Saluto del Parroco
     

 

IL SALUTO DEL PARROCO

Ero un giovane sacerdote quando, nel novembre del 1989, mi trovai a vivere, come molti di voi, un passaggio fondamentale e importante della storia contemporanea: la caduta del “Muro di Berlino”, costruito in un battibaleno nel 1961 dall’allora Unione Sovietica che controllava il settore est della città. Ricordo quell’avvenimento come una gioia grande e commovente che apriva orizzonti nuovi di distensione e di riconciliazione tra tutti i popoli. Credo ci siamo sentiti partecipi di qualcosa di grande.

Sono passati ormai quindici anni e sembra che quelle speranze abbiano lasciato il posto alla disillusione se non allo sconforto, visto che l’umanità sembra ripetersi. Nel gennaio di quest’anno ho avuto la grazia di tornare nella “Terra del Santo”, una terra divisa da anni di guerre e terrorismo e ora anche da un muro alto otto metri che ho potuto scorgere in lontananza dalla piazza della mangiatoia a Betlemme, icona sofferente di questa separazione, di questa lotta continua. Se poi ci guardiamo attorno, nella vita di tutti i giorni, ne scorgiamo anche tanti altri, non fatti di cemento o mattoni, ma costruiti sul silenzio, sull’indifferenza, sul sospetto verso l’altro. Muri costruiti sulla violenza inaudita del terrorismo che ha colpito in maniera infame un mese fa a Madrid. Muri invisibili ma impenetrabili al cui cospetto la muraglia cinese sembra una costruzione di Lego... Quanto sono lontane le parole accorate del Pontefice: “Bisogna costruire ponti, non muri”.

Ci stiamo apprestando a vivere di nuovo l’esperienza della Pasqua, che per noi cristiani è il centro di tutto l’anno liturgico. La parola Pasqua significa “passaggio” e per gli Ebrei ricorda la liberazione dall’Egitto e l’attraversamento del Mar Rosso; per noi cristiani è il passaggio da una condizione di morte nel peccato a quella della risurrezione, operata mediante il sacrificio di Cristo.

Questo passaggio ci deve portare anche a oltrepassare i “muri”, siamo chiamati a passare al di là delle tante barriere che abbiamo costruito nei confronti di Dio e nei confronti delle persone. Ci siamo costruiti, tante volte senza saperlo, dei recinti, anzi dei veri e propri sepolcri nei quali abbiamo sepolto la nostra voglia di vivere, le energie, i talenti, il farsi prossimo e qualche volta anche le nostre amicizie. Abbiamo sepolto il nostro essere credenti. Se vogliamo diventare cristiani dobbiamo rompere queste tombe, dobbiamo diventare anche noi, come il Cristo, dei risorti, dei vivi. La storia, quella piccola e semplice delle nostre comunità, come quella dell’umanità intera, ha bisogno di vivi, non di morti o zombi che non sanno andare al di là del proprio recito, dei propri elementari e semplici interessi.

Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato, (le donne) vennero al sepolcro al levar del sole. Esse dicevano tra loro: “Chi ci rotolerà via la pietra dal sepolcro?”. Ma guardando videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande.” (Marco 16,2-4)

Credo siamo tutti consapevoli che abbiamo dei muri da abbattere però, allo stesso tempo, ci rendiamo conto di quanto sia difficile farlo perché siamo limitati, peccatori, ci sentiamo incapaci di rotolare via la pietra dal sepolcro. È la stessa paura delle donne di cui ci parla Marco.

