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IL
SALUTO DEL PARROCO
Ventidue e ventisei. Non sono numeri per tentare un ambo
secco sulla ruota di Roma (anche se ci potete provare). Ventidue sono le strofe
della parte centrale del salmo 136 che inizia così: “Lodate il Signore perché
è buono”. Il ventidue è un numero completo perché tante sono le lettere
dell’alfabeto ebraico. La completezza di questo salmo sta proprio nell’amore
di Dio che viene esaltato dal salmista in tre aspetti fondamentali: la
creazione, la liberazione dall’Egitto e il dono della terra. Ventisei sono le volte che
viene ripreso il ritornello di questo salmo di lode: “perché eterna è la sua
misericordia”, una sorta di responsorio che fa da filo conduttore e
traducibile anche con “l’amore di Dio è per sempre”. È questo il motivo
della lode che sgorga dal cuore di chi scrive che sa intravedere l’amore di
Dio in eventi storici ben precisi e puntuali. Se l’amore di Dio è per
sempre, ciò che è davvero originario nel nostro rapporto con il Signore è
proprio il suo amore che precede l’uomo e anche la creazione. L’amore di Dio
è gratuito ma non neutrale perché chiama in causa, sollecita e interpella
l’uomo. È un amore fedele e per questo ci dà subito il perdono (Cfr. Luca
15). È un amore storico, puntuale e capace di abbracciare tutta la vicenda
umana. Ma il salmo, pur nella sua
“completezza” numerica chiede a noi di proseguire; è un canto aperto da
proseguire nella vita di ciascuno. Ognuno di noi può aggiungere una sua strofa
a questo salmo perché ognuno di noi ha qualche motivo per dire “eterna è la
sua misericordia” Quando diciamo che Dio è
amore facciamo appello a un mistero che si svela a noi partendo dal suo intimo,
ma il mistero, aprendosi, non cessa di diventare mistero. Più si conosce
l’altro più si entra in una condizione di mistero e cresce l’amore. Anche quest’anno abbiamo
la grazia di poter contemplare e pregare la gioia del Natale che racchiude in sé
uno di questi misteri dell’amore di Dio: il suo farsi uomo tra gli uomini: “Ecco
la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che
significa Dio con noi” (Matteo 1,23) Un evento, quello
dell’incarnazione, che avrà il suo compimento definitivo nel mistero della
redenzione: la Pasqua. Non si può vivere il Natale se non in una dimensione
pasquale che ci riporta (o ci porta) al centro della nostra fede: il Cristo
risorto. Dobbiamo riappropriarci
della luce cristiana del Natale per poter far nostro un po’ di più quel
mistero di amore e misericordia che si svela nella grotta di Betlemme. Un
mistero che si svela nella relazione, cioè nella mia capacità di incontrarmi
con Dio, di stare in sua compagnia, davanti a lui e con lui. Questo ci porta
chiaramente a comprendere come il Natale non può essere un episodio saltuario
della nostra vita di fede quanto piuttosto un passaggio fondamentale che si
colloca in un contesto di molto più ampio respiro che possiamo definire come
“vita spirituale” che esige che ci incamminiamo su quella strada, non certo
facile, anzi spesso tortuosa e carica del nostro peccato, che ci porta a
conformarci, a renderci simili a Cristo. È allora abbastanza facile renderci
conto che non è sufficiente celebrare la S. Messa a Natale, a Pasqua e ai Santi
per poterci dire cristiani o per diventare tali. Dobbiamo diventare uomini e
donne “eucaristici”, cioè capaci di rendere grazie nella vita liturgica così
come nella quotidianità. Il Santo Padre, Giovanni
Paolo II, ha consacrato quest’anno pastorale all’Eucaristia, in vista anche
del Congresso Eucaristico Nazionale che si terrà nel maggio prossimo a Bari e
che avrà come slogan: “Senza la Domenica non possiamo vivere”. La nostra prima dimensione
eucaristica si sviluppa proprio nella celebrazione del giorno del Signore, la
Domenica. In questi ultimi anni troppo spesso abbiamo lasciato che la domenica
diventi il momento per fare tante cose fuorchè ringraziare Dio e stare in sua
compagnia. Anche il Natale che ci
accingiamo a vivere rientra in questa logica eucaristica perché davanti al
Signore che si fa “Dio con noi” ci fermiamo a contemplare l’amore divino
nella sua gratuità, fedeltà e storicità. Davanti a questa manifestazione dal
nostro cuore non può che sgorgare la lode e il ringraziamento che però niente
hanno a che fare col buonismo sdolcinato e falso di cui spesso si ammanta il
Natale. La preghiera di lode che nasce dal cuore del credente è il canto di chi
fa esperienza vera del sentirsi amato da Dio, proprio come succede al cantore
del salmo 136. Ma questo sentirsi amati può nascere solo dall’esperienza
diretta di una relazione profonda con Dio che non è frutto di un rapporto
contrattuale “do ut des” bensì di un amore che diventa desiderio di
incontrare Dio, un desiderio che ha a che far e con il senso della vita e per
questo è inesauribile. Impariamo dai pastori e dai magi che vanno a Betlemme:
non hanno fretta di andarsene, non stanno lì a calcolare il tempo o il guadagno. Stanno lì e basta. Stanno lì in compagnia di
Dio e dell’uomo, uno stare in compagnia che per noi si esprime in una vera
vita sacramentale e di preghiera che diventa atto di amore verso Dio ma anche
verso noi stessi. Il nostro diventare
“eucaristici” si sviluppa anche in un’altra dimensione, comunque
strettamente legata all’altra, che è quella della vita quotidiana. La nostra relazione
profonda ed eucaristica con Dio ci porti ad essere capaci di lode e di
ringraziamento nella vita di tutti i giorni. Il cristiano è l’uomo della
gioia e della speranza. La gioia per il cristiano
è vivere nel Signore ed è una
responsabilità perché è un elemento evangelizzante. È anche con la nostra
gioia, accompagnata dal rendere grazie, che diventiamo testimoni della nostra
fede che si presenta come relazione d’amore con Dio. È la gioia del sentirsi
amati da Colui che viene prima di tutto e di tutti. Mi auguro che possa essere
questo un Natale di gioia, per tutti. Non la gioia effimera e falsa che spesso
ci viene propinata dalla cultura o dai mass media, ma quella vera che nasce da
questa esperienza d’amore che non cancella le nostre difficoltà o sofferenze
ma illumina in modo nuovo la nostra vita, dandole speranza e senso. Nel Natale contempliamo
l’irrompere definitivo di Dio nella storia umana, una presenza che cambia
perché è una presenza che salva. Facciamo in modo che questo Natale cambi
anche noi, non solo nell’epidermica superficialità di qualche piccola
“tregua” nella lotta di tutti i giorni, trasformando il nostro “cuore di
pietra” come lo chiama il profeta Ezechiele, in un “cuore di carne”,
capace di gustare e assaporare la presenza di Dio nella vita di tutti i giorni.
Superiamo la gioia delle “luci” per vivere la gioia della “Luce” di
Cristo che viene a illuminare il mondo. A tutti voi, soprattutto a
chi è lontano o sta vivendo la sofferenza e il dolore, l’augurio di un Natale
che ci rinnovi e ci rincuori per poter continuare il nostro cammino lodando e
ringraziando Dio, continuando dentro Dio noi quel salmo completo e incompleto
allo stesso tempo, che si chiude nella Bibbia con queste parole: “Lodate il
Dio del cielo: eterna è la sua misericordia” (Sal 136,26) Buon Natale e buon anno a
tutti.
Don
Giacomo
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