Il Saluto del Parroco
     

 

 

IL SALUTO DEL PARROCO

 

Al tirà”, non temere!

Questa parola ebraica risuona nelle Sacre Scritture per 366 volte: una parola per ogni giorno dell’anno, anche di quello bisestile.

Una parola che troviamo un po’ ovunque nei libri della Bibbia ma che, soprattutto, riecheggia nel racconto della risurrezione: (Marco 16,5-7)

Entrando nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla  destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. [6]Ma egli disse  loro: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso.  E` risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto. [7]Ora  andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea.  Là lo vedrete, come vi ha detto”.

Credo che questo imperativo, non temere, abbia in sé qualcosa di dolce, di caro. Non è il comando di chi esercita un potere, ma l’attenzione di chi vive per l’altro, vive per amore. Sono le parole cariche di affetto di un Dio che consola, di un Dio che è Padre e ama i suoi figli.

Questa parola, questo incoraggiamento, risuona anche per noi tutti i giorni perché Dio non smette mai di amarci e ce lo rammenta in modo particolare nella Pasqua del suo Figlio che mediante la passione, morte e risurrezione ci ha aperto le porte della vita eterna.

L’evangelista Marco, nell’essenzialità che contraddistingue il suo racconto, riassume i motivi per non aver paura, per non temere le difficoltà che la vita ogni giorno ci riserva.

Questo a partire dal nucleo fondamentale della nostra fede: Gesù è risorto. Non si può prescindere da questo, non si può dimenticare quel sepolcro vuoto che indica la vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Scrive Paolo nella prima lettera ai cristiani di Corinto (15,13-14):

Se  non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! [14]Ma  se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è  vana anche la vostra fede.

A volte la nostra paura può essere frutto della nostra poca fede… Ci fidiamo pochino di Dio e tanto delle cose di questo mondo e quando ci accorgiamo che esse sono caduche, sono di passaggio, tutte le nostre sicurezze se ne vanno “su per il camino”. Anche i discepoli avevano riposto su Gesù delle speranze “strane”: “Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni…” dicono i due di Emmaus nel loro mesto cammino di ritorno verso casa. Si aspettavano un Messia potente, strabiliante e famoso, invece si sono ritrovati un Dio che muore e risorge per amore.

Di questo dobbiamo renderci conto, che la nostra fede trova il suo fondamento nella risurrezione, in quel grido che risuona nell’alba della Pasqua: “E’ risorto!”

La nostra vita di fede, il nostro diventare cristiani, passa sulla via di Emmaus, una strada selciata dalle nostre fatiche e dalle nostre gioie, dalle nostre sconfitte e dai nostri successi. Una strada soprattutto, segnata dall’amore di Dio che supera ogni nostra paura.

E paure, più o meno latenti, ne viviamo tutti, ogni giorno perché sembrano venir meno, molto spesso, tante di quelle sicurezze che hanno segnato la vita del nostro mondo in questi ultimi decenni. Timori legati all’avere più che all’essere.

Dopo l’undici settembre sembrava che fossimo sul punto di assistere a una rivoluzione epocale nella vita del pianeta. Sono passati poco più di cinque mesi e una manciata di miliardi di dollari in bombe e chi parla più di Osama Bin Laden, del mullah Omar e, quel che è peggio, della gente afgana con tutte le sue sofferenze? Di questo ipotetico cambio radicale sono restati solo i morti e il pianto di chi, da una parte e dall’altra, è rimasto da solo.

Abbiamo avuto paura, dopo il crollo delle torri gemelle, ma abbiamo avuto la paura sbagliata: era la paura che tutte le nostre sicurezze, tutte le nostre “cose” potessero finire, insieme a quei privilegi che ci consentono di “spendere e spandere” senza tanti patemi d’animo e senza dover rendere conto a nessuno.

Se c’è una paura che dobbiamo avere, non riguarda l’andamento della borsa, il prezzo del petrolio o la morte. L’unica cosa che dobbiamo temere è, come la chiama la Bibbia, la sclerocardia, la durezza del cuore che ci porta ad essere morti dentro, morti nell’anima.

Ma anche per questo c’è un “rimedio”. Innanzitutto imparando a leggere i segni della presenza di Dio nella nostra vita, segni che sono sempre presenza d’amore. Dobbiamo imparare a stupirci del dono grande della vita. Siamo così abituati a tutto che nulla ci fa più sussultare di gioia, quella gioia che provano i due di Emmaus: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino mentre ci spiegava le Scritture” (Lc. 24,32).

I cristiani, ce lo siamo ripetuti tante volte, sono uomini e donne portatori di gioia.

In secondo luogo, vinciamo la nostra sclerocardia con un cammino di fede forte e intenso. Risuonano anche per noi le parole che il viandante rivolge ai due discepoli: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alle parole dei profeti” (Lc. 24,25).

I due di Emmaus vincono la loro durezza di cuore perché si mettono in ascolto della Parola che viene da Gesù risorto che si fa loro compagno di strada e lo riconoscono dallo spezzare il pane: “Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (Lc. 24,31).

Anche per il nostro cammino di cristiani questi due elementi diventano fondamentali. Senza l’incontro con la Parola e con il Pane della Vita il nostro camminare diventa un semplice vagare nella vita, senza meta e, soprattutto, senza speranza.

Ci apprestiamo a vivere i giorni grandi della Pasqua che culminerà con la veglia pasquale che sant’Agostino ha definito la “madre di tutte le veglie”.

In quella notte la prima luce ad essere accesa sarà quella del cero pasquale che per tutto il tempo di Pasqua ci ricorderà che il Signore Gesù, Figlio di Dio, crocifisso per amore, è risorto per noi.

Non dimentichiamo quella fiamma che brilla nella notte e illumina la strada della nostra vita; nulla potremmo senza di essa. Incamminiamoci senza indugio (Cfr. Lc. 24,33) sulla strada del mondo perché nulla abbiamo da temere: “Non lascerà vacillare il tuo piede, non si addormenterà il tuo custode.[4] Non si addormenterà, non prenderà sonno, il custode d'Israele” (Sal 121,3-4).

In questo cammino che ci porta a diventare cristiani la Parola di Dio e l’Eucaristia ci siano compagni fedeli di viaggio per poter così alimentare la nostra fede e vincere quella durezza del cuore che è sempre in agguato per ognuno di noi.

Sia una Pasqua di gioia e di serenità per tutti, soprattutto per quanti vivono momenti di difficoltà e di sofferenza, fisica o spirituale. Possa essere per ognuno di noi un vero “passaggio” a una situazione di vita nuova, radicata e fondata nella fede in Cristo risorto.

Guardiamo avanti, guardiamo alla vita di ogni giorno con la speranza nuova di chi sa che quel sepolcro vuoto è l’icona vera del grande e unico cambiamento che ha segnato la nostra vita: la vittoria sul peccato e sulla morte del cuore.

Buona Pasqua a tutti.

 

         Don Giacomo

 
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