A volte ci sentiamo onnipotenti, vincenti e invincibili… ma subito dopo cadiamo nel baratro della tristezza. Da soli non ce la faremo mai se non chiediamo aiuto al Signore. È lui che risorge e ci fa risorgere. È lui che ci salva. Ricordate quelle parole di Isaia: “Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti”. (Is.53,6)

Chiedere aiuto al Signore significa prima di tutto fidarsi di lui, della sua misericordia e del suo amore che salva. Per questo credo sia molto importante recuperare l’esperienza della misericordia di Dio attraverso il sacramento della Penitenza. Esso non è un semplice atto di purificazione con il quale cancello i miei peccati. È piuttosto il nostro tornare a lui abbattendo ciò che ci separa da Lui ricevendo la capacità di cambiare. Dobbiamo imparare a lasciarci amare da Dio che non ci chiude mai la porta in faccia, che non smette mai di darci l’occasione per ricominciare il nostro cammino, proprio come fa il padre della parabola (Cfr. Lc 15,11-32).

L’aiuto di Dio viene poi nel dono grande dell’Eucaristia, nella quale ci nutriamo alla mensa della Parola e del Pane. Se non continuiamo a crescere nella fede, se non la alimentiamo continuamente alla fonte, non abiteranno mai in noi quella speranza e quella forza dello Spirito che ci consentono di passare i “muri”. Nell’Eucaristia domenicale facciamo continuamente memoria della Pasqua, del Cristo risorto. Se ci dimentichiamo di questo come possiamo noi essere dei risorti?

Infine l’aiuto di Dio lo troviamo nella preghiera personale, in una vita spirituale che ci sostiene durante le fatiche quotidiane. Una preghiera che sostiene noi e contemporaneamente sostiene gli altri. Sono molto belle al riguardo le parole di un monaco, Matta el Meskin che scrive: “Se poi continui a progredire nella preghiera, scoprirai una nuova dimensione importante: la preghiera diventa il canale attraverso il quale passa la tua relazione con i fratelli. Sperimenterai che la tua preghiera ha cominciato a diventare anche per gli altri una sorgente di vita e di potenza.

E qui la preghiera comincia a diventare una grave responsabilità; perché, se per un motivo qualsiasi, tu smetti di pregare per i peccatori che vivono attorno a te e tralasci di supplicare in loro favore, essi moriranno nel loro peccato. Mediante la preghiera tu diventi sacerdote, nel senso che sei responsabile della salvezza degli altri e capace – nell’amore, nel dono di te stesso e nella partecipazione al sacrificio e al sacerdozio di Cristo – di liberarli dalla condanna a morte dovuta al peccato”.

Non stanchiamoci mai di pregare per gli altri, soprattutto per quanti non sono magari in comunione con noi, così come il Signore Gesù non smette mai di intercedere per noi presso il Padre, come ci ricorda il Vangelo di Giovanni: “Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità” (Gv. 17,15-16)

L’ultima considerazione, o meglio l’ultimo augurio per tutti voi in occasione di questa Pasqua, lo colgo dalle parole dei due angeli nel racconto della risurrezione dell’evangelo di Luca: “Perché cercate tra i morti colui è vivo? Non è qui, è risuscitato” (24,5).

Sicuramente ci sono molte cose che non vanno bene, se guardiamo intorno a noi il mondo non ci offre di certo uno spettacolo esaltante. Ma ricordate che Gesù Cristo ha vinto il peccato e la morte. Per questo non possiamo fermarci solo davanti al sepolcro vuoto, non possiamo limitarci a rimpiangere sospetti tempi passati. Siamo chiamati ad andare e a guardare il mondo in faccia consapevoli che per quanto storte vadano le cose l’amore di Dio tira dritto, perché non ci fa mai mancare la sua presenza e il dono dello Spirito Santo. Impariamo a vivere da risorti, desiderosi di vivere, di trasmettere e comunicare la fede, capaci di servire così come Gesù ha fatto con noi. Sia per tutti noi una Pasqua di risurrezione interiore ma anche nella vita, imparando a dire davanti alle cose che succedono, ai bisogni che sorgono, ai problemi che affliggono tanta umanità sofferente: “Mi interessa”.

Buona Pasqua e buon cammino a tutti. Il Signore guidi i vostri passi e sia sempre davanti a voi come la stella del mattino.

 

Don Giacomo

 

 

 

 
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