Il Saluto del Parroco
     

 

IL SALUTO DEL PARROCO

 

Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi”.

Queste parole che risuonano nel prologo del Vangelo di Giovanni le troverete scritte anche all’entrata del presepio di Pedemonte che anche quest’anno i nostri giovani hanno allestito con ingegno, perizia e disponibilità.

Per la teologia di Giovanni, Gesù Cristo è la Parola di Dio che si fa carne, Egli è la rivelazione dell’amore di Dio che, da sempre, si è manifestato nella storia della salvezza.

Nel Natale contempliamo questa Parola che ha posto la sua dimore in mezzo a noi. Una delle peculiarità della nostra esperienza di fede e che noi crediamo, e lo ribadiamo ogni domenica con le parole del Credo, che Gesù Cristo, Figlio di Dio si è fatto uomo. Forse non ci rendiamo sufficientemente conto della rilevanza di un’affermazione del genere.

Celebrare il Natale significa fare memoria di questo grande gesto d’amore: Dio si è fatto uomo, è venuto in mezzo a noi assumendo la nostra condizione umana. Si è fatto nostro compagno di strada, facendosi povero tra i poveri.

Se ci pensiamo, non è un’idea qualsiasi, non è un semplice fervorino ma è piuttosto un forte messaggio di speranza per tutti noi chiamati, come siamo, a solcare le strade a volte difficili e impervie della vita di tutti i giorni.

La speranza cristiana non è una pia illusione, non è un anestetico che allevia gli insuccessi della vita. San Paolo la annovera tra una delle tre cose che contano (1Cor 13) per un credente. La speranza cristiana è la capacità di cogliere la presenza di Dio nella nostra vita e di vedere i segni di bene che costellano la nostra esistenza. E tutti sappiamo, soprattutto in questa ultima porzione dell’anno, di quanto abbiamo bisogno di speranza. Spesso, ci lasciamo prendere dallo sconforto davanti a tanti segni ed eventi che di negativo hanno ben poco, per non dire niente. Guardando a Gesù che si fa presente in mezzo a noi dobbiamo riempire il nostro cuore di speranza perché sappiamo che il Signore non ci lascia da soli, nonostante i peccati del mondo, non si stanca mai di tenderci la mano per ricominciare il nostro cammino verso di lui.

È il primo augurio che, reciprocamente, ci facciamo per questo primo Natale del nuovo millennio che, oltretutto, si presenta come un Natale di guerra: che sia un Natale di speranza che illumina in maniera nuova la nostra vita e che ci fa diventare portatori di speranza a quanti incontriamo sul nostro cammino.

Ma può bastare il fatto che Dio entra nella nostra storia, può bastare la sua fedeltà e il suo amore per noi? Può bastare il dono del Figlio per la nostra salvezza?

Può sembrare paradossale, ma la risposta è no. No perché Dio non fa violenza al nostro cuore. Chiede la nostra accoglienza, chiede di entrare nel nostro cuore, ma davanti al nostro rifiuto nulla può fare se non aspettare pazientemente come il padre della parabola (Lc. 15,11-32).

Sempre nel prologo di Giovanni troviamo scritto: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv. 1,11-12).

Il nostro essere figli di Dio si basa proprio sull’accoglienza del Signore che viene, non è una questione di essere o meno iscritti nel registro dei battesimi della Parrocchia. È prima di tutto una “questione di cuore” che ci porta ad aprirci al dono grande della Parola.

Innanzitutto accogliamo il Signore che viene facendo nostra la sua Parola. Non dobbiamo mai dimenticare il nostro impegno di studio e di approfondimento della Sacra Scrittura come strumento fondamentale per la nostra crescita di fede. Ce lo siamo già detto su queste pagine: come possiamo essere amici del Signore se non conosciamo la sua Parola, se non sappiamo cos’ha da dirci?

In secondo luogo l’accoglienza del Signore avviene in quella quotidianità che Egli stesso fa sua nell’incarnazione. La nostra fede “naviga” su una direttrice verticale, che è quella della vita spirituale, e su una orizzontale che ci chiama a vivere la vita di tutti i giorni come cristiani, come testimoni della salvezza che Cristo ci ha donato.

Questo ci deve condurre a saper riconoscere il Cristo nelle persone, soprattutto nei poveri, intesi nel senso più ampio del termine. Essere cristiani oggi significa vivere fino in fondo il Vangelo, anche se questo, a volte, può essere difficile e non certo di tendenza. Seguire Gesù Cristo oggi non è di moda ma se diciamo di credere in Lui questa è la via da percorrere.

È a partire da questi due elementi che dobbiamo verificare l’anno che ormai abbiamo alle spalle. È sempre alla luce del Vangelo che dobbiamo rileggere la nostra vita e la nostra storia.

Chiuso il “capitolo” del Giubileo quest’anno è stato segnato da momenti importanti e significativi, da eventi gioiosi ma in alcuni casi anche dolorosi. Ci siamo trovati più volte a contemplare il mistero della morte che ha segnato la vita delle nostre comunità ma anche del mondo intero.

Come al solito dobbiamo solo ringraziare il Signore per la vitalità delle nostre parrocchie che non mancano mai di sensibilità, di vitalità e generosità. Ciò non toglie che dobbiamo sempre vigilare sulla nostra fede, affinché non si assopisca finendo così per non confrontarsi più con la vita di tutti i giorni.

Le celebrazioni del Natale che ci accingiamo a vivere non sono una pausa nella guerra di tutti i giorni, non sono e non possono essere un semplice e banale momento di tregua. I giorni del Natale possono e devono essere giorni di gioia ma anche giorni di riflessione che portano ad impegni concreti nella vita di tutti i giorni. Impegni che trovano il loro fondamento proprio nell’accoglienza della Parola.

In questo tempo non chiediamoci, più di tanto, cosa succederà domani in Oriente. Domandiamoci piuttosto cosa può cambiare domani nella nostra vita perché questa possa essere sempre fonte di testimonianza per chi ci incontra. Non siamo certamente noi che cambieremo il mondo ma siamo noi che possiamo cambiare la nostra vita, facendola diventare una vita cristiana nel senso più profondo del termine.

Questo Natale ci deve cambiare dentro, nel profondo del cuore. Come è stato già detto tutti gli eventi di questi ultimi mesi serviranno a qualcosa se ci aiuteranno a cambiare nella vita di tutti i giorni, cercando e creando vie di riconciliazione e di incontro.

Auguriamoci allora che sia anche un Natale di movimento, che ci vede protagonisti di un tempo nuovo che trova nella fede in Dio e nell’ascolto della Parola la base di ogni nostra scelta.

Non lasciamoci prendere dalle tante sirene del mondo che alternano, soprattutto in questi mesi, le seduzioni delle ricchezze ai rumori sinistri della paura. Lasciamo che sia il Signore Dio a guidare la nostra vita perché Lui, solo Lui è la fonte della nostra salvezza.  Le luci del mondo prima o poi si spengono, quella che viene dal Verbo che si fa carne è una luce che non si spegne mai perché è la luce dell’amore di Dio.

A tutti, con un ricordo particolare a chi è lontano, l’augurio si buon anno, nella speranza che i giorni che ci attendono siano giorni di pace non solo per noi ma per tutta l’umanità. Che il 2002 possa essere un tempo in cui comprendiamo davvero che non è con la violenza e la forza che si risolvono i problemi dell’umanità. Cristo ci ha salvato con la croce, non con le armi. Buon Natale e felice anno nuovo.  

Don Giacomo

 
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