radice della nostra vita. È guardando all’unica luce vera della nostra vita, il Dio con noi, che possiamo provare anche noi una grandissima gioia. Tutti vogliamo essere felici, è l’anelito insito in ogni uomo, ma spesso la cerchiamo nelle cose effimere di questo mondo; energie e tempo sono dispiegate a raggiungere chimere mortali che si dissolvono, prima o poi, nelle nostre mani.

Impariamo a guardare quella che Giovanni dice “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv. 1,9) per dare, come i Magi, un senso pieno alla nostra vita. Cerchiamo di gustare la gioia profonda di chi si sente amato da Dio che entra nella nostra vita. Spesso ci lamentiamo di Dio. Sembra che egli non ci ascolti e, soprattutto, non faccia quello che vogliamo. Ma di che Dio stiamo parlando? Di un Dio a nostro uso e consumo o del Dio di Gesù Cristo che ci chiede di essere il centro della nostra vita, la stella della nostra esistenza? Riappropriamoci della nostra stella, di quella fede che orienta le nostre scelte, i nostri comportamenti, il nostro vivere.

I Magi si presentano a noi come uomini coraggiosi, capaci di lasciare le sicurezze di questo mondo per cercare Dio, per cercare ciò che conta.

Anche noi abbiamo bisogno di un po’ di coraggio, necessitiamo di quel pizzico di temerarietà che ci porta fuori dalle nostre statiche sicurezze per entrare nel mondo di Betlemme dove brilla la luce di Dio ma anche dove siamo chiamati a vedere quello che succede attorno a noi. Quella stella, segno dell’amore di Dio, mette in evidenza, talvolta brutalmente, anche tutte le miserie di un’umanità dimenticata e bisognosa davanti alla quale non possiamo restare indifferenti. Un’umanità che ha bisogno dei nostri “doni” come il Messia aveva bisogno di quelli portati dai Magi.

Anche noi mettiamo davanti alla mangiatoia i nostri doni ma, umanamente, anche le nostre fatiche, i dolori e le sofferenze che non mancano mai. Da quella mangiatoia che nell’iconografia orientale richiama già al sepolcro, il Signore Dio ci accoglie con la nostra vita, con il cammino fatto per arrivare fino a Lui.

Mettiamo lì quest’anno che ormai si conclude e lasciamo che la luce del Messia ci riempia l’esistenza permettendoci di guardare chiaramente la strada, ancora lunga, che ci resta da fare.

Siano quelli del Natale e delle festività, giorni di pace e di serenità, giorni in cui il nostro cuore si perde nell’amore di Dio e delle persone care per poter poi riprendere, come i Magi, il nostro cammino nelle strade della vita, dove siamo chiamati ad essere testimoni di questo evento di salvezza.

A tutti voi, soprattutto a chi è nella sofferenza, nella malattia e a chi vive lontano dal paese, l’augurio di giorni carichi di ogni bene confortati dal “sentire” la presenza di tutte le nostre comunità.

Buon Natale e felice anno nuovo.

 

                                               Don Giacomo

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