Saluto del Parroco
     

“Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace.” (Nm. 6,25-26).

Molto spesso, anzi oserei dure con sempre maggior frequenza, la parola “pace” è una sorta di “cavallo di Troia” che nasconde interessi che nulla hanno a che fare con una delle condizioni primarie della convivenza e anche di quella felicità che è anelito di ogni animo umano.

Anche questi ultimi mesi sono stati contrassegnati da appelli unanimi alla pace, alla concordia, alla giustizia e alla solidarietà. Ma i più restano appelli inascoltati, che cadono nel vuoto di un meccanismo, quello delle nostre società, che scorre su binari diversi, strade legate al profitto più che alla concordia dei popoli.

Gli eventi tragici di Londra, lo stillicidio degli attentati in varie parti del mondo e soprattutto in Iraq, ma anche i drammi familiari sfociati in tragedia che hanno caratterizzato la cronaca del primo periodo dell’estate ci portano forse a pensare che l’umanità stia rotolando in un baratro senza fondo dove controversie, discordie, ansie, si risolvono a colpi di fucilate e la difficile convivenza dei popoli al ritmo scandito da bombe e kamikaze senza speranza.

Sembra uno scenario fosco, lontano anni luce dalle parole dolci e cariche di amore che Dio rivolge al suo popolo nel breve testo del libro dei Numeri con cui ho iniziato questa riflessione. Lo scenario può essere fosco ma non possiamo fare a meno di cercare segni carichi di speranza e di incoraggiamento.

Abbiamo ancora negli occhi e nel cuore i giorni dell’agonia e della morte di Giovanni Paolo II che è stato sicuramente uno dei più  grandi annunciatori e testimoni della pace di quest’ultima porzione di storia umana. La prova tangibile del suo impegno per la pace è stata la presenza alle esequie delle massime autorità religiose delle grandi confessioni. Perché questo è un grande segno di pace? Perché espressamente è una risposta a chi vuol fare della religione un pretesto per creare una situazione di paura e terrore. A volte credo sia scorretto parlare di terrorismo di matrice islamica perché l’esperienza religiosa musulmana niente ha a che vedere con l’efferatezza di chi tira nel mucchio. Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe che accomuna l’esperienza delle tre grandi religioni monoteiste, è un Dio di amore, di misericordia e di pace. Giovanni Paolo II non si è mai tirato indietro dal testimoniare e annunciare l’amore paterno di Dio che sfocia nella pace. Un cammino iniziato con il grande raduno di Assisi, passato attraverso le Giornate Mondiali dei Giovani, visite estremamente significative nei luoghi santi delle altre religioni e, perché no, anche attraverso quel grido “convertitevi” partito dalla valle dei templi di Agrigento contro la mafia.

Si potrebbe continuare parlando di molte altre figure che in questi ultimi anni sono stati testimoni della concordia, del dialogo, della pace. Storie che per lo più si sono svolte al di fuori dello scenario politico perché inserite in quel tessuto umano fatto di sofferenze, fatiche, dolori, che spesso accomunano gran parte dell’umanità.

È invece il caso di soffermarci un momentino sul significato biblico della parola pace che ricorre centinaia di volte nella Parola di Dio.

Il termine “shalom” in ebraico sta ad indicare la totalità complessiva del benessere soggettivo e oggettivo; sta ad indicare uno stato di benessere o, se vogliamo, di benedizione. È un termine che non si limita alla certezza di un accordo che garantisce la pax in senso latino né all’esclusione stabile dello stato di guerra proprio del termine greco eirené ma associa a questi aspetti il benessere totale, l’armonia del gruppo umano e del singolo individuo con Dio, con il mondo materiale, con gli altri gruppi ed individui e con se stesso, nell’abbondanza e nella certezza della salute, della ricchezza, della tranquillità, dell’onore umano, della benedizione divina o, in una parola, della “vita”.

Comprendiamo bene, allora, come questa parola irrompa nella nostra vita, non tanto come uno slogan da gridare tra un attentato e un altro, ma come un vero e proprio stile di vita. La pace non è semplicemente assenza di uno stato di guerra ma un modo di vivere bene, nella piena comunione con Dio e con gli uomini.

In quest’ottica si capisce bene una delle beatitudini del vangelo di Matteo: “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” (5,9).  Essere costruttori di pace non significa solo impegnarsi ad appianare i grandi o piccoli conflitti che segnano la storia delle nazioni ma vuol dire impegnarsi a costruire relazioni di comunione e di “benedizione” prima di tutto fra di noi, all’interno delle nostre famiglie, delle nostre contrade, delle nostre comunità.

Possiamo anche pensare di aver raggiunto una pace interiore che magari ci consente di affrontare con un certo spirito le fatiche della vita ma questa pace non è un dono intimistico, come ci ricorda san Paolo nella lettera ai Galati (5,22), un bene da tenere per sé ma è tramite di vera e integrale comunione fraterna. Il cristiano non è solo fruitore del dono divino della pace ma deve esserne anche il promotore, secondo la linea tracciata dall’apostolo Giacomo: “La sapienza che viene dall’alto è anzitutto incontaminata, poi è pacificata, benevola, docile, colma di misericordia e di buoni frutti…: e il frutto della giustizia viene seminato nella pace per coloro che operano pace” (3,17-18).

La realizzazione della pace nella condotta cristiana ha in primo luogo un aspetto interno che consiste nel comportamento personale di chi vuole vivere in pace con gli altri. Chiediamoci se cerchiamo sempre l’incontro e il dialogo o se a volte non cerchiamo invece la lotta, lo scontro, atteggiamenti che sono agli antipodi delle beatitudini evangeliche.

Impariamo a vivere in pace non perché ci disinteressiamo di tutto ciò che succede attorno a noi ma perché cerchiamo di costruire una storia di relazioni, di dialogo, di comunione.

Il periodo estivo che stiamo vivendo può essere una bellissima occasione per costruire o ricostruire questo stile di vita che oserei definire tipicamente cristiano e che trova le sue radici in quel “Pace a voi” che il Risorto rivolge ai suoi discepoli nelle apparizioni pasquali. Sfruttiamo i giorni del riposo per ritrovare quell’armonia interiore di cui ognuno di noi ha bisogno. Un’armonia che parte, prima di tutto, dal stare bene con noi stessi e che si esprime poi nell’incontro con l’altro, nelle strade della vita senza dimenticare però che all’origine della vera pace c’è la fede in Dio. Senza questa comunione profonda con il Padre, attraverso il Cristo e la forza dello Spirito Santo, ogni forma di pace sarà fittizia e parziale.

Auguro a tutti, soprattutto a chi è lontano dal paese, che questi giorni di festa possano essere un tempo di gioia e di pace che donano a tutti il gusto della vita, un gusto che ci permette di andare al di là di scenari foschi e dolorosi per cogliere la freschezza eterna dell’amore di Dio, un amore che non viene mai meno come ci ricorda la stessa memoria dell’Assunzione della Beata Vergine Maria.

 

Don Giacomo

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