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IL
SALUTO DEL PARROCO
“Pace a
voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” (Gv. 20,21).
Con
queste parole Gesù si presenta agli apostoli, impauriti e sconvolti dagli
eventi, la sera stessa di Pasqua. Per il quarto evangelo è in questa prima
apparizione che Gesù dona lo Spirito Santo, inaugurando così il tempo della
Chiesa, della comunità dei credenti. Ancora una volta il Signore ci ha dato la grazia di contemplare e celebrare il centro della nostra fede e della nostra speranza: Gesù Cristo morto e risorto per la nostra salvezza. Il Redentore si presenta agli undici e a quanti erano con loro con il saluto tipico dei paesi mediorientali, quel pace a voi che in quel momento è carico di mille significati. Non è solo un saluto, prima di tutto è un incoraggiamento, è un messaggio di speranza che apre il cuore oppresso e impaurito degli apostoli. È una formula che non è certo distante da un’altra in uso ai tempi di Gesù: “Il Signore sia con te” (Gdc 6,12; Sal 129,7-8). Questo saluto, secondo la Bibbia, ricorda che la pace è un dono di Dio e l’augurio comprende tutta la sfera vitale, dalla vita fisica alle relazioni. Purtroppo, di questi tempi, tale parola è risuonata a dritta e a manca ma sembra che non possiamo far altro che associarci alle parole del profeta Geremia: “Pace! Pace! E pace non c’è” (Ger. 6,14). Mentre scrivo la seconda guerra del Golfo è iniziata già da giorni e il rischio, più o meno dettato dall’emozione, potrebbe essere quello di soffermarci e dibattere su questo ennesimo conflitto che segna la storia dell’umanità. Sembra che le nostre reti televisive abbiamo scoperto solo nella notte del 20 marzo che gli uomini possono fare la guerra. Ma sappiamo bene che non è così. Sappiamo bene che ci sono più di quaranta guerre in corso attualmente in giro per il mondo. Erano invisibili prima e continuano ad esserle adesso. Per questo credo sia importante, proprio alla luce degli eventi della Pasqua, allargare la nostra riflessione, non fermarci ad analisi politiche o sociali che non sono, di certo, né alla nostra portata, né di nostra competenza. Credo dobbiamo “scavare” nella grande miniera della Parola di Dio per capire cosa può significare per noi cristiani inseriti in questa storia e in questi avvenimenti, vivere la pace che Gesù ci dona nella Pasqua. L’apostolo Paolo parlando di Gesù nella lettera ai cristiani di Efeso (2,17) scrive: “Egli è venuto perciò ad annunciare la pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini”. Anche il messaggio cristiano, che tutti noi siamo chiamati a proclamare viene definito da Paolo “L’evangelo della pace” (Ef. 6,15). La pace, secondo la lettura degli evangeli e di Paolo, non si pone a livello politico, o semplicemente esteriore. Cristo stesso assicura che la “sua pace” non toglie la tribolazione che i suoi incontreranno nel mondo. Gesù parla piuttosto della pace che hanno unicamente “in lui” (Gv. 16,33). Ed è appunto la pace che racchiude in sé la certezza perfetta di quella salvezza che non si può avere “nel mondo” ma che attinge la propria sicurezza nella certezza stessa di Dio che è talmente grande da congiungere la terra con il cielo (Lc 2,14). La nostra pace, allora, nasce innanzitutto dalla nostra fede in Dio che si è rivelato in Cristo, morto e risorto. E allora le parole di Gesù assumono i connotati di un invito alla fede, a poggiare in Dio le fondamenta della nostra vita e non sulle cose (o sulle bombe) di questo mondo. Però non possiamo mettere da parte la seconda parte del versetto di Giovanni citato all’inizio: “come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi” La pace interiore del cristiano, che lo lega nella
comunione a Dio, non è un bene intimistico. Deve essere, piuttosto, tramite di
vera e integrale comunione fraterna. Troppe volte rischiamo di “sentirci in
pace” e finiamo con il disinteressarci completamente della comunione con le
persone. Il cristiano non può solo essere un fruitore del dono divino della
pace, ma deve esserne anche il promotore od operatore, secondo la linea
tracciata dalla lettera di Giacomo (3,17-18): “La
sapienza che viene dall'alto invece
è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole,
piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza
ipocrisia. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per
coloro che fanno opera di pace.” La realizzazione
della pace nella condotta cristiana ha in primo luogo un aspetto interno alla
vita del cristiano, consistente nel comportamento personale conseguente alla
volontà di vivere in pace con gli altri. E su questo aspetto credo che ognuno
di noi abbia motivi sufficienti per riflettere e verificare la propria vita
cristiana dalle piccole cose di ogni giorno, che caratterizzano la nostra
quotidianità, fino agli spazi vastissimi che prendono dentro tutta l’umanità.
A volte il nostro modo di vivere o le nostre scelte non sono azioni di pace. Il Signore, abbiamo
sentito nel vangelo di Giovanni, ci manda. Ci manda a promuovere la pace come ha
fatto Gesù stesso. Su questa falsariga è da intendere la beatitudine del
Vangelo di Matteo: “Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati
figli di Dio” (5,9). La prima
conclusione che possiamo trarre da questa riflessione è che quello della pace
è, per il cristiano, uno stile di vita. Un modo di vivere nella comunione con
Dio, con se stessi e con gli altri. È uno stile di
vita pasquale perché ha il suo fondamento nel Cristo risorto e come tale deve
caratterizzare la nostra esistenza di uomini e donne che credono in Gesù
Cristo. Per questo ci diciamo cristiani, perché crediamo nel Dio di Gesù
Cristo. Nella Pasqua
contempliamo il mistero della risurrezione di Cristo che vince la morte e il
peccato e come destinati alla risurrezione dobbiamo vivere la nostra vita. Viviamo questi
giorni, che sono il centro della nostra vita liturgica e di fede, riprendendo in
mano la nostra esistenza. Mettiamola davanti a Dio che è Padre e Madre di
misericordia e di amore. Poniamola davanti al Signore e cominciamo a porre gesti
concreti e magari anche forti di riconciliazione e di pace. Sia una Pasqua in
cui tendiamo la mano verso i fratelli e le sorelle con le quali non siamo in
comunione. Sia una Pasqua in cui facciamo la grande esperienza della
misericordia di Dio attraverso il sacramento della Penitenza. Sia una Pasqua che
apre i nostri occhi ai grandi orizzonti di sofferenza che ci circondano. Ma
soprattutto sia una Pasqua in cui non restiamo in pace, rinchiusi nella nostra
individualità e nel nostro apparente benessere, perché anche noi andiamo.
Andiamo al sepolcro vuoto e nel mondo pieno di sofferenze e fatiche che ha
bisogno della nostra pace. Cristo è risorto
ed è Lui la nostra pace perché in Lui solo troviamo la nostra salvezza. A tutti l’augurio
di una Pasqua serena ma caratterizzata dalla consapevolezza che non possiamo
passare la vita, a braccia conserte, a guardare cosa succede nel mondo. Buona Pasqua Don
Giacomo
Giorno
di Pasqua, giorno di speranza, giorno
di festa per tutti quelli che
osano sperare nell’impossibile: nella
pace più forte della guerra, nell’amore
più forte dell’egoismo, nella
vita più forte della morte. Giorno
di Pasqua, giorno di gioia, giorno
di festa per tutti quelli che
si rivolgono a te, o Dio, per
tutti quelli che si affidano a te: per
i poveri della terra, per
i perseguitati e gli oppressi, per
gli abbandonati e gli emarginati, per
quelli che hanno un cuore mite e buono. Giorno
di Pasqua, giorno di fraternità, giorno
di festa per questo mondo che
riconosce nella risurrezione di Gesù l’inizio
di una primavera senza fine, giorno
di giubilo per questo mondo che
porta ancora un fardello pesante di
lacrime e di sangue, di
fame e malattie, di
ingiustizie e di soprusi. Oggi,
Signore Dio, tu ci inviti a guardare al futuro in
modo nuovo: tu hai mantenuto la tua promessa e
hai mostrato il tuo amore. Nel
Cristo crocifisso sei venuto incontro ad ogni uomo che
soffre, che pena, che non ce la fa più. Nel
Cristo risorto tu rialzi ogni uomo e
gli indichi la strada della vita. Il
potere del male e della morte, della
cattiveria e dell’egoismo ha
ormai le ore contate: con
Cristo il tuo amore dilaga per la terra. (Roberto
Laurita) |